Vietare uso del femminile per incarichi pubblici: è la proposta della Lega che ha creato non poche polemiche in Parlamento.
Una notizia che ha causato non poche polemiche e perplessità, quella della proposta della Lega che, con un disegno di legge presentato una settimana fa al Senato dal parlamentare Manfredi Potenti e dal titolo ‘Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere’, vieta l’uso del femminile per gli incarichi pubblici. In questo modo, non sarà più concesso dire “sindaca”, “rettrice”, “questora”, “avvocatessa”.
Per chi non rispetta quanto previsto dal ddl, sono previste delle sanzioni che vanno da un minimo di 1000 euro a un massimo di 5000. Lo scopo della proposta di legge è quello di “preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici dai tentativi ‘simbolici’ di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”, questo è quanto si legge nell’articolo 1.
Nell’articolo 2, invece, si dispone che “in qualsiasi atto o documento emanato da Enti pubblici o da altri enti finanziati con fondi pubblici o comunque destinati alla pubblica utilità, è fatto divieto del genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge”.
Una proposta che di certo non ha lasciato in silenzio le opposizioni, questa della Lega. “È senza confini la misoginia leghista. Ed anche ridicola, espressione di una sotto cultura priva di pensiero e di attenzione perfino a quanto raccomandato dall’ Accademia della Crusca“, commenta la capogruppo di AVS alla Camera Luana Zanella. Dal PD, invece, è intervenuta Michela Di Biase dicendo: “Secondo la Lega in nome della lingua italiana dovremmo sanzionare chi l’italiano lo parla correttamente. I trogloditi che per rimuovere il rispetto del genere femminile farebbero di tutto leggano la Treccani”.
Non finisce qui, perché le critiche arrivano anche dalla sociolinguista Vera Gheno che al Corriere della Sera spiega: “In primis, il senatore Potenti e chi ha proposto questo ddl sono persone che ignorano la storia stessa della lingua che dicono di voler difendere: i femminili esistono da tempi molto antichi (si vedano ministra e soprattutto avvocata, uno dei nomi della Madonna), quindi non si tratta di alcuna ‘sperimentazione’. Secondo, l’idea di sanzionare chi non si adegua alla loro ignoranza è degna dei peggiori regimi totalitari, complimenti”.
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