I professori Andrea Baglieri e Biagio Fallico del Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente raccontano ai microfoni di LiveUnict lo stretto rapporto che lega alimentazione e ambiente, spaziando dal ruolo di produttori e consumatori nella lotta all'inquinamento alla dieta mediterranea.
Negli ultimi mesi in Europa così come nel resto del mondo sembra che stia soffiando un vento nuovo per il pianeta: quello della lotta all’inquinamento ambientale. La consapevolezza sempre più globale dell’unicità della Terra ha spinto governi e popoli di molte nazioni a prendere o chiedere misure più concrete contro il cambiamento climatico generato dall’uomo, nella speranza che non sia troppo tardi per cambiare rotta.
Sono molte le notizie che spingono verso questa interpretazione. Passando dal globale al particolare, in pochi mesi si sono avvicendati sui titoli dei giornali la protesta di Greta Thunberg, con i suoi scioperi per il clima trasformatisi in una marcia globale, che ha coinvolto anche la città di Catania; lo stop definitivo, a partire dal 2021, del Parlamento Europeo nei confronti della plastica monouso, fino ad arrivare all’iniziativa plastic free dell’Università di Catania, con gli erogatori d’acqua pubblici e la futura distribuzione di borracce non inquinanti. Ma allora, cosa c’entrano le nostre tavole con l’ambiente?
Il nesso c’è eccome, ed è più stretto di quel che si possa credere. Basti, per esempio, considerare che l’agricoltura è responsabile di più del 20% delle emissioni globali di gas serra, per pensare che la concezione per cui alimentazione e ambiente sono separati è un errore. Per fare chiarezza sul tema, LiveUnict si è rivolta ai professori Biagio Fallico (professore ordinario in Scienze e Tecnologie Alimentari) e Andrea Baglieri (professore associato in Chimica Agraria), che hanno contribuito a illuminare alcune questioni fondamentali in proposito. Entrambi i docenti sono afferenti al Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente (Di3A) dell’Università di Catania.
Parlare di prodotti eco-sostenibili può spesso causare confusione ai non addetti ai lavori, che potrebbero rischiare di cadere in errore su una definizione scivolosa. “Per produzione alimentare sostenibile – precisano i docenti – dovrebbe intendersi tutti quei metodi di produzione che utilizzano fattori e sistemi non inquinanti, o almeno che ne riducano l’impatto, che preservino le fonti energetiche non rinnovabili e le risorse naturali; inoltre devono essere sicuri per i lavoratori, le comunità e i consumatori; in altre parole metodi che non compromettano le necessità delle generazioni future“.
La sostenibilità della produzione alimentare non è solamente un’alternativa ecologica, ma potrebbe diventare presto una necessità impellente. Nei prossimi 30 anni, infatti, secondo delle stime la popolazione mondiale dovrebbe aumentare, superando il totale di nove miliardi di persone per il 2050. Per questo, alcuni enti sovranazionali come l’UE sono già molto attenti su questo campo e promuovono una serie di misure atte a contenere l’inquinamento sin dalle fasi produttive.
“In generale – elencano i docenti – esse hanno come obiettivo quello di: 1) usare le risorse naturali in modo efficiente; 2) proteggere la qualità delle risorse naturali mediante un uso razionale dei fertilizzanti e agrofarmaci in agricoltura, favorire metodi di coltivazione e/o produzione che riducano l’emissione di gas serra, ridurre la perdita del suolo e aumentare la biodiversità; 3) proteggere le risorse marine; 4) utilizzare imballaggi a basso impatto ambientale; 5) ridurre gli sprechi alimentari”.
Se da un lato la filiera alimentare è responsabile di come ciò che mangiamo venga prodotto, il ruolo del consumatore ha assunto un peso specifico sempre maggiore negli ultimi anni. Tutti noi, alcuni con più, altri con meno attenzione, cerchiamo di essere informati su ciò che mangiamo: come l’alimento è stato prodotto, cosa contiene al suo interno, da dove viene, quali sono le caratteristiche nutrizionali. Insomma, per riportare le parole dei docenti, il consumatore oggi è un protagonista attivo.
“Le sue scelte – sostengono Baglieri e Fallico – possono scaturire da diverse ragioni: maggiore fiducia su ciò che è prodotto da chi si conosce, motivi etici, salutistici o di sostenibilità ambientale, sensibilità animalista, e portano a definire dei veri e propri stili alimentari”. I professori, poi, passano ad analizzare l’esempio della produzione a “chilometro zero”, vale a dire “un’alimentazione che si basi su prodotti di stagione e locali, non importati da altri Stati o Continenti, che si basa anche sull’idea che un prodotto proveniente da lontano consuma più energia (e quindi inquina di più) rispetto a un altro confezionato o prodotto nelle zone limitrofe”, precisano subito dopo.
Molteplici potrebbero essere le ragioni che spingono a questa preferenza; tuttavia, i docenti ci mettono in guardia dalla sua applicazione indiscriminata a tutti i casi, e per farlo utilizzano i risultati tratti da una ricerca scientifica: “Il Department for Environment Food and Rural Affairs (Ministero dell’Ambiente e dell’Agricoltura Britannico) è giunto alla conclusione che un indicatore basato solo sullo spazio percorso non può essere una misura attendibile dell’impatto ambientale totale. Il motivo principale è che il 48% del chilometraggio percorso non è imputabile al produttore bensì al compratore; potrebbe risultare più efficiente comprare in un supermercato di grande distribuzione vicino casa, rispetto a compiere l’acquisto nei mercatini che distano maggiormente dal luogo di residenza”.
Quando si parla di alimentazione, la conoscenza di ciò di cui ci stiamo nutrendo risulta fondamentale non solo per le ragioni ambientali, ma per tutta una serie di fattori che col passare degli anni vanno assumendo sempre maggiore importanza. Alcuni esempi riguardano la presenza di prodotti di origine animale o la rispondenza a requisiti etici e/o religiosi. La segnalazione di questi fattori intendono soddisfare il diritto di scelta del consumatore. “Quando non sia ha un legame diretto con chi ha prodotto il cibo – aggiungono ulteriormente i docenti –, le uniche garanzie derivano dall’etichetta, che diventa la voce del prodotto alimentare, e dalle certificazioni, rilasciate da un ente indipendente, che il prodotto si porta dietro”.
Passando alla questione del rispetto ambientale, siamo di fronte ancora a un gioco delle parti, in cui a essere coinvolti sono produttore e consumatore. Minimizzare l’impatto ambientale è possibile, ed esistono prodotti provenienti da diverse realtà per farlo. “Dall’agricoltura biologica – cominciano ancora Baglieri e Fallico –, che riguarda le coltivazioni e gli allevamenti che tendono a valorizzare e conservare i sistemi biologici produttivi, senza il ricorso a sostanze chimiche di sintesi. Oppure gli alimenti ottenuti da sistemi di agricoltura integrata, che privilegia l’uso di tecniche che garantiscono un minor impatto ambientale, una riduzione dell’immissione nell’ambiente di sostanze chimiche, assicurando essa stessa una maggiore sostenibilità dell’agricoltura; con quest’ultima si assicura spesso una maggiore produzione rispetto alla prima”.
Dall’altro lato della medaglia, le responsabilità e l’equilibrio dei consumatori fanno da contraltare. “Una prestazione da ‘formula uno’ potrebbe non concordare perfettamente con l’impatto ambientale. Un prodotto da forno sempre fragrante, croccante e perfettamente colorato fuori, morbidissimo e bianco dentro, richiede delle farine molto raffinate, grassi ed emulsionanti aventi caratteristiche specifiche. Se voglio una crema perfettamente spalmabile, anche in questo caso dovrò usare grassi molto specifici. In etichetta potrò anche scrivere ‘senza olio di palma’, ma lo dovrò sostituire con qualcos’altro. L’idea che da un lato ci siano ‘i giusti’ (ingredienti) e dall’altro ‘i cattivi’ (ingredienti), sarà tranquillizzante, ma non vera”, ricordano i docenti attraverso un monito.
Se c’è una cosa di cui sono orgogliosi gli italiani, è la loro cucina. La dieta mediterranea è famosa in tutto il mondo, tanto ammirata quanto imitata, e spesso la longevità del popolo italiano viene attribuita anche alla cucina salutare. Ma i tempi cambiano e così anche le nostre abitudini. Siamo sicuri di praticare nei fatti una dieta così salutare?
“L’alimentazione degli italiani negli ultimi decenni è cambiata da un punto di vista sia qualitativo che quantitativo – esordiscono i docenti-. Sul piano qualitativo essa si è progressivamente allontanata dal modello alimentare Mediterraneo, e in particolare dalla ‘Dieta Mediterranea’, costituita prevalentemente da legumi, pane e pasta, frutta e verdura. Oggi questi alimenti sono in gran parte sostituiti da prodotti più “raffinati” ricchi in grassi, proteine animali e zuccheri semplici, ma poveri di fibra e di altri componenti”.
“Per quanto riguarda l’aspetto quantitativo, dalla evoluzione dei consumi alimentari, osserviamo che a partire dagli anni ’60 sono aumentati in modo significativo, con qualche lieve flessione negli ultimi anni, il consumo dei prodotti di origine animale, carni in primo luogo, grassi da condimento, uova, latte e suoi derivati (FAO, 2003). Tale mutamento ha determinato profonde modificazioni della struttura nutrizionale dei consumi alimentari, che si sono sempre più caratterizzati per un apporto eccessivo di grassi e di proteine”, precisano ulteriormente i due professori nella loro disamina.
Cosa comporta tutto ciò dal punto di vista ambientale? “Queste scelte quali-quantitative possono ovviamente incidere. Dipende, tuttavia, anche in questo caso dal saper scegliere cosa mangiare – aggiungono infine -. Ad esempio, le uova prodotte da allevamenti a terra determinano un minore impatto ambientale rispetto a quelle prodotte in allevamenti industriali: in termini di minori emissioni di CO2/anno, pari a quelle prodotte da un’auto che percorre 30.200 km”.
Concludiamo questo viaggio tra cultura alimentare e ambiente parlando di un tema incerto: quello che potremmo aspettarci dal punto di vista alimentare nel prossimo futuro. Alla luce del probabile e vertiginoso aumento di popolazione nei prossimi decenni, delle misure che vengono già prese per contrastare l’inquinamento ambientale da questo fronte e, più in generale, della situazione attuale, è possibile infatti tracciare alcune previsioni.
“Il progresso tecnologico e il contrasto agli sprechi, con tutta probabilità, saranno aspetti sempre più in primo piano – spiegano Fallico e Baglieri -. In aggiunta a queste considerazioni, un ruolo importante avrà pure l’aspetto funzionale dell’alimentazione, l’educazione alimentare (fondamentale per la salute e per formare individui consapevoli) ed infine, l’impatto ambientale del settore agroalimentare. Gli alimenti che entreranno a far parte della nostra dieta in futuro dovranno essere sempre più sani, sicuri, nutrizionalmente equilibrati, gustosi, etici e dal prezzo accessibile. Inoltre, sarebbe auspicabile che essi siano dei prodotti biologici o provenienti da agricoltura integrata, che derivi da sistemi di lavoro rispettosi dei diritti umani e con l’uso di tecnologie di precisione”.
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