L’acquedotto dei benedettini è un bene preziosissimo per la città di Catania e per tutto il Paese: un raro esempio di ingegneria idraulica all’avanguardia i cui archi sono visibili ancora oggi in alcuni punti della città.
Quattro secoli di storia alle spalle, una struttura estremamente all’avanguardia e la solita incuria amministrativa: è il breve identikit dell’acquedotto benedettino catanese che si estende per sei chilometri, attraversa tutta la città e che va in rovina a causa dell’indifferenza generale. Di importanza storica europea, si tratta di un’opera idraulica rarissima che – mescolando elementi architettonici idraulici di età romana, islamica ed elementi locali – si presenta come un gioiello di ingegneria idraulica seicentesca.
Storicamente, tra il 1593 e il 1597, i monaci benedettini acquistarono due aree nella zona della Licatia, autentico serbatoio idrico a nord della città, dove circa cinquant’anni dopo iniziarono dei lavori – sotto la direzione dell’Abate Mauro Caprara – per la costruzione di una casa di villeggiatura e di un convalescenziario dei monaci dei benedettini (oggi conosciuta come Villa Papale) e di un acquedotto che attraversasse l’intera città di Catania. I lavori si conclusero nel 1649 e l’acquedotto si rivelò utilissimo per l’approvvigionamento idrico e per stipulare accordi col senato catanese che, in cambio dell’acqua, si occupava della manutenzione, consolidandone così i rapporti politici.
L’acquedotto benedettino si estendeva per circa sei chilometri: dalla Leucatia si sviluppa in un percorso quasi parallelo all’attuale Via Leucatia, passando per il Parco Gioeni (al cui interno è possibile vedere ancora la struttura muraria di uno dei mulini originari), via Caronda, Piazza Cavour, via Tomaselli fino a via Plebiscito all’altezza dell’ospedale Vittorio Emanuele. In Piazza Cavour, in particolare, l’acquedotto (che alimentava un lavatoio pubblico funzionante fino alla fine dell’800), si biforcava in due rami: il primo che alimentava il parco dei principi di Biscari; il secondo che confluiva nella “Botte dell’acqua” (dell’attuale Via Plebiscito), ovvero un vano a cupola che serviva a dividere le acque necessarie al cenobio benedettino ubicato alla Cipriana (piazza Dante) da quello destinato al fabbisogno degli abitanti della città.
L’acquedotto venne utilizzato dalla città di Catania fino a tempi piuttosto recenti per l’irrigazione di orti e giardini, ma dopo l’urbanizzazione della città cadde in disuso. I ruderi dell’acquedotto benedettino oggi sono, però, ancora visibili all’interno della zona umida e all’inizio di via Tito Manlio Manzella. Altri resti si trovano all’interno del Parco Gioeni e nella parte alta di via Caronda e in piazza Montessori.