Una ricerca condotta da un team di psicologi ha riscontrato l’esistenza della “selfite”. L’esigenza di scattarsi frequentemente selfie è diventata una patologia a cui sono soggette ormai molte persone.
Un gruppo di psicologi dell’università Nottingham Trent, in Gran Bretagna, e della Scuola di Management Thiagarajar di Madurai in India, ha condotto una ricerca chiamando in causa centinaia di cittadini appartenenti al territorio orientale. I risultati non sono stati dei migliori con la seguente prognosi: la “selfite” esiste. Con questo nome viene indicata la tendenza, se non ossessione, a scattarsi in continuazione i così famigerati selfie. Gli psicologi hanno individualizzato tre stati della patologia. Il terzo stadio, quello peggiore, è definito cronico e riguarda chi avverte la necessità di scattarsi selfie continuamente e pubblicarne un minimo di sei in un solo giorno.
L’India è stata scelta dai ricercatori Mark Griffiths (professore di tossicodipendenza comportamentale presso l’ateneo britannico) e Janarthanan Balakrishnan, come luogo di ricerca e studio sia perché è il Paese con maggior numero di persone iscritte su Facebook sia perché presenta un numero elevato di selfie scattati in luoghi pericolosi ed improbabili. Tendenza, questa, che si sta sviluppando pure nel nostro territorio, anche se con una percentuale nettamente inferiore.
I ricercatori, dopo aver studiato a lungo questo fenomeno, esaminando le abitudini e gli atteggiamenti di vari gruppi, hanno deciso di dare il via a una “scala della selfite” effettuando un sondaggio a 400 persone, invitate a rispondere a venti diverse affermazioni dando un punteggio (da 1 a 5) a ciascuna di esse. In questo modo si consegue una percentuale illustrativa ed indicativa della presenza e sulla condizione di gravità raggiunta da tale patologia.
Gli stadi della selfite, indicati dagli psicologi, sono tre: borderline, acuta e cronica. La prima fase considera coloro che si scattano un minimo di tre selfie al giorno senza però renderli pubblichi in rete; nella seconda fase rientrano gli autoscatti (almeno tre) che vengono pubblicati. Nella fase cronica, invece, si collocano le persone colpite da questa dipendenza nell’arco di 24 ore con la pubblicazione di almeno sei foto.
Questo studio, porta i ricercatori ad affermare che gli individui colpiti da tale patologia presentano poca autostima, hanno bisogno di attenzione e di trovare un modo per migliorare il loro stato emotivo e psichico, cercando di uniformarsi alla società e di essere accettati, diventando così “socialmente competitive”.
La selfite era già stata presentata nel 2014, come una fake news, ad opera dell’American Psychiatric Association. Il nuovo studio, invece, conferma tali dati, anche se non tutti gli psicologi sono solidali sull’esistenza di tale disturbo mentale.
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