Nell’adunanza del 30 giugno scorso, il Senato accademico dell’Università di Catania ha espresso cordoglio per la morte di Sarah Hegazi, giovane attivista egiziana per i diritti LGBT arrestata nel 2017 per aver mostrato una bandiera arcobaleno durante un evento pubblico al Cairo.
Sarah, che dal 2018 viveva in Canada, il 14 giugno scorso si è tolta la vita per la crudele esperienza sofferta nelle carceri egiziane. “La sua morte – si legge nella mozione approvata dal Senato – è una ferita alle ragioni della libertà di autodeterminazione e alla dignità di ogni persona”.
L’Ateneo invita la comunità universitaria e, in particolare, i suoi studenti a condividere la memoria di Sarah Hegazi per diffondere la cultura dei diritti umani e promuovere il divieto di discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Il Senato accademico ha infine rinnovato “solidarietà e sostegno per Patrick Zaky, studente di origine egiziana detenuto al Cairo, e l’appello di verità e giustizia per la morte di Giulio Regeni”.
Sarah Hegazi: chi era l’attivista egiziana in lotta per i diritti LGBT
La morte di Sarah Hegazi, suicida il 14 giugno scorso, ha riacceso l’attenzione sulla mancanza di diritti e sicurezza per la comunità omosessuale e transgender in Egitto. La giovane aveva ottenuto nel 2018 l’asilo politico in Canada, nazione nella quale si era rifugiata per paura di nuove ritorsioni da parte della polizia e del governo egiziani.
La giovane era stata arrestata nel 2017, responsabile di avere sventolato una bandiera arcobaleno durante il concerto di un cantante libanese dichiaratamente gay. Sarah era stata immortalata da un amico in una foto, mentre esibiva libera la bandiera. Qualche giorno dopo, era stata prelevata di forza dalla propria abitazione, bendata e condotta in un edificio governativo, all’interno del quale aveva subito i primi abusi e torture.
Portata poi in una stazione di polizia, era stata accusata di “dissolutezza sessuale e incitamento alla devianza”. Arrestata, in cella aveva subito abusi sessuali, anche da parte delle detenute (incitate dagli agenti), e torture di ogni genere. In seguito alle pressioni di alcuni diplomatici occidentali, era stata scarcerata nel 2018, ma, temendo nuove ritorsioni, era stata accolta come rifugiata in Canada.
Il peso delle torture subite, tuttavia, ha condotto Sarah Hegazi all’estremo gesto dello scorso giugno, che ha indignato e commosso il mondo. Come Sarah sono migliaia i cittadini che in Egitto sono costretti a nascondere il proprio orientamento sessuale. Sebbene, infatti, la legge egiziana non vieti esplicitamente l’omosessualità, il governo e la polizia nazionali portano avanti, di fatto, un’opera di persecuzione, tortura e repressione della comunità LGBT.