Il 15 marzo si è celebrata la giornata mondiale del fiocchetto lilla, dedicata ai disturbi del comportamento alimentare. A tal proposito il professore Caponnetto ha risposto ad alcune delle nostre domande in merito a tali disturbi.
Il 15 marzo si celebra la giornata mondiale del fiocchetto lilla, dedicata ai disturbi del comportamento alimentare. I disturbi alimentari sono molto diffusi al giorno d’oggi e molti adolescenti ne sono “vittime”. A tal proposito, considerando che ieri si è svolta la giornata dedicata ad essi, la redazione di LiveUnict ha deciso di intervistare il professore Pasquale Caponnetto docente di psicologia presso l’Università di Catania ed esperto in materia.
“I disturbi del comportamento alimentare sono disturbi psicopatologici potenzialmente mortali, che compromettono la salute fisica e il funzionamento psicologico e sociale dell’individuo. Sono disturbi caratterizzati da un rapporto patologico con l’alimentazione e da comportamenti di controllo del peso e delle forme del proprio corpo. I disturbi dell’alimentazione più conosciuti sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il binge eating disorder.
L’anoressia è un disturbo psicopatologico incentrato sul rifiuto di alimentarsi che porta a una cospicua perdita di peso, fino a uno stato limite. Per raggiungere il dimagrimento desiderato, le persone con anoressia possono mettere in atto condotte di eliminazione come il vomito autoindotto e l’uso di lassativi e diuretici o praticare un eccessivo esercizio fisico, dieta e digiuni.
La bulimia è caratterizzata da ricorrenti abbuffate dei soggetti che soffrono di questo disturbo, capaci di introdurre fino a 5000 calorie in un solo pasto. Durante queste abbuffate, l’ingestione del cibo è vorace, compulsiva, con scarsa attenzione ai sapori. Il cibo può essere di varia natura: dolci, pietanze fredde o addirittura ancora congelate. Tale condotta quasi sempre viene svolta in solitudine e, generalmente, prosegue finché la persona si sente così piena da stare male, ed è a quel punto che insorgono le condotte di eliminazione per prevenire l’aumento del peso. In altri casi, il peso corporeo è mantenuto mediante l’esercizio fisico esagerato o fasi di digiuno. Durante le crisi bulimiche gli individui hanno la sensazione di perdere il controllo di sé fino a riferire una sensazione di estraniamento, mentre dopo le crisi subentrano senso di colpa e autosvalutazione.
Il Binge Eating Disorder è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato da ricorrenti abbuffate di cibo che devono verificarsi almeno due volte a settimana e per tre mesi consecutivi. A differenza di altri disturbi alimentari, all’abbuffata non seguono pratiche di eliminazione o compensazione”.
“L’età più critica per l’insorgenza di un disturbo alimentare è solitamente compresa tra i 15 e i 25 anni. L’esordio in età infantile è più raro anche se negli ultimi anni si è assistito ad un certo aumento, specialmente per quanto riguarda l’anoressia nervosa, con insorgenza precoce già a 7 anni.
I casi di esordio tardivo si hanno solitamente tra le donne sopra ai 40 anni. Se l’aumento di peso che può verificarsi in questo periodo, magari a seguito della menopausa, viene contrastato con diete e abitudini inappropriate può favorire l’insorgere di una bulimia nervosa. Molto più rari sono invece i casi di anoressia”.
“Durante la pandemia da COVID-19 i casi di disturbi alimentari sono aumentati in media del 30% rispetto agli anni precedenti, con un abbassamento della fascia di età (13-16 anni) e un incremento delle diagnosi soprattutto di anoressia nervosa. Lo segnalano i centri multidisciplinari, pubblici e privati, affiliati all’ADI – Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica.
I disturbi alimentari sono determinati da diverse concause di natura biologica, psicologica, sociale sui quali agiscono altri fattori “scatenanti” come situazioni particolari di stress. Il lockdown ha favorito soprattutto nei ragazzi l’instaurarsi di alcuni di questi fattori quali l’isolamento sociale, le incognite sul rientro a scuola, i dispositivi e le regole di prevenzione, il distanziamento forzato dai loro coetanei, la paura del contagio che si associa spesso alla sensazione di non avere il controllo della situazione”.
“La famiglia inizialmente rimane perplessa di fronte all’atteggiamento di una persona che continua a dimagrire e lo imputa ad un capriccio, ad un rifiuto consapevole di cibo. La persona magra viene accusata di persistere in una serie di comportamenti attuati per esasperare una situazione a discapito della pace e dell’armonia familiare. Spesso la negazione dello stato di malessere diventa l’unico appiglio al quale aggrapparsi.
È essenziale quindi la presa di coscienza da parte della famiglia di dover ricorrere ad una terapia per combattere il disturbo alimentare e non imputare la difficoltà di ripristinare un regime alimentare regolare alla mancanza di volontà dei figli. I genitori possono essere di grande supporto alle persone più giovani nel percorso di guarigione ma la prima cosa da fare dovrebbe essere quella di sostituire un atteggiamento critico e di incomprensione, che incide negativamente sulla cura, con uno di accettazione”.
“Attualmente i maschi rappresentano circa il 10% dei pazienti con anoressia nervosa (AN) e bulimia nervosa (BN) e il 30–40% dei pazienti con disturbo da alimentazione incontrollata (BED).
I disturbi alimentari nei maschi includono le seguenti caratteristiche: preoccupazioni relative all’immagine corporea; maggiore desiderio di essere muscolosi; eccessivo esercizio fisico come manifestazione comportamentale.
Altri fattori che possono aumentare il rischio di sviluppare i disturbi alimentari nei maschi sono i disturbi dell’umore, una storia di avversità infantili (abusi fisici o psicologici, degrado, ecc.), l’abuso di alcool e i disturbi psicotici. Gli uomini affetti da un disturbo alimentare aspirano ad un’immagine corporea ideale e spesso sopravvalutano un aumento della definizione muscolare, specialmente nella regione addominale. Si impegnano in attività che possono aumentare la loro muscolosità perché credono che questa aumenterà i sentimenti di mascolinità, la fiducia in se stessi e l’essere attraenti.
I segni di un esercizio eccessivo includono routine altamente strutturate e ripetitive (comunemente in esecuzione) che tendono a concentrarsi sulla resistenza fisica. Tutto ciò a discapito del tempo con la famiglia, delle relazioni amicali o dell’attività lavorativa/scolastica. Inoltre, possono continuare a svolgere esercizio fisico nonostante condizioni problematiche come infortuni o stato di sottopeso, e contro le raccomandazioni del team del trattamento”.
“Non sempre le persone che giungono nei centri specialistici hanno già maturato una vera e propria decisione di voler intraprendere una terapia per cercare la guarigione dal disturbo. In ogni caso, il contatto terapeutico permette in questi casi perlomeno di aprire un dialogo e di poter monitorare le eventuali complicanze sia mediche che psicologiche. Se una persona con disturbo dell’alimentazione non è ancora in grado di intraprendere un vero e proprio trattamento, viene di solito iniziato quello che viene definito da molti centri un ‘percorso motivazionale’, ossia un percorso psicologico che ha lo scopo di portare la persona a desiderare il cambiamento e la guarigione.
Per la cura dei disturbi dell’alimentazione è importante rivolgersi a centri specialistici che si occupano specificamente di questi problemi. Questo permette di poter effettuare prontamente una corretta diagnosi differenziale, di effettuare tutte le valutazioni specialistiche necessarie (psicologiche, psichiatriche, internistiche e nutrizionali) e di ricevere indicazioni corrette sul trattamento da seguire.
L’approccio più efficace per il trattamento dei disturbi dell’alimentazione è quello multidisciplinare e integrato. I disturbi dell’alimentazione sono infatti disfunzioni con importanti manifestazioni psicopatologiche ed una alta frequenza di complicanze mediche: è quindi necessaria una collaborazione tra diverse figure professionali che si occupino in modo integrato di questi diversi aspetti.
Il trattamento più adatto alla persona va scelto assieme ad un terapeuta di fiducia dopo una approfondita valutazione diagnostica. I fattori da tenere in considerazione sono molti: il tipo di disturbo, la situazione fisica, la presenza di complicanze, la durata di malattia, l’età, le aspettative della persona e le esperienze terapeutiche precedenti, la disponibilità di terapeuti e strutture adeguate vicino alla residenza, le caratteristiche di personalità e altre ancora”.
“Riabilitazione nutrizionale: si tratta di ristabilire gradualmente un’alimentazione corretta inserendo in modo guidato e graduale i cibi considerati “tabù” e contrastando la tendenza alla restrizione dietetica.
Terapia cognitivo-comportamentale individuale e di gruppo: Una tecnica molto utile è l’uso del diario alimentare, in cui vengono registrate dalla paziente modalità e quantità dell’alimentazione, che vengono analizzate e discusse con il terapeuta, insieme alle emozioni e alle convinzioni legate al cibo. Attraverso questo “automonitoraggio”, le pazienti apprendono a riconoscere e ad evitare le situazioni ed i comportamenti a rischio.
Terapia interpersonale: Viene affrontata un’area tematica scegliendo tra le seguenti 4 categorie: difficoltà a stringere e mantenere legami significativi, conflitti con parenti ed amici, difficoltà nel cambiamento di ruolo, lutti e perdite non elaborate
Psicoterapie psicoanalitiche: obiettivo è quello di permettere il mantenimento dei risultati raggiunti attraverso l’analisi e la risoluzione dei conflitti interiori e delle problematiche interpersonali. Attraverso un lavoro di introspezione il paziente scopre ed analizza questi conflitti.
Psicoeducazione alimentare: fornire informazioni corrette sulle proprietà dei nutrienti, sul funzionamento metabolico e consumo calorico, sugli effetti biologici delle diete restrittive e del dimagrimento, i motivi dell’amenorrea, la relazione tra dimagrimento e sintomi fisici (come l’ipotensione, l’aumentata sensibilità per il freddo, la perdita di capelli, le difficoltà digestive, i problemi dentari) e quella tra dimagrimento e sintomi psicologici (come la depressione, i pensieri ed i rituali ossessivi, l’isolamento sociale).
Terapie farmacologiche: l’uso dei farmaci nei disturbi dell’alimentazione è legata all’osservazione che spesso a questi disturbi sono associate altre psicopatologie, come disturbi depressivi e ossessivo-compulsivi. Per questo motivo i farmaci più frequentemente utilizzati sono i farmaci antidepressivi ad azione prevalentemente serotoninergica.
Terapie familiari: è importante che gli obiettivi del trattamento siano condivisi e compresi da tutti i membri della famiglia e che tutti possano sapere quale possibile ruolo possono avere per contribuire al successo del trattamento. Spesso si tratta di compiti apparentemente semplici (come stemperare la tensione al momento dei pasti, o limitare il criticismo quando sparisce il cibo dal frigorifero), ma che richiedono un buon controllo delle proprie emozioni ed una condivisione del perché sia meglio comportarsi in un determinato modo piuttosto che in un altro.
Terapia di riabilitazione cognitiva: Lo scopo del trattamento è quello di aiutare il paziente ad acquisire una serie di strategie che facilitino l’acquisizione di una maggiore flessibilità di pensiero (e dunque combattere la rigidità che caratterizza il disturbo) e l’adozione di uno stile di pensiero più “globale” (versus la tendenza all’eccessiva attenzione per i dettagli).
Auto-aiuto: Attraverso la lettura e l’utilizzo di manuali di auto aiuto esistenti in commercio sui disturbi dell’alimentazione il paziente cerca da solo di risolvere il suo problema”.
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