Grazie agli studi di Unict, sappiamo che il maremoto del 1693 è causa di due sorgenti diverse (una faglia e una frana sotto-marina). Di seguito lo studio.
Secondo la pubblicazione del team di ricercatori degli atenei di Bari, Catania e dell’Institute of Geosciences di Kiel, Sicilia sud-orientale, sulla rivista “Nature – Scientifics Reports” sono due le onde create da sorgenti che provocarono lo tsunami del 1693. L’evento accaduto negli ultimi anni del Seicento interessò la Sicilia sudorientale, il quale fu determinato da due onde derivanti da sorgenti diverse ma tra di loro collegate.
La ricerca che è stata pubblicata nella rivista sopra citata, era presentata con il titolo “The enigmatic 1693 AD tsunami in the eastern Mediterranean Sea: new insights on the triggering mechanisms and propagation dynamics” la quale ebbe molto successo, riporta una dettagliata analisi su quelle che furono le fasi di innesco e dello tsunami che interessò le coste della Sicilia sud-orientale nel 1693, toccando Malta e le Isole Eolie.
Il professore del Dipartimento di Scienze Geo-ambientali di Bari spiega come il fenomeno è stato recentemente preso in considerazioni da più studiosi e per cui sono sorte plurime teorie che cercano di spiegarne la causa, come quella del movimento della struttura tettonica nei fondali marini o quella di una frana sottomarina avvenuta a seguito del terremoto, il quale si riporta un magnitudo pari a 7.4. La motivazione per cui si voglia comprendere il fenomeno è data dalla considerazione di ritenere pericolose le zone costiere orientali siciliane.
Lo studio condotto dai vari team sopra citati hanno è preso come modello la propagazione di onde di tsunami considerando la supposizione che l’evento sismico del Seicento sia stato causato da una movimentazione della massa d’acqua per via non solo da una faglia nel fondale marino ma anche da una frana sottomarina e, da parte loro, è stata anche presa in considerazione la possibilità che il maremoto, in realtà, sia stato generato da due onde distinte: una proveniente dalla dislocazione della struttura tettonica e l’altra causata da una frana sottomarina innescata dal terremoto stesso.
Questi modelli sono stati resi validi dalle analisi sulle conformazioni geologiche che lo tsunami ha tracciato e lasciato nelle coste della Sicilia sud-orientale. Si riconosce a loro, appunto, la scoperta che due furono le onde che crearono lo tsunami, poiché a loro avviso una singola sorgente che sia stata una faglia o frana, non poteva avere la forza di inondare tutte le aree, ma soprattutto non si riusciva a spiegare il fenomeno, per cui avvenne il doppio ritiro del mare, se presa in considerazione una sola singola onda.
Come spiega Giovanni Barreca dell’Università di Catania, nonché co-autore della ricerca: “alcuni dei rilievi geofisici marini di prestazione avanzata hanno permesso di individuare a Malta la possibile sorgente faglia del terremoto e la frana sottomarina molto vicina alla faglia, tracciata con precisione immediatamente al largo di Augusta. Utilizzando la magnitudo massima (M=7.4), stimata per l’evento del 1693, è stato simulato al computer il movimento della faglia ottenendo una deformazione (scalino) sul fondale marino di circa 2,3 metri. Questo dato e il volume stimato della frana rappresentano i dati necessari per la successiva simulazione delle onde di tsunami“.
Il prof Scicchitano aggiunge: “La capacità di uno tsunami di inondare la parte emersa della costa è strettamente legata al tipo di substrato su cui si propaga: superfici più aspre ed irregolari, come le coste rocciose di origine calcarea molto carsificate, offrono una altissima resistenza ai flussi d’acqua; al contrario le aree lagunari, spesso largamente ricoperte di acqua, sono più facilmente inondabili dalle onde estreme“. Data questa spiegazione si può chiaramente dire che le baie strette hanno più probabilità di “attrarre” i maremoti rispetto le lunghe e ampie spiagge. Nel 1693, loro aggiungono, che l’area del Porto di Catania era differente rispetto a quella attuale e la sua forma, ora storica, aveva amplificato l’effetto del maremoto.
Conclude il docente dell’Università di Bari che le analisi si stanno estendendo anche per altri eventi, come quello avvenuto a Messina nel 1908 per cercare di capire se la dinamica della doppia sorgente possa essere ricollegata ancora una volta e dunque trarre che sia una caratteristica della zona, interessata a fenomeni franosi e da faglie sismogenetiche che possono causare innesti e maremoti.
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