Problemi occupazionali che investono in pieno i giovani siciliani e ancor di più coloro i quali hanno deciso di affrontare gli studi universitari per poi immettersi nel mondo del lavoro, ma che trovano dalla loro solo poche opportunità lavorative. È questo il dato allarmante che esce fuori dall’analisi di Rosario Faraci, professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all’Università degli Studi di Catania.
Lo scorso 28 novembre, tramite un post su Facebook, il professore Faraci ha messo in evidenza che rispetto alla Lombardia, e Milano in particolare, la Sicilia ha “[…] un saldo negativo di quasi 5.000 laureati all’anno che in teoria dovrebbero esser costretti ad andar fuori per trovare lavoro. Ma, in realtà, sappiamo bene che il numero è anche superiore […]“. Una analisi puramente algebrica, che nasce dai dati Excelsior e Almalaurea. Il problema riguarda ciò che il Professore ha definito sistema Sicilia, indicando con questa formula l’incapacità della nostra offerta lavorativa di assorbire tutti i laureati usciti dalle quattro università siciliane.
A tal proposito il professore Faraci spiega ai microfoni di LiveUnict: “Nel Rapporto di Riesame ciclico del corso di Economia Aziendale, recentemente esitato dal corso di laurea che coordino, abbiamo sottolineato che una delle criticità negli sbocchi occupazionali del laureato a Catania è la modesta capacità di assorbimento del settore privato. Si creano meno posti di lavoro di quanti siano i laureati, generalmente parlando. La Lombardia ha generato nel 2017 un numero di nuovi occupati pari a 3,75 volte quelli creati dalla Sicilia. Quando si considera la porzione di laureati sul totale dei nuovi occupati, la Sicilia perde ancora terreno. Così non è possibile competere e i nostri ragazzi scappano per necessità non solo per opportunità. Per fortuna, ciò non vale per tutti gli indirizzi, ad esempio informatica ed ingegneria assicurano un buon rapporto fra laureati e occupati. Ma, in generale, il gap neo laureati – neo occupati oggi è notevole“.
Un gap dunque che investe generalmente tutti i dipartimenti accademici del Mezzogiorno, ma che di fatto trova delle varianti, anche significative asseconda del tipo di laurea conseguita. Nello specifico, guardando alle industrie presenti sul nostro territorio si potrebbe puntare ad un maggiore investimento e conseguente attrattiva occupazionale.
“Occorre ragionare in ottica di sistema — continua a spiegare il Professore — Non è solo quello che la Regione Sicilia dovrebbe fare, ad esempio puntando di più sull’innovazione digitale e sulle nuove tecnologie abilitanti di Industria 4.0, ma come lo dovrebbe fare. Ad esempio, chiamando a raccolta le imprese e provare a ragionare tutti in ottica di sistema, per attrarre nuovi investimenti nell’isola, rafforzare le aziende esistenti e favorire la nascita di start up e nuove imprese. Il settore privato va incoraggiato ed incentivato a promuovere politiche per l’occupazione attraverso nuovi investimenti“.
Si potrebbe pensare pertanto in termini di progetti per migliorare le condizioni lavorative della nostra amata isola. Infatti, come ci racconta il professore Faraci, è nato già un piano strategico portato avanti dalla Regione Siciliana: “Il Presidente Musumeci e l’assessore Armao hanno recentemente insediato un comitato scientifico di esperti che sta lavorando al Piano Strategico 2030 per la Sicilia. Faccio parte di questo comitato insieme ad altri colleghi dell’Università di Catania (i professori Maurizio Caserta e Fabrizio Tigano) e ovviamente abbiamo tutti il dovere di individuare tre-quattro assi di futuro sviluppo economico della Sicilia da qui al 2030, superando le tradizionali distinzioni esistenti fra agricoltura, commercio, industria e turismo che creano solo compartimenti stagni. Oggi c’è forte convergenza fra tutti i settori dell’economia e le nuove tecnologie, soprattutto le digitali, accelerano questa convergenza“.
Tuttavia la soluzione al gap occupazionale non può essere risolto in modo unilaterale da parte delle istituzioni, sono chiamate ad attivarsi in tal senso anche le nostre università, quelle che di fatto formano i lavoratori del domani e che non possono non tener conto di un mondo del lavoro e di una competitività che si evolvono in modo sempre più costante.
“Più che ad Università del futuro penso ad Università per il futuro — conclude il professore Faraci — che recuperano, soprattutto nelle attività di terza missione, la loro funzione sociale nel trasferimento tecnologico, nella creazione di spin off, nella incentivazione alla nascita di start up innovative e nella generazione di nuove competenze. L’Università rimane essenzialmente una Casa della Conoscenzae non può di certo abdicare a questa sua funzione, che però non esercita più in via esclusiva. Ma la Conoscenza di cui è portatrice l’Università va declinata meglio, nella ricerca e nella didattica, e deve essere di impatto e rilevante. Oggi però anche la Terza Missione [interazione diretta fra Università e società, ndr] ha un suo ruolo importante perché è qui che le Università collaborano più attivamente con gli altri attori del territorio per creare sviluppo ed elevarne la competitività“.