I siciliani emigrati all’estero al giorno d’oggi sono molti e ciò non è più un tabù. Sapere che i giovani emigrano all’estero poiché non sono soddisfatti della propria vita nell’Isola è alquanto raccapricciante. Tuttavia, secondo una ricerca effettuata dalla Fondazione Migrantes su “Italiani nel mondo”, è emerso che, nell’ultimo anno 10.400 siciliani hanno lasciato la regione. Infatti, nonostante l’anno di pandemia da Covid-19 sono partiti con un biglietto di solo andata e si sono iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero.
Sicilia prima regione in Italia per fughe all’estero
La Sicilia, è la regione con il più alto numero di residenti all’estero: oltre 798mila partenze. Negli ultimi 10 anni sono circa 220 mila i siciliani che si sono trasferiti all’estero cambiando residenza. Le regioni che seguono la Sicilia sono: la Lombardia con 561mila, la Campania con 531mila, il Lazio con 489mila e il Veneto con 479 mila. La Sicilia, vede i suoi cittadini sparsi in tutto il mondo.
In più di 30 anni, il capoluogo della Sicilia, Palermo, ha perso 63mila cittadini che hanno preferito emigrare all’estero. Infatti, negli anni 80 la città contava 700 mila abitanti e negli ultimi 20 anni ne ha persi quasi 100mila. Secondo i dati Istat, il capoluogo è al primo posto in Sicilia per numero di residenti all’estero con quota 35.700, segue Catania con 22.800 e al terzo posto si piazza il comune di Licata, che conta un totale di 35mila abitanti tra cui 17.200mila residenti all’estero. Le città dove si punta di più a trasferirsi, sono le città del Nord Europa come Germania, Francia, Belgio e anche Argentina.
Le categorie che emigrano
Tuttavia, secondo la Fondazione Migrantes, nel 2019 sono partiti 12mila sicliani, ovvero 1600 in meno rispetto al 2020 ma a cambiare è solo l’identikit: infatti, prima del Covid partivano anche interi nuclei familiari e anziani si ricongiungevano con le famiglie. Adesso, invece, il target si è spostato verso gli uomini di fascia di età tra i 18 e i 35 anni e in alcuni casi anche giovani coppie.
Le pensioni pagate all’estero
Nel corso del 2020 l’Inps ha pagato 13.816.971 pensioni e quelle all’estero ammontano a 330.472, ovvero il 2,4% del totale. Si tratta di una somma abbastanza consistente nonostante la percentuale sia solo del 2,4 percento poiché si è consapevoli che è un fenomeno in continua espansione.
Secondo il report di Migrantes, questo trend genererà nuove pensioni da liquidare in regime di totalizzazione internazionale e da erogare non solo per chi torna in Italia dopo l’esperienza maturata altrove, ma anche a favore di chi decide di rimanere nel paese estero che l’ha ospitato. Non si tratta di una previsione a lungo termine: molti degli attuali emigrati, infatti, rientrano nella fascia d’età 40-50 e 50-60 anni. Solo l’anno scorso gli emigrati tra i 35 e i 64 anni di età hanno rappresentato, secondo quando riferito dal RIM 2020, il 35% del totale, con un incremento del 24% negli ultimi 5 anni. Ciò vuol dire che il numero delle pensioni interessate dalla totalizzazione internazionale è destinato ad aumentare in maniera considerevole.
La Brexit e i rientri in Italia
Il notevole aumento del numero di cittadini italiani residenti sul suolo britannico, segnato anche dal picco di registrazioni a partire da giugno 2016 (data del referendum sulla Brexit), è il risultato di due fattori. Da un lato, riflette il tentativo da parte dei connazionali di salvaguardare il proprio diritto di rimanere nel Regno Unito dopo la Brexit: molte persone si sono iscritte nell’errata convinzione che la registrazione all’AIRE coincidesse con una regolarizzazione anche con le autorità britanniche.
Parallelamente, l’assunzione di nuovo personale presso i Consolati italiani nel Regno Unito ha permesso lo smaltimento delle pratiche che si erano accumulate nel corso dei mesi, aumentando ulteriormente il dato reale dei flussi migratori.Dall’altro lato, l’incremento del numero di italiani nel Regno Unito riflette la costante crescita dell’emigrazione italiana nell’ultimo decennio.
La recente emigrazione italiana ha mostrato un carattere complesso che coinvolge cittadini di tutte le età e titolo di istruzione. Ai lavoratori altamente qualificati che puntano all’estero per le prospettive di carriera e di guadagno, si aggiungono coloro che si spostano alla ricerca di lavoro o in occupazioni a tempo determinato e spesso non qualificati, in settori che vanno dalla ristorazione alle costruzioni, dal manifatturiero alle strutture di ricezione. Questo fenomeno è in gran parte effetto della crisi economica e sociale dell’Italia del 2007- 2012 e l’incremento annuale aumenta sensibilmente a partire dal 2011, quando la crisi del debito sovrano colpì l’Italia, che ha negato a molti lavoro e diritti e li ha spinti a cercare fortuna altrove.
Tuttavia, secondo la ricerca, la metà dei residenti in Inghilterra desidererebbe ritornare in Italia a causa della Brexit e la pandemia sta dando un’accelerazione ai piani. Fra le cause dell’impossibilità di ritornare in Italia, quasi tutte sono imputabili al mondo del lavoro: maggiore difficoltà a fare carriera e mancanza di meritocrazia (58,2%), un mercato del lavoro poco dinamico (49,6%), remunerazione più bassa (43,6%) e mancanza di un ambiente di lavoro stimolante o internazionale (47,6%).
Tuttavia, dalla sua introduzione ufficiale il 31 gennaio 2021, la Brexit sta causando un forte spopolamento di popolazione che emigrava in Gran Bretagna. La transizione è stata particolarmente traumatica perché è avvenuta nel pieno della seconda ondata di Covid-19, in un momento cioè in cui la certezza della tutela dei diritti di mobilità internazionale e di cittadinanza e l’omogeneità del quadro normativo internazionale sarebbero stati più importanti che mai. Con la Brexit i cittadini italiani (ed europei) si sono dovuti confrontare con ostacoli burocratici al pieno godimento dei diritti di cittadinanza e un regime migratorio disegnato per sfavorire l’immigrazione economica.