Alle pendici del vulcano più alto d’Europa, tra i territori di Linguaglossa e Adrano, sorgono decine e decine di strutture piramidali immerse nell’amena campagna etnea. Secondo alcuni esperti – in particolare l’egittologa francese Antoine Gigal che dopo aver sentito parlare delle piramidi ha deciso di volare dal Cairo fino a Catania per studiarle – le strutture dovrebbero essere più di quaranta e sono tante, al momento, le ipotesi sulla loro genesi e datazione, dal mito alla storia. Le cosiddette “Piramidi dell’Etna” presentano una struttura a gradoni o conica, su base rotonda o quadrata. Sono state realizzate con la tecnica della posa delle pietre a secco, utilizzando blocchi di roccia vulcanica. Le strutture possono essere alte fino a quaranta metri, caratterizzate da scale, gradoni e talvolta altari sommitali.
Nonostante le diverse forme, sembrerebbe che tutte le piramidi abbiano una vista privilegiata sull’Etna. In un primo momento, si supponeva che fossero destinate ad attività di tipo prevalentemente agricolo e che fossero, addirittura, di recente costruzione. Tuttavia, ricerche più approfondite hanno permesso di rilevare l’effettiva datazione delle stesse: sarebbero antecedenti allo sbarco del popolo greco in Sicilia, dunque retrodatate a migliaia di anni fa. La scoperta di antichi sentieri e di rudimentali tecnologie per la canalizzazione delle acque, attigui al sito archeologico, rende lo stesso un vero e proprio rompicapo per gli studiosi e gli appassionati della materia.
Sarebbero due, in particolare, i popoli che concorrono al titolo di costruttori delle piramidi siciliane: primi tra tutti i Sicani, artefici di ulteriori strutture piramidali situate, questa volta, nella Sicilia centrale, il cui periodo di attività coincide con quello precedente all’arrivo dei Siculi sull’isola, ossia il XV sec. a.C.; l’altra popolazione concorrente agli stessi meriti, secondo un’ulteriore ipotesi, sarebbe quella dei Šekeleš (o Shekelesh), una tribù della confederazione dei Popoli del Mare, provenienti dalla zona del Mare Egeo e che secondo alcuni archeologi coinciderebbe con gli antenati dei Siculi o, addirittura, coi Siculi stessi.
In effetti, la presenza degli Šekeleš in Sicilia, sarebbe testimoniata dal ritrovamento di anfore presso il Monte Dessueri (nei pressi di Pozzillo, in provincia di Caltanissetta), totalmente identiche a quelle trovate ad Azor, nei dintorni di Giaffa (Israele) ed è possibile supporre che questo popolo di grandi navigatori sia giunto sino alle coste delle isole Canarie, dove sono stati rinvenuti manufatti del tutto simili a quelli etnei (Piramidi di Güímar, sulla costa orientale dell’isola di Tenerife).
Al centro di miti, leggende e curiosità, le “Piramidi dell’Etna” rappresentano sicuramente un enorme patrimonio culturale che rischia spaventosamente di scomparire a causa dell’edilizia molesta. L’associazione Free Green Sicilia – Beni Culturali nell’agosto 2018 ha lanciato un appello per salvare le misteriose piramidi dell’Etna da speculazioni edilizie e piani regolatori che potrebbero cancellare per sempre queste testimonianze del passato. Alcune di queste, tra l’altro, si trovano in terreni privati, dunque risulta quasi impossibile accedervi e questo rende molto più ardua qualsiasi prassi attuabile per la loro conservazione.
Se le autorità preposte non interverranno, infatti, per vincolare e salvare le piramidi fortunatamente rimaste in vita, queste rischiano di fare la stessa fine di quelle rase al suolo o implose per mancanza di manutenzione e restauro, a causa della speculazione edilizia e della scarsa sensibilità delle amministrazioni competenti.