In Italia solo 6 donne su 82 sono attualmente a capo di un'università. Impietosa la fotografia che emerge dal sito della CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, dove in mezzo a una sfilza di rettori fanno timidamente capolino pochissime colleghe donne. L'Università è un posto riservato agli uomini?
L’Università non è donna. Se qualcuno, per tenervi buoni, vi propina la favoletta della popolazione universitaria italiana per la maggior parte costituita da donne e che quest’ultime ottengono risultati migliori rispetto ai colleghi uomini, attenti, non fatevi raggirare. Se, come riportano i dati Ocse di quest’anno, è vero che in un Paese come il nostro, dove ci sono già pochissimi laureati, il 55% di questi è rappresentato dalle donne, è vero anche che — a differenza degli uomini — le laureate sono quelle che hanno più difficoltà a trovare lavoro.
Non solo. Anche laddove le donne riescano a trovare un lavoro coerente col proprio percorso di studi e a inserirsi all’interno di un contesto lavorativo stimolante e con possibilità di scalare l’ascensore sociale, queste non riescono quasi mai a fare carriera. E se ci riescono, rimangono un numero talmente esiguo che la soddisfazione personale si riduce a un più che mero contentino di poche per zittire l’insofferenza di molte. Dalla politica alla scienza, quello appena delineato è un problema che riguarda ogni ambito che storicamente è sempre rimasto in mano agli uomini.
E tra i diversi ambiti e settori dove sono state rilevate, nell’ultimo decennio, gravi disparità di genere, di sicuro non poteva mancare quello universitario. Un ambito sicuramente discriminante ma al suo interno, chapeau, profondamente solido e coerente. E infatti che si tratti del settore scientifico o di quello umanistico, poco cambia: il potere è ben saldo nelle mani degli uomini. Sapete quante sono le rettrici delle università italiane? Sei. Sei a fronte dei ben settantasei colleghi uomini che, a confronto, fanno sembrare quel numeretto a una cifra quello che in realtà è: una nullità.
Le rettrici in questione sono Maria Del Zompo dell’ Università di Cagliari, Paola Inverardi dell’Università dell’Aquila, Maria Cristina Messa dell’Università di Milano Bicocca, Elda Morlicchio dell’Orientale di Napoli, Aurelia Sola dell’Università della Basilicata e Giuliana Grego Bolli dell’Università di Perugia. I dati sono estratti dal sito della CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, (dove le rettrici peraltro sono indicate con il titolo di “rettore”) e fanno emergere uno dei tanti segreti di pulcinella del nostro Paese. Le grosse cariche non sono per tutti e il mondo universitario è una ripida piramide che solo alcuni eletti riescono a scalare.
A conferma di ciò, basta dare un’occhiata agli ultimi dati che, senza troppi misteri, ci confermano che la maggior parte delle donne che lavorano all’interno dell’università sono delle semplici ricercatrici. Salendo di livello, possiamo notare come la loro presenza rasenti il 30% tra i professori associati e il 20% nel caso dei professori ordinari. Un quadro sconcertante che non può lasciare adito a dubbi: la competenza, la preparazione e il merito non sono gli unici criteri di valutazione in ambito lavorativo e, soprattutto, accademico.
La questione era stata sollevata già qualche mese fa dal rettore dell’Università Normale di Pisa Vincenzo Barone che, in un’intervista a Il Giorno, aveva denunciato l’incresciosa situazione dell’ateneo pisano che riflette, a sua volta, quella di tutti gli atenei del Belpaese. “Ogni volta che si tratta di valutare o proporre il nome di una donna per un posto da docente, si scatena il finimondo — aveva dichiarato il rettore menzionando anche calunnie, volgarità e lettere anonime allo scopo di screditare le candidate — Si parla di tutto meno che di preparazione, merito e competenze, che dovrebbero essere i soli criteri per valutare un accademico”.
Di certo una voce fuori dal coro non basta e la strada è sicuramente lunga. Per l’Italia ma anche per moltissimi altri Paesi del mondo in cui il gender gap all’università è ancora più che marcatamente evidente. Risale a qualche giorno fa la clamorosa notizia dell’elezione di Miriam Nicado come rettrice dell’Università dell’Avana. La prima donna — per di più di colore — a ricoprire questo incarico dopo ben ducentonovant’anni di rettori uomini. La notizia ha fatto il giro del mondo, Nicado si è sicuramente fatta portavoce di un cambiamento importante, ma nel 2018 può essere ancora considerato straordinario il fatto che una donna diventi rettrice?
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