Situazione critica per i giovani in Sicilia: fondi e progetti resi fallimentari dalla burocrazia.
Aumentano del trentacinque per cento i giovani indigenti in Sicilia e non si dimostrano funzionali i fondi di milioni di euro stanziati dagli enti pubblici. A spiegarlo è il professor Massimo Rizzuto, coordinatore di un progetto dell’Università di Palermo, Catania e Messina per assistere la Regione e gli enti per il welfare: il fallimento degli aiuti sarebbe imputabile alla burocrazia il fallimento degli aiuti e alla mancanza di progetti concreti.
“Ci sono dati drammatici. Le nuove generazioni non hanno prospettive. Chi può scappa mentre chi resta, terminati gli aiuti in famiglia, entra in un circuito da cui non esce più”. Eppure, il ministero del lavoro ha stanziato per la Sicilia una somma pari a 140 milioni destinati ai distretti sociosanitari, affinché possano aiutare chi ha bisogno a trovare lavoro nel Sia (Sostegno per l’inclusione attiva). I fondi sono stati divisi a vari Comuni dell’isola, tra cui figura Catania, e ai poveri, dopo opportune verifiche, è stato distribuito un assegno mensile di 480 euro. “Ma la maggior parte dei Comuni – dichiara il prof. Rizzuto a La Sicilia – si è limitato a inserirli in percorsi di formazione tradizionali che hanno il limite di non garantire una occupazione concreta”.
Alcuni Comuni, invece, hanno preferito aderire al progetto delle Università, una collaborazione tra gli atenei, le imprese e gli enti locali. “Innanzitutto, vengono coinvolte le imprese che vogliono investire sul territorio.– spiega il prof. Rizzuto L’utente al termine del percorso può sfruttare le competenze acquisite andando fuori dal territorio, o può rimanere in questo incubatore di imprese dove l’azienda coinvolta può impegnare l’operatore che ha formato in modo adeguato. I Comuni incentivano le imprese attraverso la sburicratizzazione. Infatti altri progetti falliscono perché le imprese vengono fermate dalla burocrazia”.
Da quanto emerso dal rapporto Zancar, tuttavia, sembra proprio che la povertà sia dilagante tra i giovani con un aumento degli indigenti del 35 per cento di anno in anno. Le università, dunque, si attivano nel portare avanti progetti per il welfare e mettono a disposizione anche il proprio personale per guidare quello dei Comuni. In conclusione Rizzuto mette in luce un controsenso: “Abbiamo tantissime tesi sulla povertà con dati precisi e aggiornati che restano negli scaffali mentre i Comuni poi dicono che mancano i dati. Serve più sinergia e meno autoreferenzialità. Chi amministra deve cambiare mentalità”.