Il test di ammissione è il grande scoglio per i futuri studenti universitari. Ottime basi, bravura e anche molta fortuna sono fattori determinanti per il superamento del test che da anni, a causa del numero chiuso, divide in due gli studenti.
Di recente la notizia che l’Università Statale di Milano ha sospeso i test di ammissione alle facoltà umanistiche – per decisione del Tar del Lazio – non è passata di certo inosservata. Più di 5.000 studenti, che concorrevano per gli unici 3.200 posti disponibili, sono stati ammessi con riserva. Sull’utilità del numero chiuso se n’è parlato all’infinito: alcuni lo ritengono necessario per fare una selezione interna e per andare incontro alle limitate risorse dell’università pubblica; altri invece lo considerano inutile e svantaggioso per gli studenti stessi, nonché un limite al diritto allo studio. Spesso il test di ammissione, che si basa più sulla fortuna che sulla bravura, è stato soggetto ad irregolarità (in particolare nel caso di medicina e professioni sanitarie).
Ma allora qual è il vero vantaggio del numero chiuso? Ne ha parlato il professore Vincenzo Carrieri, Ricercatore affiliato all’Health, Econometrics and Data Group dell’Università di York, in un articolo: “Per stabilire chi può avere accesso (alle università ndr) vengono utilizzati test volti a misurare la motivazione o il talento dei candidati per uno specifico corso. La decisione sull’accesso è, tendenzialmente, decentrata e la prendono i singoli dipartimenti o facoltà sulla base di criteri stabiliti per legge. È su tale decisione che è intervenuto il Tar del Lazio. Per quanto riguarda chi può avere accesso, singole università hanno adottato il criterio dei test, con il fine dichiarato di migliorare i risultati degli studenti e la qualità del loro curriculum. Alcuni studi riscontrano che i test di ammissione all’università sono buoni predittori dei risultati degli studenti a prescindere da informazioni sulla storia pregressa (il voto al diploma o il background familiare). Altri sottolineano come il test di accesso selettivo sia informativo solo se vengono tenuti in considerazione anche i voti del diploma secondario. Altri studi hanno invece rilevato che una volta considerato il background dell’istruzione secondaria, l’uso di un test selettivo di ingresso è ridondante. Nessun effetto sulle performances degli studenti è stato trovato dalla rimozione di un test di accesso selettivo in università non statali, dove presumibilmente sono già all’opera meccanismi di autoselezione”.
Carrieri ha poi aggiunto che “In un recente studio, abbiamo stimato gli effetti causali dovuti a una riforma delle politiche di accesso all’Università di Salerno. Nella ricerca abbiamo sfruttato l’introduzione del numero programmato nella facoltà di Economia per misurare gli effetti dei test selettivi su indici di performance individuali, tassi di abbandono e media ponderata dei voti. Abbiamo verificato che l’introduzione del test ha portato a una riduzione di circa 14 punti percentuali del tasso di abbandono degli studenti e a un miglioramento della media ponderata dei voti di circa un punto, al termine del primo anno di studi. In sintesi, nel caso da noi analizzato, l’introduzione di limiti all’accesso sulla base del test genera migliori risultati di studenti (e università)”.