Un nuovo capitolo si aggiunge alla lunga e complessa storia dell’accesso a Medicina: nel 2025 è stata approvata la riforma che abolisce ufficialmente il temutissimo test d’ingresso, sostituendolo con modalità di selezione degli studenti ancora poco definite e al centro di un acceso dibattito.
Dopo aver raccolto le opinioni degli studenti, diretti interessati del cambiamento, abbiamo ascoltato anche il fondamentale parere di chi accompagna gli stessi in due dei momenti più importanti del percorso accademico: i docenti dei primi e degli ultimi anni della facoltà di Medicina dell’Università di Catania. Per offrire un quadro ancora più completo, abbiamo intervistato anche il Presidente di uno degli organi del corso di laurea, che ha condiviso la sua visione sulle potenzialità e criticità della riforma.
La riforma in sintesi
Il recente provvedimento, il cui obiettivo è aumentare il numero di medici formati rispondendo alla carenza di personale sanitario, segna una svolta storica nell’accesso ai corsi di Medicina e Chirurgia. Il tradizionale test di ammissione è stato abolito, consentendo a tutti gli aspiranti medici di immatricolarsi al primo semestre senza selezione iniziale. In realtà, la selezione è stata solo posticipata alla fine del primo semestre, basandosi sui risultati ottenuti dagli studenti negli esami previsti.
Questa graduatoria nazionale dovrebbe garantire valutazioni più eque e un focus sul merito. Gli studenti che non la supereranno potranno comunque vedersi riconosciuti i crediti acquisiti per iscriversi ai corsi di laurea affini.
Le critiche dei docenti: “Una selezione inefficace e disorganizzata”
Analizzando il contenuto della legge delega, un dato è subito evidente: la riforma non coinvolgerà solamente gli aspiranti medici, ma avrà un impatto diretto anche sui docenti, la cui opinione, d’altronde, non è stata adeguatamente considerata. Abbiamo quindi chiesto ai docenti di UniCt non solo un parere sulla riforma ma anche di formulare previsioni sui possibili impatti e miglioramenti della suddetta, sia nel contesto universitario che nel tentativo di affrontare i problemi che affliggono il sistema sanitario.
La forte perplessità sulla nuova modalità di selezione li accomuna tutti. “Sarà un disastro”, commenta amaramente uno dei docenti del primo anno che vanta un’esperienza ventennale di insegnamento. A suo giudizio, il test d’ingresso, pur con i suoi limiti, rappresentava un modo equo per selezionare gli studenti da ammettere al CdLM. “Con questa riforma il numero chiuso non è stato abolito, ma la selezione sarà soltanto rimandata al secondo semestre e, a quanto sembra, la decisione peserà sui docenti del primo semestre. Ciò comporterà differenze notevoli di valutazione a livello locale ma soprattutto nazionale, dipendenti dal docente, escludendo naturalmente possibili influenze e pressioni ‘esterne'”, continua, esprimendo una lecita preoccupazione sulla gravosa responsabilità che li investirà.
Uno dei principali problemi emersi riguarda poi l’elevato numero di iscritti al primo semestre, che potrebbe costringere gli Atenei ad optare per le lezioni online, riducendo così il rapporto diretto tra studenti e docenti, compromettendo inoltre la qualità della preparazione con importanti ricadute sulla loro formazione professionale. È proprio la qualità della preparazione che si troverebbero inevitabilmente a rendere, che preoccupa maggiormente i docenti, soprattutto con riguardo alla valutazione.
“L’ingresso indiscriminato e la corsa al voto più alto nel primo semestre potrebbe creare problemi. Possiamo esser sicuri che su tutto il panorama nazionale la votazione dei ragazzi sarà equa e non influenzata da ‘raccomandazioni’?”, commenta il docente riflettendo su quanto il carico di esami che investirà gli insegnanti del primo anno sarà decisamente sproporzionato, con il rischio di sottoporre agli studenti prove affrettate e poco approfondite, che potrebbero non rifletterne realmente la preparazione.
Ad aggravare questo quadro, lo stesso evidenzia la criticità data dalla scelta delle materie, non strettamente cliniche, su cui si baserà la selezione: “Le materie che studieranno al primo semestre saranno fisica, biologia e credo informatica: sono materie cliniche? no! non cambia nulla rispetto al test quindi. Sti poveri ragazzi verranno selezionati sulla base di materie non mediche”.
L’impatto della riforma nel post-università
Molti professori hanno sottolineato come la riforma incida anche su ciò che attende i futuri medici una volta concluso il loro percorso universitario. È forte il dubbio circa la reale efficacia nel risolvere la carenza dei medici.
“È una riforma fatta di pancia e senza lungimiranza. Ricordiamoci che non mancano i laureati, mancano gli specialisti. Per anni il numero di borse di specializzazione è stato troppo basso e ora ne stiamo pagando le conseguenze. Inoltre, stiamo assistendo ad un controsenso storico in cui molte borse di specializzazione non vengono assegnate perché non scelte dai candidati”, spiega uno dei docenti dell’ultimo anno.
Il vero nodo, secondo lui, è il numero insufficiente di borse di specializzazione, che ha portato molti medici a rimanere bloccati in una fase di precarietà, ma soprattutto allo sviluppo di una tendenza preoccupante: “Quest’anno il 100% delle borse di dermatologia sono state assegnate e meno del 50% di quelle di medicina d’urgenza! Il motivo è semplice, si punta ai soldi (fare il dermatologo privato è remunerativo) e ad evitare carriere che ti tengano impegnati notti, festivi, ecc. E poi, giustamente, a parità di remunerazione vengono scelte le specialità meno coinvolte in problemi medico legali. La soluzione è facile: raddoppiare gli stipendi di chi lavora in specializzazioni a rischio (pronto soccorso su tutti) e depenalizzare l’atto medico (ciò non significa che il dolo passi in cavalleria, sia chiaro!) Ma non credo che chi dovrebbe decidere in tal senso abbia intenzione a farlo”.
La voce di un organo del CdLM: “Un’opportunità da gestire con attenzione”
Diverso è il parere del Presidente di uno degli organi del CdLM, che vede nella riforma un passo avanti in termini di equità e accessibilità. “È un’azione a più ampio respiro che mira a dare l’opportunità a tutti i nostri giovani di evitare importanti costi per la preparazione in vista dei test di ammissione. La preparazione adeguata sarà fornita dalle Università e rispetta dei criteri più democratici”. Sottolinea anche che la riforma prevede un aumento progressivo dei posti disponibili, con l’obiettivo finale di eliminare del tutto il numero chiuso. Questo, a suo avviso, potrebbe rappresentare una risposta efficace alla crescente carenza di medici, che in Europa ha raggiunto livelli critici, anche a causa del forte calo di vocazione nelle aree dell’emergenza/urgenza, per cui è necessaria una maggiore attenzione.
Riconosce tuttavia, che la gestione del primo semestre sarà una sfida per gli Atenei visto il grande numero di studenti da gestire: “Servirà un coordinamento ragionato e programmato per tempo tra tutte le aree scientifiche al fine di garantire una proposta di qualità”. Un passo da attuare con scrupolosità, attendendo aspettare i decreti attuativi per comprendere meglio le dinamiche della riforma.
Una riforma che divide
Le opinioni raccolte tra i professori evidenziano dunque una netta spaccatura tra chi teme un sovraccarico di studenti, una selezione poco efficace e un peggioramento della qualità della formazione e chi invece legge nella manovra un mezzo per rendere l’accesso più equo e formare al meglio il futuro personale sanitario.
Se questa riforma rappresenterà effettivamente un passo avanti o un ulteriore insuccesso per la formazione medica lo dirà solo il tempo, quel che è certo è che il dibattito è tutt’altro che concluso e che sarà rimesso, chissà se purtroppo o per fortuna, agli Atenei il successo o il fallimento della nuova selezione.