Scienza e Salute

Quando siamo agitati usiamo più avverbi: ecco come lo stress passa attraverso il linguaggio

Il  tono in cui parliamo e le parole che usiamo possono essere spia dello stato d’animo di cui disponiamo in un determinato momento della nostra vita. Uno studio americano ha scoperto che lo stress e l’ansia passano attraverso il nostro linguaggio. Quando siamo stressati parliamo poco ed usiamo molti avverbi, in modo ripetuto.

Sarà capitato a chiunque, in un momento di grande stress, magari durante un esame o un colloquio di lavoro, di dover sostenere una conversazione o un colloquio orale. In momenti come questi, anche se ci si sforza di apparire sereni, sicuri e rilassati, c’è sempre qualcosa che sfugge al nostro controllo, e rivela al nostro interlocutore proprio l’impressione che non volevamo assolutamente mandare. Se non si tratta di gesti, né di gaffe a rivelare il nostro stato d’animo sarà inevitabilmente il nostro linguaggio.

Una ricerca dell’Università della California e di quella dell’Arizona, pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences ha, infatti, scoperto che quando siamo fortemente stressati tendiamo in generale a parlare meno, ma ad usare maggiormente avverbi, in particolare “veramente” e “incredibilmente”, che possono aiutarci a gestire lo stress agendo come intensificatori emotivi che, tuttavia, tradiscono le nostre intenzioni di apparire calmi, evidenziando invece un più elevato stato di eccitazione.

La verità emersa dalla ricerca potrebbe sembrare banale, ma riflettendoci su, a chi non è mai capitato di ripetere tante volte degli avverbi nel corso ad esempio di un’interrogazione? Anche avverbi diversi da quelli proposti dalla ricerca. “Fondamentalmente” , “particolarmente”, “essenzialmente”e tantissimi altri sono i “tic” linguistici preferiti dagli studenti.

Peraltro, dietro a questa ricerca c’è uno studio scientifico anche complesso. Gli studiosi, infatti, hanno preso in esame 143 persone adulte a cui è stato chiesto di indossare dei registratori, che sono stati accesi ogni due minuti per due giorni, raccogliendo complessivamente 22.627 brevi clip audio. I ricercatori hanno poi esaminato le registrazioni, focalizzando l’attenzione in particolare su pronomi e aggettivi. Il team ha, infine, confrontato il linguaggio utilizzato da ogni volontario con l’espressione di 50 geni notoriamente legati ad elevati livelli di stress, scoprendo che l’uso di alcune parole può prevedere cambiamenti legati allo stress sul Dna. Proprio così, infatti, hanno rivelato che l’uso del linguaggio è una spia che indica lo stato d’animo di colui che parla.

A proposito dell'autore

Sofia Nicolosi

Sofia Nicolosi nasce a Catania il 16 settembre 1997. Laureata in Relazioni internazionali, sogna di poter avere un futuro nel giornalismo e nella comunicazione in ambito europeo e internazionale. Dopo la scrittura e lo storytelling, le sue grandi passioni sono i viaggi e lo sport. Tra i temi a cui è più legata: i diritti umani e i diritti sociali, l'uguaglianza di genere e la difesa ambientale.
Contatti: s.nicolosi@liveunict.com