L’Opera dei Pupi costituisce un’antica tradizione sicula legata all’arte delle marionette, una particolare forma di teatro che si sviluppò a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e, successivamente, nel Novecento nell’Italia meridionale e, in maggior misura, in Sicilia.
Sebbene in passato il teatro dei Pupi fosse assai popolare, attirando l’attenzione di tutte le fasce della popolazione, ai nostri giorni si tratta di un genere più di nicchia, seguito, per lo più, da una ristretta platea di appassionati. Molto amato dai turisti, è qualche volta protagonista di particolari rassegne teatrali.
Ciò non significa, tuttavia, che esso abbia perso la sua potenza espressiva, né la sua attrattriva. Non a caso, in effetti, oggi l’Opera dei Pupi rappresenta un tesoro culturale riconosciuto a livello internazionale, al punto da essere stato inserito nel 2008 nella lista dei beni Unesco patrimonio dell’umanità e, in quanto tale, considerato da tutelare e valorizzare.
Opera dei Pupi: molto più che semplici marionette
Ridurre i Pupi alla semplice definizione di marionette sarebbe fuorviante e mal renderebbe onore a questa tradizione locale, sopravvissuta al passare degli anni. Effettivamente, Pupi nel dialetto siciliano significa appunto “marionette” o “bambini”, ma si distinguono dalle altre marionette sia per aspetti puramente meccanici, sia per le tematiche e per i contenuti da essi narrati.
Per quanto riguarda il punto di vista meccanico, le marionette del Settecento venivano controllate dall’alto per mezzo di un’asta metallica. Questa era collegata alla testa attraverso uno snodo e per mezzo di diversi fili, i quali permettevano di muovere le braccia e le gambe. In Sicilia, a un certo punto, un inventore locale, di cui non si conosce il nome, a metà dell’Ottocento rivoluzionò la struttura dei burattini, inventando, di fatto, i Pupi siciliani.
Egli fece in modo di posizionare l’asta metallica, utile per far muovere il pupo, non più alla testa attraverso uno snodo, bensì la fece passare all’interno e sostituì il filo per il movimento del braccio destro con un’asta, che divenne poi uno dei tratti distintivi di questi particolari manufatti. Questi accorgimenti tecnici migliorarono i movimenti delle marionette, rendendoli più rapidi, netti e decisi, e permettendo, dunque, di portare in scena narrazioni più complesse, come, per esempio, i duelli.
Le storie che venivano rappresentate nell’Opera dei Pupi, inizialmente un teatro di strada vicino alla tradizione dei cantastorie, prendevano ispirazione dai poemi cavallereschi medievali, dalle vite dei santi e dai poemi italiani del Rinascimento. Tra le opere più raccontate, per esempio, c’erano la Chanson de Roland, la Gerusalemme Liberata e l’Orlando Furioso. Quest’ultima opera, in particolare, ha donato all’Opera dei Pupi alcuni dei suoi personaggi più celebri e amati, tra i quali il conte Orlando, Rinaldo, Angelica e molti altri. Ogni pupo impersonava un preciso paladino e, difatti, ogni manufatto era corredato di spada, scudo e armatura.
Fondamentale era, ed è tutt’oggi, la figura del puparo. Egli non soltanto realizzava i pupi, cesellandoli e decorandoli riccamente, ma era anche colui che dava vita allo spettacolo vero e proprio, curando le sceneggiature, le narrazioni, i movimenti delle marionette e il tono della voce.
La tradizione catanese e quella palermitana
L’Opera dei Pupi si sviluppò, e resta tutt’oggi diffusa, in tutta l’Isola, sebbene siano due gli stili più conosciuti e rinomati, quello catanese e quello palermitano. La tradizione catanese si distingue da quella del capoluogo siciliano da una parte per la struttura delle sue marionette, dall’altra, invece, per il repertorio cavalleresco ben più ampio rispetto al cugino palermitano.
La tradizione palermitana si contraddistingue per pupi di dimensioni più piccole, da 80 cm a un metro di altezza, con un peso che può raggiungere gli otto chili. Tipiche le ginocchia snodate e la spada che può essere estratta e riposta nel fodero. In questo stile, gli animatori si posizionano dietro le quinte laterali del palcoscenico, poggiando i piedi sullo stesso, mentre lo spazio d’azione della narrazione si sviluppa in profondità più che in larghezza. La concezione dello spettacolo è, in questo caso, più stilizzata ed elementare.
Nella tradizione catanese, invece, le dimensioni dei pupi variano dagli 80 cm a 1.30 e possono raggiungere anche i 35 chili. Le gambe sono rigide, quindi con le ginocchia non snodabili, e, nel caso in cui il pupo rappresenti un guerriero, la spada è quasi sempre posta nella mano sinistra. Per quanto riguarda gli animatori, essi manovrano le marionette dall’alto di un ponte dietro i fondali, poggiando i piedi su una robusta asse di legno sollevata di circa un metro da terra. Lo spazio scenico, a differenza della tradizione palermitana, è costruito in larghezza più che in profondità. Le narrazioni, infine, diventano più ricche e complesse, dando spazio alla dimensione tragica, ai sentimenti e costruendo storie più realistiche.
Le cronache raccontano come l’Opera dei Pupi si sia affermata a Catania nel 1835 grazie a don Giuseppe Crimi, che aprì il suo primo teatro. Oggi questa tradizione, in tutta l’Isola, viene preservata e portata avanti dalle storiche dinastie dei pupari, tra le quali le famiglie Crimi, Trombetta e Napoli a Catania. Inoltre, ricche collezioni di pupi si trovano esposte in diversi musei sparsi sull’Isola, come il Teatro-Museo dei Pupi siciliani di Caltagirone e molti altri.