Non molte settimane fa leggevamo che le nostre università non sono “ben piazzate” su scala mondiale. Le ultime notizie confermano che, anche se sono solo quattro le università a competere a livello globale, la reputazione degli atenei nostrani, sale!
Giù nel ranking generale, su nella «employer reputation»: la reputazione tra più di 40mila datori di lavoro. È il paradosso che accompagna gli atenei italiani nell’edizione 2015-2016 del Qs World University Rankings, report annuale della Quacquarelli Symonds (una società britannica, fondata dall’italianissimo Nunzio Quacquarelli nel 1990, che si occupa di formazione e studio all’estero, fornendo agli studenti di tutto il mondo pubblicazioni ed eventi per poter favorire lo studio all’estero, ndr). L’ultima edizione ha classificato 891 atenei sui più di 3.500 presi in considerazione, con la cernita di 11,1 milioni di pubblicazioni scientifiche e i voti di un campione di 76.798 intervistati dal mondo accademico e 44.226 dalle aziende.
Niente di nuovo nella top 10, si si esclude l’ingresso della svizzera Eth Zurich in un vertice dominato dai “soliti” college anglo-americani. Nell’ordine: Mit, Harvard, Cambridge, Stanford, Caltech, Oxford, University College London, Imperial College, la stessa Eth e Chicago. Qualcosa di diverso si intravede nel resto della classifica, perché il cambio di alcuni parametri ha spinto al ribasso i nostri atenei ma reso «più competitivi» i laureati italiani.
A subire il colpo più grave è stata la ricerca. Per la prima volta in 12 edizioni, il peso delle citazioni scientifiche (citation per faculty, uno dei sei parametri, valido per il 20% del totale) è stato ‘normalizzato’ tra i dipartimenti. Ovvero: redistribuito in maniera uguale tra cinque macro-aree di studio, secondo un criterio che assegna ad ogni gruppo di discipline un’incidenza percentuale identica sul punteggio conclusivo (il 20%).
Il livellamento ha ridimensionato l’influenza di atenei incentrati sulla settori come la ricerca medica – più rilevanti nella quantità di paper pubblicati, ma con una popolazione più ristretta di studenti – e restituito peso a quelli improntati a scienze sociali o di area umanistica: atenei come la London School of Economics hanno guadagnato decine di posizioni, dopo essere rimasti schiacciati per anni da un meccanismo che non teneva in considerazione i propri criteri di pubblicazione. «Non è stata una scelta semplice, ma ha contribuito a creare dei ranking più ‘equi’ in senso generale – dice Simona Bizzozero, responsabile relazioni pubbliche di Quacquarelli Symonds – Anche se precisiamo che si tratta di una classifica per sua natura arbitraria e fondata su nostri criteri».
Risultato? I nostri dipartimenti, già penalizzati da scarsa presenza internazionali e rapporto numerico docenti-allievi (troppo pochi docenti rispetto agli allievi, ndr), hanno perso per strada fino a 50-100 posizioni tra 2014 e 2015. Tra le prime 200 si salva il solo Politecnico di Milano (187esimo, in crescita dalla 229esima posizione di un anno fa), seguito poco più giù da Università di Bologna (204esima: era 182esima l’anno scorso).
Le buone nuove, in compenso, arrivano da uno criteri più sensibili per gli studenti: la reputazione delle università tra le aziende, cioè i datori di lavoro. Quattro italiane compaiono tra le prime 200 e 13 hanno fatto un salto in avanti rispetto alle precedenti rilevazioni. La Bocconi di Milano, neppure classificata nel ranking generale, compare addirittura al 32esimo posto, seguita di nuovo dal Politecnico di Milano (74), Università Cattolica del Sacro Cuore (143) e il Politecnico di Torino (199), mentre resta fuori di pochissimo l’Università di Bologna (207). In questo caso, a far pendere in positivo la bilancia sono due fattori. Il primo è matematico: l’allargamento del pool di datori di lavoro intervistati, passati da meno di 30mila a più di 44mila unità. Il secondo, dice Bizzozero, è «culturale» e testimonia una delle esportazioni italiane: i laureati.
«I nostri laureati e i nostri ricercatori si fanno apprezzare nel mondo, dimostrando un livello di preparazione elevatissimo, se non maggiore della media. E questo testimonia l’ottimo livello delle nostre università». Il calo nella “pagella” generale, comunque, non pregiudica le eccellenze della ricerca italiana anche agli occhi del ranking: nella top 400 compaiono 17 atenei per medicina e scienze della vita (Università di Milano alla posizione 79), 16 nelle scienze naturali (Sapienza 80esima, Politecnico 86esimo), 14 in ingegneria e tecnologia (il Politecnico è 24esimo) e altrettante negli studi umanistici (Università di Bologna, 76esima, e ancora Sapienza, 84esima) e 13 nelle scienze sociali (22esima la Bocconi, 97esima l’Università di Bologna).
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