
Il fumetto è un linguaggio potente, immediato, accessibile. Non richiede competenze complesse per essere fruito: le immagini parlano anche dove le parole mancano, aprendo uno spazio di comprensione per un pubblico vasto e trasversale. Proprio per questo motivo, oggi rappresenta uno dei mezzi più efficaci per raccontare esperienze e identità spesso marginalizzate, come quelle LGBTQIA+.
Durante l’incontro “Fumetti Queer: le rappresentazioni LGBTQIA+ nella nona arte”, tenutosi presso la Sala ACI – Dungeon Room, si è discusso di come la cultura pop, e in particolare il fumetto, abbia rappresentato (o trascurato) le identità queer. Un confronto ricco, articolato e attraversato da consapevolezza e impegno, con la partecipazione di Giorgio Antonio Pluchino e Daniele Russo di Arcigay Catania, moderato da Valerio Votadoro.
Giorgio Antonio Pluchino ha aperto l’incontro con un approfondito excursus storico sul fumetto e sulle sue connessioni con la censura e l’identità queer. Negli anni ‘50, il saggio “La seduzione dell’innocente” accusava i fumetti di corrompere la gioventù, suggerendo una correlazione tra lettura di fumetti e criminalità. Si puntava il dito contro personaggi come Wonder Woman, considerata lesbica, o Batman e Robin, il cui rapporto veniva interpretato in chiave omoerotica. Le accuse ebbero un impatto tale da portare alla nascita del “Comics Code Authority” , una sorta di autocensura delle grandi case editrici, che proibiva la rappresentazione di zombie, vampiri, violenza, ma anche dell’amore omosessuale (come se fossero paragonabili).
Tuttavia, la censura non ha potuto fermare del tutto la necessità di raccontare la complessità umana. Negli anni ’70 alcune realtà indipendenti, come collettivi femministi, cominciarono a produrre fumetti alternativi, autopubblicati in contesti informali: In queste storie venivano affrontati temi tabù: il ruolo della donna nella società, il coming out lesbico, l’esplorazione della propria identità. Fu un atto rivoluzionario e profondamente politico.
Oggi, la rappresentazione queer è decisamente più diffusa, ma non sempre autentica. “Le nostre esistenze sono finalmente rappresentate – afferma Pluchino – ma spesso ancora sotto forma di stereotipi o caricature.” La presenza di personaggi queer in ogni serie non è una forzatura, ma un riflesso della realtà: “Anche nella vita ci sono persone queer ovunque – dice – quindi è giusto che ci siano anche nella narrazione.”
Comprendere davvero queste esperienze richiede uno sforzo consapevole: l’empatia si allena, giorno dopo giorno, e passa anche attraverso l’ascolto, la lettura e la visione di storie diverse dalla propria. È compito di tutti contribuire a un immaginario più inclusivo, autentico e rispettoso, dove nessuno si senta fuori posto.
Durante l’evento abbiamo intervistato Ivan Di Marco, attivista di Arcigay Catania, ponendogli alcune domande fondamentali sul rapporto tra fumetti e rappresentazione LGBTQIA+.
“È uno strumento potentissimo, perché arriva anche a chi non ha una formazione culturale elevata. L’immagine comunica più rapidamente delle parole, e quindi può sensibilizzare, educare, coinvolgere anche chi normalmente non leggerebbe saggi o romanzi sull’argomento.”
“È fondamentale. Ma non basta ‘mettere un personaggio queer’. Non si tratta di rappresentanza, ma di rappresentazione: è importante che le storie siano verosimili, profonde, e che i personaggi queer non siano decorativi, ma parte integrante e reale della narrazione. Nella realtà, in un gruppo di quattro amici, almeno uno è queer. Dunque non è forzato: è realistico.”
“Ogni identità queer ha i suoi stereotipi: i bisessuali sono visti come promiscui, le persone trans vengono dipinte come disturbanti. Serve raccontare persone queer nella loro normalità, e per farlo, idealmente, dovrebbero essere le persone queer stesse a scrivere e disegnare queste storie. Non è un’esclusione – esistono esempi come Michela Murgia – ma spesso le grandi case editrici sfruttano il tema perché ‘vende’, senza avere consapevolezza vera.”
“Chi vuole partecipare può farlo tesserandosi, entrando nei nostri gruppi attivi: Salute, Cultura, Giovani, Donne, Trans e Famiglie Orgogliose. Ma anche semplicemente da fruitori: parlando delle nostre iniziative, sostenendole, venendo agli eventi. La visibilità parte dal coinvolgimento.”
“È importantissimo. Significa normalizzare le nostre esistenze. Far sapere che non siamo un’eccezione, né un’imposizione. Esistiamo in ogni contesto: universitario, lavorativo, familiare. Questi incontri sono un modo per farsi conoscere, per essere ascoltati, per generare consapevolezza.”
Eventi come questo dimostrano che la cultura può essere uno spazio di resistenza e crescita collettiva. Come hanno sottolineato gli organizzatori Valerio Votadoro, Giorgio Antonio Pluchino e Daniele Russo, l’obiettivo non è solo discutere del presente, ma tracciare un percorso verso un futuro narrativo dove ogni identità sia rappresentata con dignità, accuratezza e verità.
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