Sicilia la terza regione per corruzione sul lavoro: un grave allarme sociale

La nostra Sicilia è la terza regione per irregolarità sul lavoro. Molti lavoratori non regolari purtroppo non hanno altra scelta.

Gli introiti legati al mondo del lavoro irregolare in Italia continuano a crescere, raggiungendo i 68 miliardi di euro. Una parte significativa di questo valore nascosto, generato dall’economia sommersa, proviene dalle regioni del Sud. Qui, ogni giorno, l’economia informale intreccia le sue trame intricate, celando sotto il velo della quotidianità un mondo di lavoratori invisibili, ignorati dallo Stato. Questi fantasmi, sfruttati senza sosta, popolano un universo silenzioso che sembra non esistere, ma che è dolorosamente reale.

A rendere note queste statistiche è la CGIA. Spiegando come il tasso di regolarità sia concentrato in determinate categorie lavorativa. Secondo i dati raccolti, quest’ultimo raggiunge 42,6% nel settore dei servizi delle persone, quindi di colf e badanti. Sempre sul si trovano tutti quei lavoratori legati al settore dell’agricoltura, circa un 16,8%. Mentre al terzo posto il settore delle costruzioni con un 13,3%.

La Sicilia è la terza regione per irregolarità sul lavoro

Di quei 68 miliardi provenienti da lavori irregolari circa un 23,7 miliardi è riconducibile alle regioni del Mezzogiorno, un 17,3 a quelle Nordoveste, 14,5 alle regioni del centro e un 12 provenienti dalle regioni del Nordest. Se valutiamo la percentuale di questa somma rispetto al valore aggiunto totale delle regioni, la Calabria ha la percentuale più alta con l’8,3 per cento. Successivamente, ci sono la Campania con il 6,9 per cento, la Sicilia con il 6,6 per cento e la Puglia con il 6,2 per cento.

La nostra regione, oltre ad essere sul podio, è la terza regione d’Italia dove le regole sull’assunzione di nuovi lavoratoti sembrano proprio non esistere. In Sicilia il lavoro irregolare non solo è tollerato, ma spesso è percepito come una necessità. Le cause sono certamente riconducibili: alla mancanza di alternative economiche e all’alto tasso di disoccupazione. Secondo i dati raccolti dall’Istat sono circa 2.848.100 occupati non regolari stimati in Italia. Di cui 1.061.900 sono ubicati nel Mezzogiorno. E di questi un 16% si trova in Sicilia.

Sicilia: dove l’eco della povertà risuona

In Sicilia la situazione occupazione non è delle più floride. D’altronde anche chi ha un vero contratto in regola, spesso si ritrova a sfiorare la soglia della povertà. Stando ai dati raccolti, circa 250.000 lavoratori vivono al di sotto della soglia di povertà, nonostante abbiano un’occupazione fissa. Proprio in Sicilia, molte famiglie lottano per soddisfare anche le necessità più basilari, poiché i loro miseri stipendi non riescono a sostenere il peso delle spese quotidiane. D’altronde la maggior parte dei siciliani possiede: contratti atipici, part-time involontario, mancanza di continuità lavorativa, mancato rinnovo dei contratti nazionali e scarsa offerta di lavoro. In aggiunta, a livello nazionale, il potere d’acquisto dei salari è sceso del 4,5%, trascinando l’intero Paese e tutte le regione più “fragili” verso una povertà assoluta.

Quando il lavoro in nero diventa lavoro forzato

La situazione già precaria, si è aggravata durante il periodo pre e post Covid. Infatti,  proprio dopo la crisi economica provocata dalla pandemia, l’Italia ha affrontato una sfida senza precedenti. La CGIA rendo noto come in alcune aree del Paese, soprattutto al Sud, pezzi importanti dell’economia sono passati sotto il controllo delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Sono state proprio queste organizzazioni a sfruttare un grave momento di vulnerabilità. Le organizzazioni mafiose, con i loro imponenti investimenti economici, sono riuscite a infiltrarsi in settori chiave dell’economia: sostituendo lo Stato e le istituzioni legali, come principali attori economici. Riuscendo ad offrire finanziamenti e liquidità a imprese in difficoltà, acquisendo così il controllo su molte attività commerciali. Il fenomeno sembra aggravarsi in Sicilia, dove la presenza mafiosa ha profonde radici, fortemente ancorati al tessuto economico e sociale.

L’acquisizione di potere da parte della mafia non si è limitata agli investimenti economici. Le organizzazioni criminali hanno affiancato l’uso della violenza, delle minacce e del sequestro dei documenti per “conquistare” il favore di ampie masse di lavoratori, in particolare stranieri. Questo controllo coercitivo ha trasformato molte sacche di economia sommersa in veri e propri regimi di lavoro forzato. In poco tempo molti lavoratori sono stati trascinati in questo girone infernale.

Come denunciare un lavoro in nero

Per coloro che attualmente sono impegnati in un lavoro in nero, è importante sapere che ci sono varie strade legali per denunciare la propria situazione, anche in forma anonima. Tra queste:

  • denuncia al Sindacato;
  • comunicazione all’Ispettorato del Lavoro;
  • denuncia alla Guardia di Finanza.

Per far sì che la denuncia abbia seguito è fondamentale raccogliere: prove documentali e testimonianze che dimostrino l’esistenza di un rapporto di lavoro irregolare. È inoltre necessario fornire dettagli sulle mansioni svolte, indicare i dati identificativi dell’azienda per cui si lavora in nero e specificare l’importo percepito.

Ilaria Santamaria

Laureata in lettere e futura filologa comparatista. Ad occupare il mio tempo libero lunghe passeggiate sotto il sole e una buona lettura di un classico.

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Ilaria Santamaria

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