La Corte Costituzionale, con sentenza 78/19, si è pronunciata sui motivi di incompatibilità nell’assegnazione degli incarichi a chiamata dell’università. Il caso è sorto per una vicenda accaduta all’Università di Catania dove è stata nominata, per chiamata diretta, una professoressa moglie di un altro docente. Entrambi i coniugi condividono la cattedra nello stesso dipartimento, che ha prontamente attivato il giudizio di legittimità costituzionale.
Secondo il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, il rapporto di coniugio che lega i due docenti avrebbe determinato una violazione della Carta Costituzionale, in particolare degli artt. 3 e 97 Cost. Il Consiglio ha sollevato questione di legittimità dell’art. 18 della legge Gelmini (240/10), nella parte in cui non prevede, tra le condizioni che impediscono la partecipazione ai procedimenti di chiamata dei professori universitari, il rapporto di coniugio con un docente appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata.
La disposizione violerebbe l’art. 3 Cost perché non prevede il rapporto di “coniugio” tra le situazioni ostative alla partecipazione alle procedure selettive, ma contempla il rapporto di “affinità” che, in fondo, presuppone il rapporto coniugale. Sarebbe violato anche l’art. 97 Cost., per contrasto con il principio di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. Lo stretto legame di parentela che lega gli insegnanti sarebbe della massima intensità e, come tale, costituirebbe uno dei motivi di incompatibilità nell’assegnazione degli incarichi a chiamata all’università.
La Corte Costituzionale si è pronunciata al riguardo, salvando la legge Gelmini. Per i giudici il rapporto di coniugio tra marito e moglie è nettamente differente dal rapporto di parentela e affinità e va, quindi, trattato diversamente. Sono diversi gli interesse da tutelare, come la garanzia dell’unità familiare. Il divieto dell’art. 18 della legge Gelmini è volto a rafforzare l’imparzialità nel reclutamento dei docenti, ma sempre bilanciandola con l’interesse all’unità familiare.
Secondo la Corte Costituzionale, sarebbe discriminatorio ed irragionevole un divieto che costringesse uno dei due coniugi a scegliere tra il rapporto coniugale, l’unità familiare e le aspettative lavorative. Nel bilanciamento tra le esigenze di uguaglianza e imparzialità che presidiano l’azione amministrativa e quelle dell’unità della famiglia, infatti, dovrebbe essere attribuita prevalenza a queste ultime.