Mentre Italia ed Europa discutono dei tagli ai vaccini fatti dalle aziende farmaceutiche, tra contratti poco chiari e minacce di requisizioni e cause in tribunale, più di 1,3 miliardi di africani non hanno accesso al vaccino. E non in senso figurato. Finora, nei Paesi a basso reddito sono stati distribuiti solo 25 dosi, contro le oltre 40 milioni distribuite in 49 Paesi ricchi. Una sproporzione disarmante, che dovrebbe almeno portare a una consapevolezza: nel mondo, i furbetti del vaccino siamo noi.
La scaltrezza con cui il Nord del mondo (che rappresenta il 13% della popolazione mondiale) si è accaparrato più della metà dei vaccini Pfizer e Moderna attesi per il 2021, ha portato alla formulazione di un nuovo termine: sovranismo farmaceutico. La professoressa Daniela Melfa, docente di Storia e istituzioni dell’Africa al dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania, ha parlato con LiveUnict delle implicazioni geopolitiche e sanitarie che l’assenza di un piano di vaccinazione inclusivo dei Paesi a basso reddito potrebbe avere a livello europeo e dell’attuale situazione in Africa.
Vaccini in Africa: perché la questione riguarda anche l’Europa?
“Si possono individuare due ragioni – spiega la prof. Melfa –. Una a livello sanitario, perché è fondamentale contenere il virus a livello planetario ed evitare il diffondersi di nuove varianti, che possono circolare fuori dai singoli Paesi. E poi per motivi strategici e geopolitici, per accrescere il soft-power dell’Europa in Africa.
È evidente – continua – che la presenza di altri attori nel continente africano dovrebbe sollecitare ulteriormente i singoli Paesi europei, ma soprattutto l’Unione Europea, ad attivarsi. L’UE è il più importante fornitore di aiuti allo sviluppo nel continente, ma in questa fase della situazione sanitaria non si possono fare passi indietro”.
Gli squilibri tra Nord e Sud del mondo nella distribuzione dei vaccini sono stati denunciati di recente anche da Tedros Adhanom, Direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità. L’esempio più concreto è quello del Canada, che si è assicurato cinque dosi per ogni abitante.
“Il presidente del Sudafrica Ramaphosa – continua la docente – ha parlato di saccheggio, denunciando i Paesi ricchi per l’accaparramento dei vaccini. Dall’altra parte, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sollecitato ad agire come una comunità globale. A collaborare e a fare del vaccino, alla stregua di risorse come l’acqua, un bene comune a livello globale”.
Negli scorsi mesi, l’impegno si è concretizzato nell’iniziativa di Covax, in base alla quale, ha spiegato la prof. Melfa, i Paesi aderenti condividono risorse per lo sviluppo di vaccini e dosi. Hanno aderito circa 150 Paesi, anche quelli meno ricchi e diversi Paesi africani. D’altro canto, però, il comportamento degli stati occidentali, Europa in primis, è molto diverso.
“Al di là delle dichiarazioni di principio – spiega ancora la professoressa -, gli stati occidentali mettono in primo piano gli interessi nazionali e privilegiano non il multilateralismo ma gli accordi bilaterali. È chiaro che con gli accordi con le case farmaceutiche i Paesi più ricchi riescono ad acquistare dosi più consistenti di vaccino. Ma così si approfondisce un divario Nord/Sud, tanto che si parla di sovranismo farmaceutico. L’interesse nazionale diventa nazionalista, quasi egoista”.
Non si tratterebbe, del resto, della prima volta che succede una cosa del genere. La prof. Melfa ricorda il caso dell’AIDS e della lotta all’HIV. Quando negli anni ’90 vennero sviluppati i trattamenti contro l’infezione, l’Africa poté utilizzare le cure con sei anni di ritardo rispetto ai Paesi più ricchi.
“Pensando alle prevaricazioni subite dall’Africa in ambito sanitario – conclude la professoressa -, mi veniva in mente il romanzo di John Le Carré, Il giardiniere tenace. Un libro che si ispira a fatti avvenuti in Nigeria e che vede coinvolta un’azienda farmaceutica per sperimentazioni non autorizzate intorno la seconda metà degli anni ’90. Quest’azienda era la Pfizer”.
In Africa non ci sono vaccini, ma quelli che ci sono si pagano il doppio
Con 1,4 milioni di casi e quasi 45mila morti, il Sudafrica è uno dei Paesi più colpiti. Eppure, AstraZeneca ha chiesto allo stato africano di pagare i vaccini quasi 2,5 volte l’importo pagato dalla maggior parte dei Paesi europei.
“La motivazione – spiega la docente – è stata che i Paesi europei hanno contribuito alla ricerca e alla sperimentazione del vaccino. Le risorse finanziarie dei Paesi africani, però, non sono elevatissime, malgrado le considerevoli risorse naturali“. Il problema, poi, si pone anche con Covax, autorizzata a distribuire solo i vaccini approvati dall’Oms. Al momento, l’unico vaccino approvato è quello della Pfizer, che si conserva a -70 gradi, con notevoli difficoltà logistiche nella distribuzione. Peraltro, le dosi garantite ai Paesi africani basteranno appena per il 20% della popolazione.
“L’Unione Africana sta cercando di fare da intermediaria tra le aziende – aggiunge in conclusione la docente -, con un ruolo più forte come organizzazione internazionale. Poi ci sono anche gli accordi bilaterali. Di fronte a prezzi molto elevati come nel caso del Sudafrica, è inevitabile che ci si rivolga a competitor diversi. Ed è qui che giocano un ruolo la Russia, l’India, la Cina”.
La diplomazia del vaccino
“Botswana e Repubblica Democratica del Congo sono in trattativa con Sinopharm, azienda cinese – inizia la prof. Melfa -. Seychelles e Marocco pure. Il Sudafrica sta facendo un accordo con un’azienda indiana. Altri hanno acquistato il vaccino dai Russi. Alcuni Paesi, poi, come Marocco ed Egitto con Sinopharm, si sono resi disponibili per i test clinici, per avere i vaccini in via prioritaria e a un prezzo più basso”.
Questi movimenti globali hanno prodotto quella che viene definita “geopolitica del vaccino”. La situazione, nota la prof. Melfa, produce dei richiami alla guerra fredda: “Non solo per il nome dato al vaccino russo, Sputnik, come il satellite lanciato in orbita nel ‘57, ma anche perché si parla di politica di contenimento”.
Il caso dei rapporti tra Cina e Africa è quello più lampante al riguardo. Dal 2013, il gigante asiatico ha lanciato la “Nuova via della seta”, un programma di infrastrutture che mira a collegare al meglio la Cina con l’Eurasia e che prevede consistenti investimenti in porti e ferrovie anche in Africa. “Queste infrastrutture – spiega la docente – costituiscono la base per rafforzare l’attività diplomatica, che si espleta oggi anche in ambito sanitario. Con la Via della Seta della Salute, la Cina punta sulla diplomazia del vaccino per accrescere il proprio soft power.
La pandemia – continua – offre l’occasione per rafforzare la presenza cinese in Africa, ma investimenti sono stati fatti anche negli Emirati Arabi Uniti e in Siria. Torna la questione del contenimento e del conflitto tra India e Cina, che si riflette in Africa con la distribuzione dei vaccini. Dalle Mauritius, l’India si sta attivando enormemente per contenere l’espansionismo cinese anche in collaborazione con il Giappone.
L’UE dovrebbe tenere conto di questi elementi – conclude la prof. Melfa -. Sia per una questione di equilibri a livello mondiale, sia perché assistere i Paesi africani per la Cina significa anche ottenerne un appoggio nelle sedi istituzionali internazionali”.