Aveva suscitato diverse polemiche e perplessità il ddl proposto dalla Lega, presentato una settimana fa al Senato dal parlamentare Manfredi Potenti, che prevedeva il divieto dell’uso del femminile per gli incarichi pubblici. Per molti, la notizia sembrava avere le sembianze di uno scherzo ma il ddl esisteva davvero, con il titolo “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere”. In questo modo, non sarebbe stato più concesso dire “sindaca”, “rettrice”, “questora”, “avvocatessa”. Coloro i quali non avessero rispettato quanto previsto dal ddl, avrebbero pagato sanzioni da un minimo di 1000 euro ad un massimo di 5000.
La proposta di legge è stata ritirata e la Lega precisa che l’iniziativa di Manfredi Potenti è del tutto personale. I vertici del partito, infatti, non condividono quanto riportato nel ddl Potenti il cui testo non rispecchia in alcun modo la linea della Lega.
Dall’opposizione, arrivano le prime reazioni alla notizia del ritiro della proposta. “La Lega ha costretto il senatore del Carroccio Manfredi Potenti a ritirare il disegno di legge ‘Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere. Ne siamo ovviamente contenti, ma a tutte e tutti dico: non sottovalutiamo il problema — dice Valeria Valente, senatrice del Pd, che continua —. È stato un fatto grave, non un’iniziativa ridicola o antistorica Pensare che la declinazione femminile di nomi istituzionali o professionali corrompa la lingua italiana e per questo prevedere anche multe salate, rivela un pensiero ben preciso: e cioè che le donne nella vita pubblica siano un orpello da cancellare e che il sistema, maschile e maschilista, sia il punto di riferimento per tutti, il neutro della soggettività maschile che tutto ingloba”.