
Natale e pace: la lettera di Renna ai fedeli Catanesi. In un tempo storico segnato da conflitti armati, tensioni sociali e nuove paure collettive, il Natale torna a interrogare le coscienze non come semplice ricorrenza religiosa, ma come evento capace di incidere profondamente nella vita personale e comunitaria.
È in questo contesto che si inserisce la lettera natalizia dell’arcivescovo di Catania, mons. Luigi Renna, un messaggio denso di richiami biblici, riferimenti al magistero della Chiesa e lettura attenta delle sfide del presente. Al centro del testo c’è la pace, intesa non come concetto astratto, ma come scelta quotidiana che richiede responsabilità, vigilanza e creatività cristiana. Un invito rivolto non solo ai credenti, ma a tutta la comunità civile.
Monsignor Luigi Renna è arcivescovo metropolita di Catania dal 2022 ed è una delle voci più autorevoli dell’episcopato italiano nel dibattito su pace, giustizia sociale ed educazione. Con un forte radicamento biblico e una particolare attenzione ai temi della nonviolenza, della legalità e del dialogo, Renna ha più volte sottolineato il ruolo della Chiesa come presidio culturale e spirituale nei territori segnati da disuguaglianze e fragilità.
La sua azione pastorale si caratterizza per uno sguardo lucido sulla realtà contemporanea e per un linguaggio capace di coniugare fede e impegno civile. Anche questa lettera natalizia si colloca in tale prospettiva, proponendo il Natale come occasione di conversione personale e collettiva, lontana da ogni retorica.
Riportiamo integralmente il testo della lettera natalizia dell’arcivescovo di Catania, mons. Luigi Renna:
“Sarà una cosa un po’ bizzarra, come se ne vedono in tanti presepi, mettere un lupo accanto alla mangiatoia dove è stato deposto l’Agnello di Dio? Dove Maria e Giuseppe, con la beatitudine della loro mitezza hanno fatto di una stalla la casa del Figlio di Dio perché non c’era posto per loro nell’albergo? Si troveranno a loro agio i pastori che hanno attraversato la valle lasciando le loro greggi nei recinti, al riparo da bestie feroci? E gli angeli fermeranno il loro canto di gloria a Dio e pace agli uomini amati dal Signore, davanti a questa incursione nel presepe?
Eppure non c’è annuncio più bello di questo per dire che la venuta del Messia può lasciare il segno sulla terra: ‘Il lupo dimorerà insieme con l’agnello…” (Is 11,6).
È la profezia di Isaia, che abbiamo bisogno di riascoltare nel profondo del cuore e di “gridare sui tetti” delle case, dei giornali, dei mass media, dei nuovi ritrovati dell’intelligenza artificiale. Lo ha chiesto a tutti i credenti che sono in Italia papa Leone XIV, quando per la prima volta ha parlato a noi vescovi: ‘Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa’ (Discorso all’80esima assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana, 17 giugno 2025).
La pace richiede la nostra presenza cristiana vigile e generativa: in questi aggettivi c’è tutto, per vivere il Natale del Signore come la storia di un evento che lascia i suoi effetti nelle nostre storie, nelle quali la pace ha sempre bisogno di manutenzione, come tutte le verità in cui crediamo. La ‘manutenzione’ della propria coscienza ci fa chiedere: «Ma io ci credo alla pace come me la insegna Gesù Cristo? Credo alla pace ‘disarmata e disarmante’, come ci ha ripetuto il Papa’? In questo momento storico è necessario “vigilare e ed essere generativi”, perché ci sono nel mondo tante guerre; oggi si parla non solo di legittima difesa, ma di riarmo di intere nazioni, come non se ne parlava da novanta anni, quando si cominciavano a riempire gli arsenali per la seconda guerra mondiale; il mito delle armi torna a livello internazionale, persiste nella cantine dove sono nascoste quelle di tanti che hanno scelto di essere il braccio armato della criminalità; si torna a pensare una “leva obbligatoria” dimenticando che non c’è più nulla di urgente che l’istruzione, la carità, la giustizia, che forse meriterebbero qualche incoraggiamento in più nell’educazione civile e religiosa dei nostri ragazzi.
La violenza è dilagante anche nelle città e nei paesi, con continui allarmi sulla sicurezza, e la sola repressione non basta. La legittima difesa è opportuna a tutti i livelli, ma in nessuna partita che si voglia vincere si gioca solo ‘in difesa’, è ‘l’attacco’ della pace e la nonviolenza quello che ci permetterà di crescere in una convivenza pacifica. Ritorniamo al presepe e san Francesco, di cui l’anno prossimo celebreremo gli ottocento anni dalla morte. Nei Fioretti si narra che egli si avvicinò ad un lupo che infestava le campagne di Gubbio, e con queste parole lo convertì: ‘Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, […] guastando e uccidendo le creature di Dio senza sua licenza, e non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardire d’uccidere uomini fatti alla immagine di Dio; per la qual cosa tu sei degno delle forche come ladro e omicida pessimo; e ogni gente grida e mormora di te, e tutta questa terra t’è nemica. Ma io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro, sicché tu non gli offenda più, ed essi ti perdonino ogni passata offesa, e né li uomini né li cani ti perseguitino più’. E dette queste parole, il lupo con atti di corpo e di coda e di orecchi e con inchinare il capo mostrava d’accettare ciò che santo Francesco diceva e di volerlo osservare’ (Fioretti di san Francesco, cap. XXXI).
Il dialogo con il lupo, che forse, secondo gli studiosi, era un semplice brigante della zona, e l’esortazione che san Francesco gli fece, si possono tradurre in tanti modi. Anzitutto nel mitigare l’aggressività che è in noi: abbassare i toni, ascoltare, dialogare, trovare le ragioni per venirsi incontro. Con tutti i vescovi vi invito a dire forte ‘Nitido il no a ogni linguaggio e pratica d’odio: al razzismo, all’antisemitismo, all’islamofobia, alla cristianofobia, alla violenza di genere (su donne e persone omoaffettive). La cultura del rispetto deve diventare grammatica quotidiana della vita associata e anche nel rapporto col creato vanno superati approcci violenti e sfruttatori, per orientarsi invece alla cura’ (Cei, Nota pastorale Educare ad una pace disarmata e disarmante, 2025).
Il nostro modo di guardare ai conflitti mondiali, alle guerre che insanguinano i Paesi più poveri da decenni, all’Europa, sogna che il lupo dimori con l’agnello?
Ancora con gli altri vescovi d’Italia vi ricordo: ‘La logica democratica nelle relazioni fra popoli e Stati è autentica quando abbandona ogni pretesa di unilateralità. La ricerca del bene comune si fa sempre con gli altri, mentre fallisce con approcci identitari, che dividono e separano (ivi)’. Incamminati verso il presepe, chiediamoci se abbiamo un cuore disarmato e disarmante, come quello dell’Agnello di Dio che è venuto ad insegnarci e a darci la grazia di divenire miti e pacifici. Deponiamo davanti alla mangiatoia le armi di ogni tipo, perché il lupo dimori con l’agnello e la pace cantata dagli angeli a Betlemme trovi eco nel nostro tempo”.
(Il testo è riportato integralmente come diffuso dall’Arcidiocesi di Catania.)
La lettera natalizia di mons. Renna è un richiamo diretto alla responsabilità personale dei fedeli, chiamati a non delegare la costruzione della pace a governi o istituzioni. Il presule invita a una “manutenzione della coscienza”, un’espressione forte che richiama l’urgenza di interrogarsi su linguaggi, atteggiamenti e scelte quotidiane.
Dal rifiuto dell’odio e della violenza fino alla condanna del razzismo, dell’antisemitismo e di ogni forma di discriminazione, il messaggio è chiaro: la pace si costruisce partendo dal cuore e dalle relazioni più vicine. Il presepe diventa così simbolo di una rivoluzione silenziosa, in cui la mitezza vince sulla forza e il dialogo disarma il conflitto.
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