Il riscatto laurea è un contributo a fini pensionistici per equiparare l'istruzione universitaria al lavoro vero e proprio. Come funziona e quando conviene richiederlo.
Il riscatto laurea è stato introdotto per dare valore agli sforzi e agli investimenti necessari per l’ottenimento del titolo. Gli anni di università, infatti, richiedono impegno e molto tempo e possono essere considerati, non a torto, come un vero e proprio impiego lavorativo. Lo scopo del riscatto laurea, quindi, è quello di equiparare a livello contributivo e pensionistico gli anni di studio. Vediamo come funziona e quando conviene richiederlo.
Primo requisito basilare per richiedere il riscatto è di aver effettivamente conseguito il titolo. Questo significa che chiunque avesse iniziato un percorso universitario, senza, però, portarlo a termine, non potrebbe richiedere alcuna agevolazione a fini pensionistici degli anni trascorsi a studiare.
Inoltre, è possibile riscattare soltanto gli anni legali del corso di laurea, quelli, cioè, previsti dal corso, sia esso triennale, magistrale o a ciclo unico. Coloro che si fossero laureati fuori corso, quindi, hanno diritto al riscatto laurea soltanto per gli anni trascorsi da studenti regolari.
A livelli pensionistici, questa procedura consente di richiedere il pensionamento anticipato (integrando gli anni di lavoro con quelli di laurea) o, qualora si decida di ritirarsi dal mondo del lavoro all’età prevista per legge, di ricevere una maggiorazione nell’assegno mensile.
Possono richiedere il riscatto della laurea coloro che hanno raggiunge il limite legale per l’età pensionabile o che abbiano maturato contributi per 41 anni e 10 mesi se donne o 42 anni e 10 mesi se uomini.
Presentare la domanda è abbastanza semplice: essa può essere inoltrata online, dopo essersi muniti di identità digitale (Spid), oppure può essere indirizzata da un intermediario, per esempio un Caf.
Bisogna, tuttavia, assicurarsi prima di essere in possesso dei requisiti:
Riscattare i propri anni di studio all’università ha un costo. Si richiede, infatti, il versamento di veri e propri contributi, come se si fosse svolto un regolare impiego.
Poiché questo costo è calcolato in base al reddito del richiedente, prima si presenta la domanda per il riscatto e meno si dovrà pagare. Questo dipende dal fatto che, andando avanti con gli anni, generalmente lo stipendio di un adulto va via via ad aumentare.
Non a tutti, però, conviene richiedere il riscatto laurea. Chi, infatti, ha cominciato a lavorare regolarmente a a partire dai trent’anni raggiungerà il requisito anagrafico di pensionamento a 73 anni. Ciò significa che, anche riscattando la laurea, andrebbe in pensione a 69 anni, quando il limite d’età fissato per legge è di 67 anni. Unico vantaggio, in questo caso, potrebbe essere la maggiorazione dell’assegno pensionistico.
Altro discorso, invece, per quanti hanno iniziato a lavorare presto. Un richiedente che avesse ottenuto un lavoro con regolare contratto già a 23 anni, in effetti, potrebbe richiedere il pensionamento già a 62 anni. In alcuni casi, inoltre, il riscatto può essere utile per rientrare in Quota 100 o in Opzione donna.
Un altro aspetto da chiarire, comunque, riguarda coloro che possiedono una storia lavorativa antecedente al 1996. Queste persone potrebbero andare incontro al cosiddetto “danno contributivo“. Riscattando la laurea in forma “light”, che permette un notevole sconto sui contributi da versare, dovrebbero rinunciare al sistema contributivo misto in favore di quello contributivo.
“Questo vuol dire che chi negli anni antecedenti al 1996 aveva uno stipendio più basso rispetto a quello degli ultimi 5-10 anni della vita lavorativa ne uscirà penalizzato — spiega sul “Corriere della Sera” Paola Ferrari, analista dell’Ufficio studi di Consultinque -. Ma il passaggio da misto a contributivo andrebbe a penalizzare anche la contribuzione futura dei redditi più alti, in quanto il ricalcolo dei contributi sarà soggetto all’applicazione del massimale annuo contributivo, pari 103.000 euro lordi annui. Quindi chi avrà uno stipendio superiore al massimale di 103.000 euro sarà penalizzato in termini di contribuiti versati”.
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