Dall’Unesco giunge un’ottima notizia per il Belpaese: la pizza entra a far parte dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità.
La conferma del valore dell’arte del “pizzaiuolo napoletano” è stata data dal Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina che, su Twitter, ha annunciato come dopo un’attesa di 8 anni da Jeju, in Corea del Sud, sia arrivato il sì unanime.
Nella decisione che ha portato il comitato a riconoscere l’importanza della tradizione napoletana, che frutta ogni anno 12 miliardi di euro e garantisce quasi 200 mila posti di lavoro, si può leggere: “il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico” durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale”.
La speranza è che con il nuovo riconoscimento arrivi un’ulteriore salvaguardia contro le contraffazioni alimentari, alle quali la pizza napoletana – da cibo così largamente diffuso e apprezzato nel mondo – è esposta: tra farine di bassa qualità e mozzarelle prodotte con latte scadente, non si può mai stare tranquilli.
Ma non è tutto. La conferma dell’Unesco apre un nuovo spunto di riflessione: la pizza può (e deve) diventare una delle maggior occupazioni nel Napoletano, per questa ragione il presidente dell’associazione Noiconsumatori, Angelo Pisani, chiede che venga creato un nuovo corso di laurea volto a formare le nuove generazioni di pizzaioli.
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