"I titoli accademici e onorari sono usati e apprezzati in quanto mettono ordine nella società, ristabilendo determinate gerarchie" scrivevano Dalla Vecchia e Zucchi. Oggi andiamo alla scoperta degli appellativi più utilizzati in ambito accademico e non solo.
A chiunque sarà capitato di leggere oppure scrivere delle mail il cui contenuto esordiva con appellativi del tipo “Chiar.mo/a”, “Gent.mo/a”, “Preg.mo/a”, “Ill.mo/a “ dal tono estremamente formale. Ciò avviene perché la cultura italiana ha ereditato l’uso accentuato di titoli e appellativi, rispetto alle culture scandinave e anglosassoni che prediligono meno formalità nei rapporti. Nel rivolgersi a una persona perlopiù in forma scritta, che rispetto alla comunicazione orale ha appunto un tono più formale, l’appellativo viene accompagnato da un aggettivo di cortesia come caro (confidenziale), gentile (poco formale), passando per egregio e distinto (ambito formale), fino ad arrivare ai celebri pregiato e illustre (che sono molto formali e riferiti a persone di alto riguardo). Aggettivi di cortesia che vengono puntualmente utilizzati in superlativo assumendo un tono ancora più formale e burocratico.
Nel sistema universitario italiano i trattamenti d’onore sono previsti solo per alcuni degli incarichi più importanti dell’ateneo: il rettore, il preside di facoltà e i professori ordinari, straordinari ed emeriti. Amplissimo viene utilizzato per i presidi di facoltà e un tempo era usato anche per i senatori della Repubblica (abbreviato anche in ampl.mo, specialmente nella corrispondenza).
Chiarissimo è il titolo usato dai professori universitari italiani che siano ordinari, straordinari o emeriti: per questo quando scrivete una mail a un/a docente vi è stato suggerito di iniziarla con “Chiarissimo professore”. Se poi, per qualche oscura ragione, non lo avete mai fatto, state sereni: inciderete questo appellativo nella copertina della tesi di laurea. L’appellativo chiarissimo si rifà ai titoli latini del tardo impero. Ai funzionari dell’imperatore spettava appunto il titolo di “vir clarissimus”, (la cui traduzione è uomo illustre, famoso, insigne), che oggi è rimasto come titolo onorifico esclusivamente nel mondo accademico.
Magnifico viene utilizzato per riferirsi ai rettori delle università italiane. In passato, la dizione in uso era, peraltro, “rettore magnifico”, risultando anzi offensiva l’inversione (posizione dell’aggettivo che attualmente è mantenuta solamente nelle università pontificie). Perché si usi tale appellativo non è ben chiaro ancora: un’ipotesi afferma che si usi dire “magnifico” perché indica un titolo che in passato veniva usato per le grandi figure di potere, come Lorenzo il Magnifico, anche se ai giorni nostri questo titolo viene usato in tutti gli atenei di Italia, Spagna e Germania. “Magnifico” in fondo sarebbe la combinazione di due parole latine: “magnus” che significa grande, e “ficere” che è una forma debole di “facere”, ovvero fare. Magnifico è quindi chi si fa, si rende o si mostra grande. L’università in origine, si narra fosse un’associazione di studenti provenienti da vari paesi (universalità) che si associavano per poter pagare i docenti, ovvero i lettori che pronunciavano le lezioni (letture). Gli studenti, e non i docenti (come avviene ora), quindi eleggevano un rettore di questa associazione colui che era designato appunto con l’appellativo di reggitore (“rector”) magnifico e che aveva il compito di rappresentarli e difendere i loro diritti verso la cittadinanza e di trattare con i docenti.
Tornando a oggi, molti titoli che hanno avuto corso nella storia della lingua italiana sono dismessi nell’uso corrente: tra questi madonna (impiegato quando ci si rivolgeva a una donna di elevata condizione sociale), messere ( per i giudici, giureconsulti e altri notabili) e Sua/Vostra Signoria (genericamente, riferendosi a persone autorevoli) per fare alcuni esempi.
Altri appellativi sono sopravvissuti circolando in ambiti più circoscritti: don (riduzione di donno) – d’uso corrente tra XVI e XVII secolo in riferimento a principi e nobili di origine spagnola o portoghese – è ancora usato nell’Italia meridionale per persone di riguardo (vale anche per donna riferito alle signore e che è stato talvolta usato per le mogli di alte figure istituzionali: donna Assunta, vedova del politico Giorgio Almirante, e donna Franca, moglie dell’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi); maestro è usato oggi per indicare nel gioco degli scacchi chi ha raggiunto una determinata quota di punti in tornei, oltre naturalmente chi è qualificato e autorevole nelle arti (musica, teatro, poesia, pittura, scultura) e, in alcune regioni, per chiamare ogni tipo di artigiano (falegname, muratore e così via).
Pressoché in disuso – secondo Treccani, anche se il Sud non sembra confermare la regola – l’appellativo signorina come titolo per una donna non sposata, perché percepito dalla sensibilità comune come discriminatorio per vari motivi. L’aggettivo spettabile si riserva invece a un’azienda o a un ufficio.
Infine, nei messaggi di posta elettronica informali inviati a più destinatari di entrambi i sessi, è talvolta usato l’asterisco in luogo della desinenza dell’aggettivo di cortesia: quest’uso, suggerito dal linguaggio di programmazione, consente di riferirsi contemporaneamente a donne e a uomini: “Car* tutt*, volevo dirvi che …” .
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