L’homescholling, o educazione parentale, diffusissima negli Stati Uniti e in molte nazioni europee, non rappresenta, infatti, un fenomeno così raro neanche nel nostro Paese, dove, sebbene in netta minoranza, le famiglie che scelgono di istruire i figli in casa sono una realtà ormai non trascurabile.
Edifici scolastici fatiscenti, docenti svogliati e poco attenti alle necessità e alle inclinazioni dei propri allievi, sovraffollamento delle classi, episodi di bullismo sempre più frequenti, innumerevoli nonché disastrose politiche scolastiche: il sistema didattico italiano sembrerebbe davvero esser giunto ormai alla frutta. Sfortunatamente, infatti, sempre più spesso si è testimoni di un declino quasi inarrestabile di quella che fu, probabilmente, la conquista più rilevante della nostra società, vale a dire l’istruzione primaria obbligatoria per tutti. Se i più credono ancora di dover difendere questo diritto fondamentale manifestando il proprio dissenso e indignazione, si moltiplicano a dismisura quei genitori che ritengono l’istituzione scolastica ormai irrecuperabile, scegliendo di boicottarla in favore di una formula d’istruzione alternativa.
Ma in cosa consiste e quali fattori spingono molti genitori verso la pratica dell’homeschooling?
Diffusasi inizialmente tra le famiglie Amish e tra le cristiane suprematiste americane, a partire dagli anni Ottanta l’educazione parentale cominciò a prender piede anche tra alcuni esponenti della media borghesia caratterizzati da un forte sentimento antistatalista. In Italia il fenomeno è ovviamente di origine recente e non ha nulla a che vedere con il desiderio dei parenti di difendere i figli da un’idea corrotta della società, bensì deve la sua diffusione alla crisi, purtroppo evidente, del sistema d’istruzione del Bel Paese. Le famiglie di homeshoolers, in effetti, imputano la responsabilità di questa scelta singolare e controcorrente all’eccessiva standardizzazione che la scuola pubblica impone necessariamente ai propri studenti. I programmi ministeriali sarebbero, a loro dire, eccessivamente generalizzanti, non tenenti conto delle singole predisposizioni dei ragazzi, schematici e applicati con estrema rigidità dai docenti, i quali, nella foga di affrontare per intero tutto il piano didattico annuale, trascurerebbero i tempi d’apprendimento dei propri alunni. «A scuola i ragazzi crescono senza scoprire le proprie passioni, perché non viene dato loro il tempo. Sono demotivati dalla standardizzazione, sottoposti a orari prolungati e non hanno più modo di conoscere loro stessi», questo il pensiero di Erika De Martino, la madre homeschooler più famosa d’Italia. A ciò andrebbero sommati, inoltre, l’incredibile sovraffollamento delle classi, ma anche i fenomeni di bullismo che negli ultimi anni, e con l’avvento dei social network, hanno raggiunto livelli allarmanti e rischiosi, nonché le condizioni fatiscenti e poco sicure degli edifici scolastici, spesso non rispettosi delle normative antisismiche.
Se queste sono le motivazioni addotte dai genitori che optano per l’istruzione parentale, decidendo di non iscrivere i figli a scuola, ma di educarli personalmente in casa, un’obiezione sorge, tuttavia, spontanea: è legale tutto ciò? Secondo l’articolo 34 della Costituzione Italiana, che recita “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, lo è. In effetti, nessuna legge specifica in quale luogo debba avvenire la preparazione didattica di un bambino, né tantomeno esplicita che essa debba provenire da docenti specializzati. Perché il Miur autorizzi i genitori a far ricorso all’educazione domiciliare è, però, necessario che mamme e papà homeschoolers certifichino di possedere le conoscenze basilari all’istruzione dei figli e dimostrino, anche attraverso esami periodici, di impartire realmente tale istruzione, sulla quale i dirigenti scolastici avranno l’onere di vigilare. Osserviamo, quindi, il fenomeno nel nostro Paese. Sebbene i dati non siano precisi e il fenomeno non sia stato ancora studiato con sistematicità, l’Italia può vantare, come dimostra l’ultima indagine del Ministero dell’Istruzione risalente all’anno 2014/15, quasi un migliaio di famiglie che ripudiano l’istituzione scolastica abbracciando la nuova alternativa. Si tratta di una minoranza di certo esigua, se paragonata ad altri stati europei, e tuttavia in continuo aumento. E la Sicilia? Un dato davvero interessante riguarda, per l’appunto, la regione siciliana, capofila del movimento di homeschooling nel Paese, con punte massime di 255 studenti non iscritti alla scuola pubblica ed educati in casa, seguita immediatamente dalla Campania.
Ma siamo sicuri che l’istruzione parentale sia davvero una soluzione efficace contro la crisi della scuola pubblica? Dopotutto non è forse la scuola una tappa imprescindibile dello sviluppo e della crescita di un individuo? Sono numerose le obiezioni che si possono sollevare circa un metodo di apprendimento, di fatto, ancora dal dubbio esito. Se, difatti, i dirigenti scolastici hanno l’obbligo di monitorare gli allievi homeschoolers, in realtà non esistono alcune garanzie che questa sorveglianza sia davvero esercitata.
La scuola della vita, promossa dal movimento d’istruzione parentale, potrà realmente bastare a creare dei cittadini consapevoli e preparati? E dove collocare, dunque, il ruolo fortemente sociale e umano della scuola? Il timore è di ritrovarsi, tra qualche anno, con giovani adulti che non sapranno rapportarsi con il mondo, interagire con l’altro, con il diverso, con le difficoltà e le vicissitudini della vita reale.
Interrogazioni, esercizi per casa, compiti in classe, bullismo, insegnanti che si celano dietro il celeste di un registro anonimo: è davvero solo questo la scuola? Le amicizie, i compagni di banco folli, i guai combinati durante le ore di educazione fisica, che strapperanno un sorriso anche tra molti anni; le gite, i “pizzini” che viaggiavano per tutta la classe durante i compiti in classe; quei professori al cui pensiero si sobbalza ogni volta, ma che erano, in fin dei conti, dei mentori; gli esercizi di matematica che non risultavano mai, che ci hanno, però, insegnato il valore della tenacia; il bidello che veniva ad annunciare l’assenza del docente, inneggiato come un eroe in ritorno dalla guerra; l’amato suono della campanella, che ci salvava puntuale dall’interrogazione: anche tutti questi aspetti fanno parte dell’esperienza scolastica e di formazione di ciascuno.