L’operazione “Università bandita” ha sconvolto il mondo universitario catanese, coinvolgendo docenti, studenti e l’intero ateneo. La bomba giudiziaria, scoppiata qualche settimana fa dopo quattro anni di indagini, ha fatto emergere un sistema nascosto di concorsi truccati e corruzione.
Dopo le dimissioni del rettore Francesco Basile presentate lo scorso martedì 2 luglio, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha provveduto ad accettare le dimissioni e a dare mandato agli organi accademici di avviare le procedure per eleggere il nuovo rettore.
L’assenza del rettore ha generato all’interno del contesto accademico un vero e proprio vuoto nella struttura organizzativa universitaria. Nell’ateneo, infatti, i poteri accademici, dalla convocazione di vari organi statutari all’emanazione dello Statuto e dei regolamenti, sono interamente attribuiti al rettore e, in sua assenza, al prorettore. Lo Statuto d’Ateneo, all’art. 6, comma 9, prevede che: “Il rettore designa un prorettore, scelto tra i professori di ruolo di prima fascia a tempo pieno. Il prorettore sostituisce il rettore in ogni sua funzione in caso di assenza o impedimento.”
In questo specifico caso, a nulla servono le regole poste dallo statuto, in quanto anche il prorettore Giancarlo Magnano San Lio è stato sottoposto alle indagini e sospeso dal Gip di Catania. Lo statuto non dà alcuna indicazione in caso di assenza di entrambe le figure.
Questo ha generato grandi polemiche, soprattutto dopo l’insediamento del decano, il professore Vincenzo Di Cataldo. Il decano è il professore ordinario più anziano d’età che, secondo l’art. 12 del Regolamento elettorale di Ateneo, in caso di anticipata cessazione della carica, su invito del Senato accademico, indice le elezioni del rettore e stabilisce le date delle votazioni in modo che le stesse si concludano entro 60 giorni dalla cessazione della carica.
Secondo molti, però, il decano non avrebbe alcun potere di iniziativa d’autonoma e non avrebbe potuto convocare d’urgenza il Senato accademico. La confusione generata aumenta notevolmente rispetto alla pubblicazione del bando di concorso per l’accesso ai corsi di dottorato di ricerca dell’Università di Catania pubblicato nella giornata di ieri. Ci si chiede se il bando indetto sia regolare e se il decano stia esercitando dei poteri sostitutivi che non avrebbe potuto esercitare perché non espressamente regolamentati.
“Ignorantia legis non excusat”, recita la locuzione latina sulla presunzione della conoscenza della legge, applicabile proprio a questo caso specifico. Esiste, infatti, un decreto legislativo, tuttora vigente, che regolamenta i poteri del decano, in caso di revoca del rettore per gravi motivi, e legittima i poteri sostitutivi già esercitati.
L’art. 2 del Decreto luogotenenziale n. 264 del 7 settembre 1944 recita: “Anche prima della scadenza del triennio, il Ministro può, per gravi motivi, sentito il Consiglio dei Ministri, revocare il rettore o direttore, invitando il Corpo accademico a procedere ad una nuova elezione. Nel frattempo il professore più anziano del Corpo accademico assume le funzioni di rettore o direttore.”
Questa norma viene ritenuta dalla giurisprudenza efficace per ogni ipotesi di cessazione del rettore dalla sua carica, ricomprendendo anche il caso dell’Ateneo di Catania. Il decano Di Cataldo può, quindi, esercitare tutte le funzioni demandate dallo Statuto di Ateneo al rettore e può curare la gestione dell’Università fino alla elezione del nuovo rettore. La pubblicazione del bando per i dottorati di ricerca rientra, pertanto, tra le varie funzioni esercitabili.