Teorie sull’acquisizione del linguaggio
Da dove viene la nostra capacità di comunicare attraverso il linguaggio verbale? Gli studi linguistici hanno dato vita a due correnti di pensiero spesso avversarie tra loro: l’innatismo ed il comportamentismo.
Secondo la teoria innatista il linguaggio sarebbe una sorta di dono di natura. Esponente principale di questo pensiero fu il linguista statunitense Noam Chomsky. Secondo lo studioso la mente possiede principi universali in base ai quali è possibile formulare il linguaggio.
Dall’altra parte troviamo invece il comportamentismo, secondo cui l’acquisizione del linguaggio sarebbe invece dovuta a stimoli linguistici provenienti dall’esterno. Secondo questa teoria l’apprendimento del linguaggio – così come l’apprendimento di qualsiasi altra cosa – avviene tramite una successione di prove ed errori. L’imitazione è fondamentale, i bambini infatti tendono ad imitare i genitori quando imparano a parlare.
Dunque il linguaggio è geneticamente determinato e autonomo o è il risultato di un susseguirsi di esperienze? Il dibattito è acceso, eppure nella ricerca linguistica non bisogna chiudersi in uno schema teorico: le convinzioni vanno fatte incontrare in un’ottica di dialogo e arricchimento reciproco.
Cosa è il plurilinguismo
L’enciclopedia Treccani lo definisce così: “Situazione di una comunità o di un territorio in cui, per la posizione di confine o per la composizione etnica, sono in uso più lingue; anche, la capacità di un singolo individuo o di un gruppo etnico di esprimersi facilmente in più lingue, o anche dialetti, o di usare più livelli di linguaggio”.
Il plurilinguismo è quindi la capacità di un soggetto o di un gruppo di esprimersi in lingue o dialetti differenti, esprime la libertà di movimento tra le diverse lingue. Carla Marcato, docente di linguistica italiana presso l’Università di Udine e direttrice dal 2004 al 2010 del Centro Internazionale sul Plurilinguismo ha pubblicato nel 2012 il testo “Il plurilinguismo”. In questo lavoro, Marcato risponde alla domanda: da dove nasce il plurilinguismo? “Il plurilinguismo – scrive – è un fenomeno tanto antico quanto la torre di Babele, verrebbe da dire, ampiamente diffuso in Europa e fuori d’Europa, e ciò ha attirato l’attenzione degli studiosi, non solo quella dei linguisti, perché ‘lingua’ è un concetto linguistico ma anche culturale (una lingua è portatrice di tradizioni, di valori culturali), sociale, politico, storico.
Torre di Babele
Il plurilinguismo è disordine, caos o piuttosto varietà e ricchezza? Il richiamo al mito sottolinea questa ambiguità estremamente interessante. Peccato o benedizione? In un articolo per il quotidiano La Stampa, la scrittrice e traduttrice Elena Loewenthal risponde alla domanda con estrema chiarezza e con un tono quasi poetico: Se Dio, tanto per cambiare, non si fosse arrabbiato con l’umanità […] avremmo parlato tutti la stessa lingua, ci saremmo capiti, forse, senza neanche il bisogno di parlare, non sarebbero esistiti il dubbio e la metafora, l’equivoco e l’allusione, e soprattutto mai sarebbe venuto al mondo quel tesoro di suoni e parole, di emozioni e figure, di storia e segreti, che sono tutte le lingue messe insieme. Un tesoro inestimabile, grazie al quale ci si capisce meglio di quanto ci si capirebbe se parlassimo tutti sempre e soltanto la stessa lingua. La torre di Babele, da sfida a Dio, diventa dono dell’umanità, che punita con l’incomprensione linguistica, ne ricava il vantaggio della diversità e complessità linguistica.
Quali sono i vantaggi del plurilinguismo?
È impossibile dubitare sul fatto che il linguaggio influenzi profondamente l’io; una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Plos One conferma che nel momento in cui ci esprimiamo in una seconda lingua tendiamo ad avere meno remore morali, ciò significa che se ci venisse posta di fronte una questione morale tenderemmo a risolverla secondo un “deontological judgement” nella nostra lingua madre e secondo un “utilitarian judgement” in una lingua diversa. Insomma, compiere una scelta in una seconda lingua attenuerebbe la reattività emotiva, portandoci verso la ricerca dell’utile.
Un altro estremo vantaggio derivante dalla padronanza di più lingue risiede nella consapevolezza e accettazione della diversa prospettiva dell’altro: il soggetto plurilingue, specialmente durante la prima infanzia, possiede una maggiore apertura mentale rispetto ai corrispettivi monolingue, questo perchè il bambino che conosce più lingue è in grado di valutare le competenze linguistiche dell’interlocutore in modo tale da scegliere successivamente la lingua da utilizzare per farsi meglio comprendere.
Infine è da ricordare come il plurilinguismo avvantaggi lo sviluppo di abilità multitasking, essendo il soggetto abituato a gestire la conoscenza delle diverse lingue e quindi ad utilizzare selettivamente la propria attenzione.
Per ultimo, studi dell’Università di Zurigo pubblicati su Nature Neuroscience dimostrano che chi parla più lingue è meno soggetto a contrarre la forma di demenza degenerativa nota come morbo di Alzheimer.