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Beppe Montana, l’eroe che sfidò la mafia: 40 anni di memoria

Nel 40° anniversario dell’omicidio, Beppe Montana viene ricordato come simbolo di coraggio, legalità e impegno nella lotta alla mafia.

Porticello, 28 luglio 1985. Un pomeriggio d’estate come tanti, un momento di pausa, una gita in barca. Il commissario Beppe Montana è lì, sul molo, con la sua fidanzata: capelli ancora umidi, costume da bagno, lo sguardo rilassato. Lo chiamavano “Serpico“, per la sua abitudine di stare in prima linea come nel film con Al Pacino. All’improvviso, i colpi esplodono alle sue spalle: pistole calibro 357 Magnum e due colpi di calibro 38 ad espansione. Improvvisamente, fu circondato da tre killer: uno dei sicari, Agostino Marino Mannoia, sparò il colpo letale, mentre Lucchese e Greco ferirono gravemente il commissario. È un agguato. È la mafia. È la morte di un uomo di soli 34 anni, uno dei più brillanti investigatori della squadra mobile di Palermo. Era domenica, la vigilia delle sue ferie: la mafia colpì nel momento di massima vulnerabilità, per lanciare un messaggio chiaro allo Stato.

Oggi, quarant’anni dopo, in quella stessa piazza sul lungomare che oggi porta il suo nome, la Repubblica italiana si ferma. Lo Stato lo onora, la cittadinanza lo ricorda, la Sicilia – quella onesta – lo piange e lo ringrazia. Giuseppe “Beppe” Montana è diventato un simbolo, un faro per le nuove generazioni, un eroe vero, ucciso perché aveva osato infrangere il mito dell’impunità mafiosa.

L’estate del sangue: il prezzo dell’onestà

L’estate del 1985 fu un’ecatombe di uomini dello Stato. In quegli anni Beppe Montana dichiarò fermamente: “a Palermo siamo poco più d’una decina a costituire un reale pericolo per la mafia. […] se i mafiosi decidono di ammazzarci possono farlo senza difficoltà”.

Il 24 luglio 1985 la Catturandi, squadra d’élite specializzata nell’arresto di latitanti, aveva arrestato otto affiliati della famiglia Greco: un duro colpo per il clan. Quattro giorni dopo, arrivò l’agguato mortale, 28 luglio 1985 Montana fu ucciso dalla mafia. A pochi giorni dall’omicidio di Montana, la mafia colpì ancora: il vicequestore Antonino Cassarà venne ucciso in un agguato insieme all’agente Roberto Antiochia, davanti casa sua.

Era Il 6 agosto 1985, Antiochia mentre accompagna il vice questore Cassarà presso la sua abitazione, in via Croce Rossa a Palermo, un commando armato di kalashnikov, appostato nel palazzo di fronte a quello dove vive il vice questore, cominciò a sparare sull’Alfetta di scorta. Antiochia viene colpito a morte mentre cerca di fare scudo con il suo corpo a Cassarà che era sceso dall’auto. Pur colpito a morte, Cassarà riuscì a raggiungere il portone, ma spirò tra le braccia della moglie Laura, accorsa dopo aver visto l’accaduto, insieme alla figlia, dal balcone della sua abitazione. Tre nomi. Tre simboli. Tre storie intrecciate nella lotta per la legalità. Montana, Cassarà, Antiochia: poliziotti determinati, preparati, coraggiosi. Non si limitavano a inseguire i mafiosi: li catturavano, li smascheravano, contribuivano alle inchieste che avrebbero portato, pochi anni dopo, al Maxiprocesso di Palermo.

Il lavoro investigativo di Montana e Cassarà fu infatti fondamentale per il pool antimafia guidato da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Collaboravano con i magistrati, raccoglievano prove, costruivano dossier. La mafia, che aveva fiutato il pericolo, non poteva permettersi di lasciarli in vita.

L’omaggio dello Stato: “Servitori dei valori della comunità”

La cerimonia commemorativa, svoltasi questa mattina tra Porticello e Palermo, ha visto la partecipazione delle più alte cariche civili e militari, tra cui il capo della Polizia Vittorio Pisani. Alle 11:30, il primo omaggio nella piazza dedicata a Montana. Poi, a Palermo, la deposizione di una corona d’alloro alla Squadra Mobile.

Un gesto solenne, carico di significato, per ricordare non solo un investigatore, ma anche un costruttore instancabile della verità. Beppe Montana fu tra i fondatori della celebre sezione “Catturandi” di Palermo, squadra d’élite specializzata nell’arresto di latitanti. A lui si devono alcuni tra i più significativi successi dello Stato contro la mafia negli anni più bui, quando Cosa Nostra sembrava invincibile. In un epoca senza intercettazioni digitali e senza tracciabilità diffusa, la sua sezione riuscì a colpire duramente l’architettura di potere criminale, dimostrando che la latitanza non è mai un rifugio inviolabile. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto rendere omaggio al commissario e ai suoi colleghi uccisi in quei tragici giorni: “la Repubblica si inchina nel loro ricordo. Montana, Cassarà, Antiochia furono investigatori intelligenti e tenaci. La mafia li temeva, perché colpivano al cuore le cosche.”

Un uomo tra la gente, non solo un commissario

Oltre che un investigatore straordinario, Beppe Montana era un uomo profondamente legato ai valori civici. Credeva nel futuro dei giovani, nella cultura come strumento per sconfiggere la mentalità mafiosa. Entrava nelle scuole, parlava ai ragazzi, raccontava storie di coraggio e legalità. “Storie di uomini come lui”, ha ricordato la Polizia di Stato. Perché Montana non predicava da un pulpito: era l’esempio vivente di quella Sicilia che non si arrende, che lotta, che sogna un futuro diverso.

Il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, ha espresso profonda commozione per la ricorrenza: “il suo nome vive nella memoria della Sicilia onesta. Onorarlo significa rinnovare ogni giorno il nostro impegno per la legalità.” Il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, ha parlato di un esempio indelebile, sottolineando come il lavoro della Catturandi abbia scardinato i vertici mafiosi: “non basta commemorare, dobbiamo agire. Lo dobbiamo a Montana e a tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per lo Stato.”

In un’Italia che ha ancora bisogno di eroi silenziosi, Montana rappresenta un modello. Un uomo che non si è piegato. Un servitore dello Stato che ha scritto con il proprio sangue una delle pagine più nobili della nostra storia repubblicana. La forza della memoria come arma contro l’omertà, un tema approfondito anche nell’articolo “Giornata della lotta alla mafia: riflessioni e iniziative” su Catania Live University, dove si racconta come l’impegno civico e l’educazione siano fondamentali per costruire un futuro libero da ogni forma di criminalità.

Un’eredità viva: legalità, giustizia, coraggio

Oggi, a quarant’anni da quel pomeriggio di sangue, la memoria di Beppe Montana non è un ricordo sbiadito. È una scintilla che continua ad accendere le coscienze. È l’urgenza di non abbassare la guardia. È la responsabilità collettiva di proseguire quella lotta, in ogni angolo della società.

La mafia ha provato a spegnere una luce, ma ne ha accese mille. Il sacrificio di Beppe Montana, come quello di Cassarà, Antiochia, Giuliano, Falcone, Borsellino, non è stato vano. Hanno acceso un fuoco che brucia ancora oggi nei cuori di chi crede in un’Italia diversa. Che la loro memoria non sia solo commemorazione, ma impegno quotidiano. Che ogni cittadino si senta chiamato a difendere quei valori per cui Montana ha vissuto e per cui è morto, non è solo una pagina di storia: è un esempio che parla a ciascuno di noi, specialmente a chi ha il potere di cambiare il futuro. La sua vita ci ricorda che il coraggio non è solo per gli eroi nei film, ma per chi sceglie di alzare la voce, di non girarsi dall’altra parte, di essere protagonista nella propria comunità. Oggi, la sua sfida è anche la nostra: combattere ogni forma di ingiustizia con passione, nonostante la paura, perché solo così possiamo costruire un mondo libero dalla mafia.

Il suo sacrificio è un invito a non smettere mai di lottare, perché il vero potere nasce dalla scelta di non arrendersi mai. Perché la legalità non è solo una parola. È una scelta. È resistenza. È futuro.

Dalila battaglia

Studentessa di Giurisprudenza con la penna affilata e uno sguardo curioso sul mondo. Unendo la passione del diritto alla scrittura giornalistica, crede che la giustizia sia la chiave per un futuro più equo, dove le leggi siano strumenti di cambiamento e protezione, e non di esclusione.

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