Le festività pasquali si avvicinano, ma quest’anno le trascorreremo in maniera diversa. A causa della diffusione del Coronavirus, infatti, tutta l’Italia sarà costretta a ripensare la Pasqua e viverla dentro le mura di casa propria, rinunciando a quelle tradizioni ormai consolidate. E di tradizioni i siciliani ne hanno parecchie; una di queste si svolge ogni anno – il giorno di Pasqua – ad Adrano (CT): è la rappresentazione della Diavolata, meglio nota come “I Diavulazzi i Pasqua”.
La domenica di Pasqua, a mezzogiorno, migliaia di persone si ritrovano nella piazza principale per assistere ad un dramma che porta con sé secoli di storia. La Diavolata, scritta nel 1752 da don Anselmo Laudani, che unisce in sé elementi pagani e cristiani per mettere in scena un dramma ricco nel suo testo di retorica e simbologie.
La sconfitta del principe delle tenebre
La rappresentazione viene svolta da attori locali che tramandano le proprie parti di padre in figlio, e con esse il particolare modo di recitare, quasi come fosse una canzone. Su uno sfondo dipinto che rappresenta una selva deserta e infernale con al centro il volto demoniaco del principe delle tenebre, si muovono i personaggi.
Entra in scena per primo Lucifero, l’angelo più bello del paradiso diventato principe delle tenebre, il quale non riesce a spiegarsi perché “per un sol peccato” lui, che era il preferito da Dio, si trova tra le fiamme dell’inferno. Lucifero vaga per la selva deserta riflettendo sulla natura di Gesù Cristo e non riuscendosi a spiegare come sia potuto risorgere: per salire in cielo doveva per forza essere un Dio, ma come ha potuto un Dio morire appeso ad una croce? Eppure il sepolcro è vuoto, e Lucifero vede chiara la sua sconfitta.
Con questo monologo si conclude la prima scena. La seconda comincia con i demoni Astaroth e Belzebub, anch’essi scossi dalla resurrezione di Cristo, che li vede sconfitti e privi della gioia di veder piombare le anime nell’inferno. Il loro dialogo viene interrotto dal sopraggiungere di due personaggi, uno scheletro rappresentante la Morte, e una bambina, l’Umanità. Una delle frasi più note della rappresentazione è proprio quella pronunciata dall’Umanità alla Morte: “Superba, ho vinto già, mi segui invano, invan cerchi ferirmi. A’ danni miei, l’arco tuo più non val”. La Morte tenta senza riuscirci di far vacillare la fede della bambina e alle forze del male non rimane che imprigionarla.
L’Arcangelo Michele – rappresentato da un bambino – arriva in soccorso dell’Umanità, mentre Lucifero torna per i suoi. Le forze dell’inferno sono però ormai sconfitte e alla Morte non resta che spezzare l’arco con cui ha da sempre ferito l’Umanità. Il gesto di spezzare l’arco e gettarlo verso la folla è una delle tradizioni più amate dalla città durante la rappresentazione del dramma. L’Arcangelo vuole fino alla fine umiliare i demoni, costringendoli ad urlare: “la speranza dell’uomo, viva Maria”.
La Diavolata possiede un testo e un insieme di simboli estremamente complessi, ed è forse per questo che la rappresentazione – anche dopo secoli – riesce sempre a catturare gli spettatori che ogni anno non rinunciano all’appuntamento con la loro città e con la loro storia.