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Fuga dei cervelli, la comunità scientifica italiana che lavora in Arabia Saudita

King Abdullah University of Science and Technology è una delle università scientifiche più innovative al mondo, e va avanti grazie anche al contributo dei nostri professori, studenti e ricercatori. Non è un caso isolato, che vede centinaia di nostri connazionali migrare altrove per ricercare nuove possibilità e risorse.

In Arabia Saudita, a Thuwal, un villaggio vicino Gedda, c’è una delle università scientifiche più avanzate al mondo. Si tratta della King Abdullah University of Science and Technology (tradotto: l’Università del re Abdullah di Scienze e Tecnologia), sintetizzato anche con il nome di KAUST. L’ateneo si estende su una superficie di circa 36 chilometri quadrati, con tanto di museo, santuario marino e centro ricerche. La popolazione studentesca proviene da oltre 60 nazionalità, il 69% degli studenti è internazionale e il 31% dell’Arabia Saudita.

Il campus è uno dei più innovativi e stupisce che si trovi proprio in uno dei paesi con ancora vigente una ferrea teocrazia, quale l’Arabia Saudita. Ma non solo, l’Università ospita cento italiani tra professori, ricercatori e studenti. Una vera e propria comunità scientifica nostrana che porta tanto del nostro Paese, a partire della statua del Re Abdullah realizzata interamente in vetro di Murano.
Il ramo accademico delle bioscienze è guidato da professori italiani e sono tanti gli studenti che sono migrati dall’Italia per inseguire il sapere in questa regione orientale. Fra loro c’è anche Valentina Carboni, una ragazza laureata in chimica e specializzata in “sintesi organica” all’Università di Camerino e successivo dottorato e post doc in chimica all’Università di Bologna. Nel suo curriculum si conta anche un’esperienza di sette mesi all’Università di Montreal in Canada. Purtroppo, però, dopo vari tentativi in Italia, la giovane, ha scelto l’Università dell’Arabia che le ha dato un’immediata risposta e un contratto con tanto di alloggio pagato.

La politica all’interno del campus, che ospita studenti provenienti da tutto il mondo, sembra essere meno rigida rispetto a quella presente nel resto del paese. Le studentesse possono non indossare l’abaya, il costume islamico femminile, ma sono pur sempre presenti delle politiche comportamentali da rispettare. Le donne non possono guidare la macchina e devono farsi sempre accompagnare. Tuttavia, sembra essere una limitazione di secondaria importanza dato lo stipendio e le risorse che paiono più alte rispetto alla nostra media nazionale.