Phubbing: quando il cellulare diventa il “terzo incomodo” in una coppia

“Partner phubbing” è un modo per indicare chi trascura il proprio partner per controllare, in maniera compulsiva, lo smartphone. Il termine deriva da “snubbing” (snobbare) e “phone” (telefono).

Molto spesso i rapporti di coppia vengono compromessi da una terza presenza, da un oggetto capace di allontanare due persone nonostante si trovino anche a pochi centimetri di distanza. Lo smartphone, infatti, influenza sempre più i nostri rapporti. Che siano di coppia, relazioni di amicizia, familiari, lavorative. Un oggetto apparentemente innocuo riesce a manovrare le nostre vite, o meglio, siamo noi che riusciamo a essere talmente fragili da esserne vittime.

Con atteggiamento compulsivo, ossessivo, è sempre nelle nostre mani e qualsiasi notifica delle innumerevoli applicazioni che uno smartphone accoglie, attira immediatamente la nostra attenzione. Anche se il momento che stiamo vivendo è importante, anche se ci troviamo in compagnia di una persona speciale e siamo impegnati in qualcosa che, senza il cellulare, probabilmente avrebbe meritato la nostra assoluta attenzione e interesse.

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In uno studio pubblicato su Computers in Human behavior quasi la metà degli intervistati dai ricercatori della Baylor University, in Texas, ha dichiarato di essere vittima di questo atteggiamento: più del 30% non riceve le giuste attenzioni dal partner e nel 20% dei casi è proprio il telefono perennemente in mano ad aver incrinato il rapporto con il compagno. La motivazione sta nel fatto che, in questo modo, il partner si sente triste, trascurato e solo. Il problema non sta in ciò che, con lo smartphone, viene fatto, ma proprio a priori, nell’utilizzo dello stesso. Il controllo compulsivo, probabilmente, è dettato dal fatto che ci si illude di avere una fitta rete di amicizie virtuali che supera ancor di più quelle reali. Ci si illude che ciò che si trova sul mondo virtuale sia più interessante, più stimolante di ciò che il mondo reale ci offre.

Due ricercatori della Baylor, David Meredith e Robert James, affermano che l’impatto del phubbing sulla coppia non è dipendenza da connessione, ansia o insonnia da social, quanto “visibilità del telefono”: da alcune affermazioni, quali, “Il mio partner mette il suo cellulare in un posto visibile quando siamo insieme”, oppure “il mio partner tiene il suo cellulare in mano quando è con me”, si nota come la prospettiva sia rovesciata. Cosa evidente anche nel titolo che i due studiosi americani danno alla ricerca: “La mia vita è diventata una distrazione dal mio cellulare (“My life has become a major distraction from my cell phone: Partner phubbing and relationship satisfaction among romantic partners”).

Secondo una ricerca di Meredith’s Parents Network, il 12% delle donne utilizza il telefono mentre scambia effusioni con il partner e il 21% confessa di usarlo anche in bagno. Il 40% degli utenti porta lo smartphone anche in bagno, il 30% lo utilizza a pranzo o cena con altre persone e per il 58% non passa ora senza controllare il display.

Un terzo incomodo, dunque, verso cui è difficile provare gelosia: non è tradimento, ma un aspetto ancor più subdolo e dannoso, si tratta di trascurare il proprio partner, la propria vita reale per trovare sollievo, conforto e, a volte, anche felicità, rifugiandosi dietro a uno schermo, a quelle notifiche, o a quelle chat che mai potranno sostituire i rapporti veri, reali, quelli che ti lasciano un benessere duraturo. Mai potranno sostituire uno sguardo, un sorriso, una carezza, un abbraccio reale, nemmeno gli emoticons più recenti potranno sopperire alla mancanza di rapporti concreti, fisici.

Tornare indietro nel tempo, a quei cellulari, il cui unico utilizzo era chiamare e mandare messaggi sporadicamente, perché poi il credito sarebbe terminato, è sicuramente atteggiamento da nostalgici e non produttivo. Dovremmo imparare a vivere maggiormente le situazioni reali che si presentano davanti a noi e ridurre il virtuale a pochi minuti della giornata. Una batteria scarica frequente potrebbe, forse, risolvere il problema, ma la volontà di vivere davvero con autenticità, pieno interesse e passione la nostra vita reale potrebbe stare alla base di rapporti più solidi.

Rita Vivera

Rita Vivera nata a Comiso (RG) il 17/06/1990, attualmente studia Giurisprudenza presso l'Ateneo di Catania. Determinata a perseguire i suoi obiettivi, tra lo studio di un diritto e un altro, ama scrivere in particolare di attualità, di politica e di musica.

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