Malattia sociale ancora sottovalutata, l'endometriosi è una patologia seria che, in Italia, colpisce 3 milioni di donne. Ne abbiamo parlato con il presidente della Fondazione Italiana Endometriosi, Pietro Giulio Signorile.
Colpisce le giovani donne e spesso è difficile da diagnosticare: l’endometriosi è una patologia seria, ma ancora oggi sottovalutata o poco conosciuta. Di endometriosi, infatti, si parla pochissimo. Spesso è un tabù ma, in Italia, sono 3 milioni le donne affette da questa malattia cronica e progressiva. I suoi effetti – se sottovalutati – possono avere ripercussioni gravi non solo sulla salute fisica delle donne, ma anche su quella mentale.
Marzo è il mese dedicato alla sensibilizzazione e alla consapevolezza dell’endometriosi. Ne parliamo con il professore Pietro Giulio Signorile, presidente della Fondazione Italiana Endometriosi, che da anni si occupa di fare ricerca e di offrire supporto a tutte le donne colpite da questa disfunzione corporea importante.
Qualcuno la chiama “malattia invisibile” ma, dalla vita sociale e relazionale a quella sessuale, la quotidianità di moltissime donne è gravemente compromessa da questa patologia. A causa della cattiva informazione e della scarsa attenzione dedicata ai sintomi, sono ancora in poche coloro che sanno di cosa si tratta e cosa succede all’interno del proprio corpo quando ne si è affette. Che cos’è allora l’endometriosi?
“L’endometriosi – spiega il prof. Signorile – è la presenza del tessuto che normalmente riveste la cavità dell’utero, l’endometrio, al di fuori del suo sito naturale, quindi non più nella cavità dell’utero, ma fuori. Di solito, si posiziona nella pelvi e infiamma i vari organi pelvici. Il funzionamento di questo tessuto, che avviene quando si sviluppano gli ormoni sessuali, quindi nella parte prepuberale o puberale, determina tutti i sintomi della malattia”.
I numeri sulle donne affette da endometriosi sono particolarmente significativi. Se in Italia sono 3 milioni le donne che ne soffrono, nei Paesi occidentali sono in tutto 180 milioni. “È una patologia abbastanza frequente. Il problema può presentarsi nell’adolescenza e poi proseguire fino a quando le ovaie femminili funzionano. La menopausa più o meno avviene a 50 anni, ma la gran parte dei sintomi, la forza di questi sintomi, può causare gravi problemi fino ai quarant’anni, quando gli ormoni ovarici sono nel pieno della loro azione e funzione”.
Come sottolineato anche dal prof. Signorile, l’impatto dell’endometriosi sulla vita delle donne è fortissimo e invalidante su più fronti: su quello sociale, su quello lavorativo e universitario, e sui rapporti di coppia. “In generale, provoca alla donna forti disagi perché si tratta di una malattia ad andamento cronico e progressivo”.
Ma come si riconosce e quali sono i sintomi? “I sintomi fondamentalmente sono i dolori pelvici – spiega il presidente della Fondazione Italiana Endometriosi –. I dolori mestruali forti, di una certa intensità, non appartengono alla fisiologia del ciclo mestruale, quindi possono presagire l’inizio di questa malattia. Poi abbiamo spesso il mal di testa, l’infertilità, il dolore durante i rapporti sessuali, la stanchezza fisica cronica. Si tratta di un insieme di sintomi che sono indicativi di questa malattia”.
Proprio a proposito delle mestruazioni, il prof. Signorile precisa che il dolore mestruale non è normale. Molte donne non vengono prese sul serio o sono considerate dai più esagerate. Spesso a chi soffre di dolori mestruali si risponde che per tutte le donne è così e che bisogna farsene una ragione. “Dobbiamo sfatare questi falsi miti – continua il professore –. Il dolore mestruale che dura più di un giorno, che dura cioè due, tre, quattro, cinque giorni e magari è presente già prima dell’inizio della mestruazione o si manifesta nella fase dell’ovulazione non appartiene alla norma. Quando qualcuno dice che è normale, bisogna insistere, perché normale non è. Bisogna non arrendersi e andare avanti fino a che non esce fuori la diagnosi”.
Prima di arrivare a una vera e propria diagnosi di endometriosi, molte donne attendono anni. Il prof. Signorile spiega che, quando la malattia è presente nelle ovaie, è facilmente diagnosticabile con esami come l’ecografia. Al contrario, quando si presenta fuori dalle ovaie, la diagnosi diventa più difficile.
“Attualmente si ricorre a un protocollo standard per fare la diagnosi – spiega il presidente della Fondazione –, che consiste nelle visite ginecologiche, a volte anche in esplorazioni rettali perché il dolore può andare verso l’intestino e verso il retto, poi viene prescritta la risonanza magnetica nucleare per osservare la malattia nelle ovaie, alcuni esami del sangue e la valutazione della riserva ovarica. A volte, infatti, questa malattia può danneggiare gli ovociti che si trovano nelle ovaie, quindi bisogna fare un test molto importante che ci dice se le ovaie stanno bene. Ci si affida a questo protocollo, se possibile in centri specialistici, attraverso il quale si può fare una buona diagnosi”.
Cosa succede una volta diagnosticata la malattia? Qual è l’iter a cui una donna deve sottoporsi per combattere l’endometriosi? Una vera e propria cura, sottolinea il prof. Signorile, non c’è. “Una volta diagnostica la malattia, si deve capire se la paziente ha le caratteristiche per andare a chirurgia, perché non c’è una cura specifica che può fermare la malattia o farla tornare indietro. Ci sono delle cure abbastanza generiche, ma che alleviano solo i sintomi della paziente”.
La chirurgia è, quindi, l’unico modo per tentare una guarigione completa. Non tutte le pazienti però possono sottoporvisi. “La chirurgia mini invasiva viene promossa su tre caratteristiche: se la paziente ha dolori che sono incoercibili, se soffre di una infertilità dovuta sicuramente a questa malattia, se la malattia sta danneggiando la riserva ovarica. Questi sono i tre cardini per proporre a una paziente la chirurgia. In alternativa, si propongono delle terapie sintomatiche e si adotta un regime dedicato di alimentazione antinfiammatoria, che ha degli ottimi risultati. Si possono aggiungere anche degli integratori. Noi non consigliamo l’uso di ormoni, perché soprattutto gli estrogeni sono la benzina che fa attivare la malattia”.
Dopo aver affrontato un percorso, il più delle volte, dispendioso per arrivare alla diagnosi di endometriosi, molte donne devono sottoporsi a terapie molto costose. Non sempre i farmaci sono alla portata di tutte e, per questo, sempre più spesso si chiedono interventi in merito, come la prescrivibilità in esenzione di alcuni medicinali. A tal proposito, in questi giorni, in Sicilia è in esame un emendamento, inserito nella legge di stabilità della Regione Siciliana, che prevede la gratuità di tali farmaci all’interno del codice di esenzione 063.
“Sono più che favorevole all’esenzione – sostiene il prof. Signorile –. Grazie al nostro lavoro, negli anni scorsi, siamo anche riusciti a fare inserire la malattia nelle tabelle di invalidità dell’Inps. Questo è stato un primo passo per far riconoscere la malattia come malattia sociale. Ben vengano tutte le esenzioni, però bisogna essere anche realisti e dire che sì vanno bene queste cure per alleviare i sintomi, ma non deve passare il messaggio che c’è una cura che fa guarire dalla malattia. Altrimenti questo tipo di terapie non farà altro che cronicizzare ancora di più la malattia. Questo bisogna farlo con cognizione di causa”.
In termini di prevenzione, il presidente della Fondazione Italiana Endometriosi precisa che la prevenzione secondaria non esiste. Esiste, tuttavia, un sistema di prevenzione primaria: “Nel 2009, abbiamo dimostrato che l’origine della malattia non è dovuta alla mestruazione retrograda. Abbiamo trovato le cellule dell’endometrio fuori posto già nel feto umano. Il feto non ha ciclo, non ha mestruazioni, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo, quindi abbiamo dimostrato che la malattia è congenita, cioè dovuta a delle sostanze inquinanti che si chiamano ‘interferenti endocrini’, che attraversano la placenta, vanno all’embrione nelle prime settimane di vita e danno il via a questo piccolo disturbo di espressione genetica. Quindi queste cellule in quella fase vanno fuori posto e la malattia può insorgere anche nei primi cicli mestruali”.
La prevenzione primaria riguarda dunque principalmente le donne in gravidanza: “Avendo scoperto questo meccanismo – continua Signorile –, possiamo fare una prevenzione solo con un decalogo che si chiama ‘Programma di gravidanza protetta’, che si può trovare sul nostro sito. Quando la donna rimane incinta, ci sono alcune precauzioni che si possono prendere nella prima fase di gravidanza per evitare che la donna gestante sia sottoposta a un sovraccarico di questi interferenti endocrini. Quindi si cerca di limitare l’esposizione a questi inquinanti”.
Infine, per quanto riguarda i test di diagnostica precoce, attualmente non ce ne sono. La Fondazione Italiana Endometriosi sta tuttavia lavorando a un nuovo sistema di diagnosi: “La nostra fondazione – dichiara Signorile – ha, tramite le sue ricerche, dei brevetti su dei test diagnostici precoci su saliva che stiamo mettendo a punto e speriamo di riuscire a renderli fruibili per tutta la popolazione. Si tratta di proteine alterate quantitativamente nelle donne affette da questa malattia”.
Tenendo conto del forte impatto psicologico che l’endometriosi può avere sulla vita di una donna, il supporto costante da parte di specialisti è fondamentale. Allo stesso tempo, è utile confrontarsi con chi combatte ogni giorno contro la stessa malattia. Per questo, la Fondazione Italiana Endometriosi, oltre all’attività di ricerca e un sito internet ricco di materiale informativo, ha creato una community su Facebook per permettere alle donne affette da endometriosi di fare rete.
“Abbiamo creato un sito – racconta il presidente della Fondazione – dove, oltre alle informazioni sulla malattia, si può fare un autotest attraverso il quale una donna può scoprire se ha le caratteristiche della paziente endometriosica. Nel 2018, abbiamo creato inoltre una community che oggi è la più grande al mondo per questa malattia. Oltre 32 mila donne si scambiano quotidianamente opinioni ed esperienze senza filtri e si supportano. Anche noi le supportiamo per cercare di aumentare la consapevolezza e la conoscenza di questa malattia non solo nelle donne ma anche negli uomini. Anche gli uomini infatti devono informarsi, soprattutto quando si trovano accanto a una donna che soffre di endometriosi”.
Infine, per quanto riguarda la ricerca scientifica, il prof. Signorile rassicura: la ricerca sull’endometriosi sta procedendo. “Dopo le nostre pubblicazioni, che risalgono al 2009, la comunità scientifica ha accettato la nostra dimostrazione sull’origine dell’endometriosi e si è aperto un mondo tutto nuovo. La ricerca procede e la Fondazione ha tre progetti in corso: il progetto clinico, il progetto nutrizionale su cui uscirà tra poco anche un libro, e il progetto genomico. Quest’ultimo è il più importante perché, attraverso questo studio, si stanno cercando quelle particolarità che possono consentire di sviluppare una terapia per la malattia”.
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