Le origini del cognome
È stato Patrick Prunty, padre di Anne, Charlotte ed Emily, ad innamorarsi del nome Bronte.
Patrick, giovane brillante e promettente, trovò presto occupazione nel settore industriale, ma la sua passione per il mondo classico prese il sopravvento e nel 1802, con l’aiuto del rettore protestante del luogo, andò a Cambridge, dove, all’età di 25 anni, entrò nel St. John’s College, firmandosi Brontë, “Nelson’s hero” – l’eroe di Nelson – data la sua grandissima ammirazione per l’Ammiraglio Horatio Nelson, nominato Duca di Bronte, appena tre anni prima dal Re Ferdinando IV.
In tale occasione, Re Ferdinando, volendo ringraziare gli inglesi per l’ausilio ricevuto, in virtù del quale riuscì a mantenere saldo il suo trono nel Regno di Sicilia con sede a Palermo, fa dono “graziosamente” – scrive Leonardo Sciascia ne La corda pazza – all’Ammiraglio Nelson, di un grande feudo, sito a Bronte, “per servizi ricevuti”.
Il nome Brontë, infatti, appariva più aristocratico, risentiva meno dell’umile retroterra irlandese da cui proveniva Prunty, e soddisfaceva la sua grandissima ammirazione per Horatio Nelson. Per questo cambiò il suo nome da Prunty in Brontë, con la dieresi sopra la “e”, affinché gli inglesi non ne storpiassero la pronuncia.
Nel 1806 Patrick venne ordinato pastore e nel 1812 sposò Maria Branwell. La nuova famiglia, che fu allietata da sei figli, visse a Haworth (Yorkshire). Tra questi figurano Emily, Charlotte e Anne, che con la loro fama letteraria hanno celebrato e continuano ad onorare il nome della cittadina siciliana, appollaiata sulle pendici occidentali dell’Etna.
La biografia e la produzione di una femminista ante litteram
Nasce il 17 Gennaio 1820 nel villaggio di Thronton, nello Yorkshire; cresce ad Haworth, nel cuore la brughiera inglese, senza alcun dubbio uno dei luoghi più sperduti e meno accoglienti della Gran Bretagna.
Anne condivideva con le sorelle Charlotte ed Emily, un’insaziabile desiderio di libertà e anticonformismo, scandaloso al tempo per delle rispettabili giovani donne vittoriane quali erano, che si manifestò in maniera differente a seconda delle altrettanto dissimili personalità delle tre donne: Charlotte fu libera e indipendente da qualsiasi autorità maschile; Emily, selvaggia e ribelle, proprio come la brughiera; Anne fu invece quella che Emily Dickinson definirebbe un “vulcano silenzioso”, la sua fu una libertà introversa, taciturna, ma non per questo necessariamente depotenziata o meno incisiva.
Probabilmente la personalità di Anne si sviluppò molto più cautamente rispetto a quella delle sorelle perché, a differenza di queste, fu educata in casa: priva delle stesse esperienze delle sue consanguinee, studiò musica e disegno da precettori privati prima, dalla sorella Charlotte dopo, che nel frattempo si era affermata come insegnate.
La vocazione poetica pervase però indiscriminatamente tutte e tre le sorelle: insieme a Charlotte ed Emily, Anne pubblicò una raccolta di poesie, edita sotto gli pseudonimi rispettivamente di Currer, Ellis e Acton Bell. Purtroppo la raccolta poetica non vide mai il successo: in un anno furono vendute soltanto due copie.
La fama per il fantomatico trio Bell arrivò nel 1847, quando il loro editore decise di pubblicarne i romanzi, sulla scia del grandioso successo che ebbe Jane Eyre, dato alle stampe per primo. Agnes Grey, romanzo d’esordio di Anne, lodato per l’eccellente prosa, fu quasi assolutamente adombrato dalla Jane Eyre di Charlotte e, in maggior misura, dal celeberrimo Cime Tempestose di Emily.
Il romanzo per cui Anne è notoriamente conosciuta è, invece, La Signora di Wildfell Hall, il suo secondo tentativo editoriale: proprio come le sue sorelle, Anne non aveva paura di sfidare lo status quo, ma era pronta a fare un ulteriore passo in avanti. Le sue opinioni, infatti, erano talmente inattuali rispetto alle convenzioni proprie della sua epoca che persino Charlotte ha cercato di riportare la sorella sulla retta via giudicando la storia di Helen Graham, protagonista del romanzo, come un argomento sbagliassimo e assolutamente da censurare: la donna vive da sola con suo figlio e una anziana governante e, col suo comportamento estremamente riservato e misterioso, dà adito a molti pettegolezzi maligni.
Una immagine di donna rara in romanzi di questo tipo: resasi conto di aver sposato un uomo gretto e meschino, ubriacone e brutale, lotta per la propria indipendenza e per la salvezza del suo bambino, mettendosi contro persino alle leggi inglesi, ignorando le convenzioni sociali che la vorrebbero succube.
“L’inquilino di Wildfell Hall”, così recita la traduzione letterale, è stato rivoluzionario nella sua materia: abuso coniugale, parità di genere, educazione femminile, abuso di alcol e relative conseguenze sulla vita familiare, diritti delle donne sposate, queste tra le principali tematiche che è possibile rintracciare tra le pagine del romanzo. Tematiche fortemente correnti, per cui un lettore odierno non troverebbe alcuna difficoltà ermeneutica nell’approcciarsi alla produzione della Brontë.
Centrale anche l’argomento, decisamente attuale, designato oggi col termine di “controllo coercitivo”: una relazione che dovrebbe implicare sani sentimenti ed un sostegno amorevole si trasforma in una trappola per il dominio sull’altro. Helen vive sulla sua pelle esperienze talmente svilenti; alla luce di queste ritorna sulla convenzionale accezione di matrimonio, proponendone una propria, decisamente anticonvenzionale, frutto dell’urto con la cruda realtà famigliare. Il consiglio che offre ad una sua amica, in procinto di sposarsi, è precisamente questo: “Tieniti stretti il tuo cuore e la tua mano finché non vedrai una buona ragione per separartene; e se una tale occasione non si dovesse presentare mai, consolati con questa riflessione: che sebbene in una vita da sola le tue gioie rischiano di non essere molte, i tuoi dolori, almeno, non saranno maggiori di quanto puoi sopportare. Il matrimonio può cambiare in meglio la tua situazione; però, a mio avviso, è molto più probabile che produca il risultato contrario”.
Anne Brontë risulta dunque prepotentemente attuale, la voce della scrittrice risuona ancora oggi su argomenti dolorosamente rilevanti.
La sua vita fu purtroppo molto breve: a soli 29 anni, colta da una forma di tubercolosi, muore in un ricovero sulla costa di Scarborough, il 28 maggio 1849.
La necessità di uno pseudonimo
Personalità artistiche femminili, nel corso della storia, hanno dovuto ricorrere ad alcuni escamotage per continuare a dar sfogo al loro genio creativo. In molti casi, si sono dedicate ad ambiti che per secoli sono stati considerati inferiori e intrinsecamente “femminili”, cioè le arti applicate: la tessitura, il ricamo, la paraletteratura. Il secondo escamotage, più coraggioso, è stato quello di fingersi uomini, adottando pseudonimi maschili, per ottenere maggior credibilità ma soprattutto per dire e scrivere quello che volevano, senza censure. Questo stratagemma ebbe particolare fortuna in ambito letterario. Un esempio è rappresentato proprio dalle sorelle Brontë, come chiarito sopra.
Scriverà Charlotte nel 1850 nella premessa a Cime tempestose, composto dalla sorella Emily: “Non volevamo dichiararci donne perché – senza che a quel tempo sospettassimo che il nostro modo di scrivere e pensare non è quel che si chiama ‘femminile’ – avevamo la vaga impressione che le autrici fossero più inclini ad essere viste con pregiudizio”.
Acton Bell, lo pseudonimo adottato da Anne Brontë, scrive, nell’introduzione alla seconda edizione de La Signora di Wildfell Hall: “Ogni romanzo dovrebbe esser scritto affinché lo leggano uomini e donne, e non riesco proprio a immaginare come potrebbe un uomo permettersi di scrivere qualcosa di davvero vergognoso per una donna, o perché una donna dovrebbe essere censurata per aver scritto qualcosa di decoroso e appropriato per un uomo”.
È scontato precisare che senza l’intraprendenza e il coraggio di ormai note figure come le sorelle Brontë, George Eliot (Mary Anne Evans), Irene Némirovsky e tante altre, il cui impatto socio-culturale è stato parecchio significativo, la nostra epoca non sarebbe stata caratterizzata dai legittimi sconvolgimenti sociali atti a garantire alle figure femminili un ruolo dignitosamente all’altezza di quello delle loro “controparti” maschili.