Osservando i personaggi, gli spazi e i colori di Antonello Silverini si viaggia e si rimane con gli occhi “sospesi”.
Sicuramente sfogliando “La Lettura”, l’inserto domenicale de “Il Corriere della Sera”, o altri giornali editi dalle più importanti testate giornalistiche italiane avrete incontrato le sue illustrazioni o, forse, le avrete incrociate nei libri. In entrambi i casi sarete rimasti a guardare le sue opere perché, come ha affermato Vincenzo Mollica, “la luce della sua prospettiva accende quello che abbiamo sotto gli occhi e non vediamo”.
La sua arte filtra la realtà conducendo l’osservatore nelle sue produzioni artistiche. In esse ci si può “perdere”, perché gli spazi nuovi che vi si incontrano e i suoi personaggi dal colore rosso sono in grado di abbracciare gli occhi che li osservano.
Antonello Silverini e le sue illustrazioni hanno viaggiato anche nella nostra redazione attraverso un’intervista che sembra essere un percorso di parole all’interno della sua arte visiva.
1. Ricorda cosa ha rappresentato la prima volta che ha preso una matita tra le mani?
«Non ho un ricordo preciso della prima volta che ho disegnato. Però, dal momento in cui ho iniziato non ho mai smesso. In un vecchissimo quaderno, da qualche parte, c’è un Pinocchio… credo che quello sia il mio primo ricordo legato al disegno. Quei primi incerti tratti di matita e pesanti colorazioni a pennarello, rappresentano ancora un ricordo forte e – anche adesso che la passione si è convertita in mestiere – provo sempre le stesse emozioni. Forse con qualche “responsabilità” in più»
2. I suoi personaggi sembrano appartenere a dei racconti ambientati in un mondo che può essere chiamato “fantasia”. Quando sono nati? E da dove provengono?
«Non mi sento un autore fantasioso. Credo di essere un illustratore immaginativo. Nel senso che quello che rappresento è il mondo che mi circonda, filtrato attraverso la mia sensibilità. I personaggi che abitano le mie illustrazioni siamo noi, solo nella giusta dimensione»
3. C’è una corrente artistica, o semplicemente un artista, a cui si è ispirato?
«Gli artisti che mi hanno influenzato – e che continuano a esercitare su di me la loro fascinazione – sono davvero tanti. Amo Rauschenberg, Schifano, Bacon… Possono anche sembrare lontanissimi dal mio stile, ma tutti hanno avuto un ruolo importante nella mia formazione. Mi riferisco non solamente ad artisti plastici o figurativi. La musica, il cinema, la letteratura… tutto appartiene alle mie esperienze e al mio linguaggio artistico. Il punto è che le persone che guardano le mie immagini tendono a ricondurle ai propri referenti culturali. In sostanza, ognuno ci vede quello che vuole. E anche questo va bene».
4. Come nasce in lei l’idea di un’opera? Che cosa è per lei l’ispirazione?
«Io sono un illustratore e nella maggior parte dei casi la mia ispirazione nasce dalla committenza. L’ispirazione, l’idea, sono il risultato di un’elaborazione che passa attraverso le mie esperienze e la mia visione del mondo. Quello che cerco è l’equilibrio, tra il rispetto del tema dato e la mia autorialità».
5. Ha dato un volto e un colore ai personaggi dei libri. Quanto secondo lei questi hanno influito sul lettore?
«Mi sembra che nel tempo – e non solamente nel mio caso – il ruolo e l’importanza dell’illustrazione siano cresciuti. Sempre meno si è vincolati all’idea dell’illustrazione come decorazione e il peso dell’immagine ha un ruolo maggiore. Le copertine dei libri hanno addirittura un ruolo decisivo nella “seduzione” del lettore e le immagini che accompagnano un articolo di giornale, la forza e l’intelligenza di una lettura trasversale. Per questi motivi, cerco di avere un approccio “etico” nei miei lavori e di affermare un pensiero “parallelo” a quello dell’autore del testo».
6. Nelle sue opere ritorna sempre il colore rosso. Quale valore ha affidato a questa tinta?
«Il rosso è il mio colore. Probabilmente esiste una serie di implicazioni interiori che mi “costringe” a usarlo così spesso. Di sicuro è diventato una cifra stilistica e la sua forza di coinvolgimento (e a volte di provocazione) mi sono indispensabili».
7. Nel suo atelier, oltre ai mezzi necessari per la realizzazione delle opere, cosa non deve mai mancare?
«La musica».
8. Valentina Wrzy, la nostra vignettista, ha immaginato l’incontro tra LiveUnict e le sue opere. Se le chiedessi di fare lo stesso, come raffigurerebbe l’incontro tra i suoi personaggi e il nostro mondo universitario?