Il Senato ha dato il via libera al maxiemendamento sul Jobs Act, votando la fiducia posta dal governo sul provvedimento al centro del dibattito da alcune settimane. Il responso, 165 i sì, 111 i no, 2 gli astenuti.
Articolo 18 rinviato ai decreti delegati . Nessun riferimento diretto all’articolo 18 (già riformato due anni fa dalla legge Fornero), il pomo della discordia che ha rischiato di far implodere il Pd e la maggioranza. Il governo infatti è delegato a : “razionalizzare e semplificazione delle procedure, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro”. Se da una parte è un’apertura del governo alla «minoranza» piddina , che ha promesso una dura opposizione a riguardo, dall’altra restano chiare le idee dell’esecutivo, che «intende modificare il regime del reintegro così come previsto dall’articolo 18, eliminandolo per i licenziamenti economici e sostituendolo con un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità”.
La tutela resterà per “i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare particolarmente gravi, previa qualificazione specifica della fattispecie”, in modo tale da limitare i margini di discrezionalità del giudice. La vera battaglia sarà sui licenziamenti economici: l’attuale art18 prevede la possibilità del reintegro + un risarcimento danni retributivi fino ad un massimo di 12 mensilità se c’è una manifesta infondatezza del fatto. Per gli altri casi di non manifesta infondatezza è prevista un’indennità risarcitoria compresa tra le 12 e le 24 mensilità. Il Governo vorrebbe eliminare la possibilità in ogni caso del reintegro prevedendo un maxi indennizzo. Si è rinviato il problema, ma i nodi su questo punto cruciale verranno inevitabilmente al pettine.
Ma Jobs Act non è solo art18. Ci saranno novità su: contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti per i nuovi assunti; riordino della cassa integrazione con nuovi limiti all’utilizzo; razionalizzazione degli incentivi all’assunzione e in generale riordino dei servizi del lavoro e delle politiche attive; rimodulazione dell’Aspi (l’assegno di disoccupazione) in relazione alla carriera contributiva del lavoratore con l’estensione anche ai collaboratori; ferie solidali’. Tanta carne al fuoco insomma, occorre pertanto procedere con ordine.
Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. La prima novità è senza dubbio il «contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio» per i neoassunti: l’obiettivo è quello di farne la modalità normale di assunzione sfoltendo le decine di forme contrattuali e le relative norme. Altro non si sa: vi è ancora solo il «principio», e la formula è compatibile con due soluzioni diverse tra loro. La prima ipotesi prevede un periodo di prova, che può durare dai tre ai sei anni a seconda delle ipotesi( probabilmente si troverà un’intesa sui 3 anni), durante il quale il licenziamento è sempre possibile per poi passare ad un periodo di stabilità secondo le regle dell’art18 come verrà riscritto. La seconda ipotesi, sostenuta da Alfano, consente il licenziamento sempre ma con un indennizzo crescente con l’anzianità di servizio.
Demansionamento limitato. Viene introdotta la possibilità di demansionamento, ma con dei “limiti” che non erano presenti nel testo della delega licenziato dalla commissione Lavoro. La revisione della disciplina delle mansioni potrà avvenire “in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche”. La delega elimina invero il divieto dei controlli a distanza previsto dallo Statuto dei lavoratori.
Ammortizzatori sociali. Qualora sussista una situazione di disoccupazione involontaria, il governo dovrà assumere tutele uniformi e in linea con la storia contributiva dei lavoratori. Il lavoratore beneficiario dell’indennità dovrà dimostrare di svolgere una ricerca attiva del nuovo lavoro, rendere dei servizi alla comunità locale e seguire percorsi personalizzati, pena la sanzione della decadenza in caso di rifiuto di un’offerta di lavoro, di un’offerta di formazione o di un aiuto alla comunità. L’ammortizzatore unico, l’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego), verrà universalizzato ed esteso ai contratti di collaborazione (co.co.co. per intenderci) , prevedendo prima dell’entrata a regime “un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite”. Sorgono due questioni irrisolte: il maxiemandamento non fa alcun riferimento alle partite Iva, realtà ormai consolidata nel nostro tessuto lavorativo e le risorse. Le risorse appunto, l’ostacolo più grande: perchè se le varie posizioni all’interno della maggioranza possono essere superate con dei compromessi, i vincoli di bilancio sono alquanto più rigidi. La coperta è corta e non si capisce ancora come possa il Governo trovare quelle risorse (si parla di circa 15 miliardi minimo) che sosterrebbero tale manovra: qualora si riuscisse nell’impresa, questo sistema di ammortizzatori sociali renderebbe meno amara l’eventuale eliminazione dell’art18. La ratio di fondo risulta chiara ed è stata espressa più volta dallo stesso premier: l’imprenditore deve essere libero di licenziare , mentre è compito dello stato prendersi carico del lavoratore, curarne la formazione e accompagnarlo verso un nuovo impiego. Per ora il Governo assume l’impegno a finanziare con 1,5 miliardi aggiuntivi i nuovi ammortizzatori sociali. Sono pochi ma è pur sempre un inizio.
Altri punti affrontati dalla legge delega sono:
- Semplificazioni. Si punta a creare le condizioni perche’ si possano svolgere “esclusivamente in via telematica” tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro.
- Maternità. La delega prevede l’introduzione universale dell’indennità di maternità e il diritto per le lavoratrici madri parasubordinate all’assistenza anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro.
- Voucher. Cambia anche la disciplina del ricorso alle chiamate, con prospettiva di modificare, sempre con i provvedimenti che seguiranno, tetti e termini di utilizzo, pur rimanendo nei limiti dell’attuale normativa. Resta il tetto dei 5mila euro.
- Ferie solidali. Si prevede la possibilità per il lavoratore che ha un plus di ferie di cederle a colleghi che ne abbiano bisogno per assistere figli minori che necessitano di cure.
- Contratti di solidarietà per aumentare l’occupazione: si punta a semplificare e ad estendere il campo di applicazione dei contratti di solidarietà potenziando l’utilizzo in chiave “espansiva”, per aumentare cioè l’organico riducendo l’orario di lavoro e la retribuzione del personale.
- Politiche attive per l’impiego. L’innovazione più evidente è la nascita della nuova Agenzia nazionale per l’occupazione che, fatte salve le prerogative delle regioni su queste materie , offra le linee generali, il coordinamento e la regia per mettere a sistema i servizi al lavoro, pubblici e privati, mettendo in collegamento tra loro il sostegno al reddito del disoccupato con la sua ricollocazione. All’Agenzia spettano anche la definizione di standard di servizio (livelli essenziali delle prestazioni) e la ricerca delle misure più idonee, insieme alle regioni, ad attivare le persone senza lavoro verso una nuova occupazione.
- Riforma Cig (Cassa integrazione guadagni): sarà impossibile autorizzare la cig in caso di cessazione di attività aziendale o chiusura di un ramo di azienda mentre sarà previsto l’accesso alla cig solo a seguito dell’utilizzo delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro.Saranno rivisti i limiti di durata dell’indennità (adesso il tetto e’ di due anni per la cassa ordinaria e di quattro per la straordinaria) ed una maggiore partecipazione da parte delle aziende che la utilizzano.
Noi giovani neolaureati , laureandi, cosa avremo da guadagnare dal Jobs act? È ancora presto per dare giudizi, tardi (mai troppo però) per dare soluzioni efficaci. I dati Istat sono sotto gli occhi di tutti: nel giro di 7 anni la disoccupazione giovanile in Italia è passata dal 23,2% (2007) al 44,2%(2014), la disoccupazione generale dal 6,1% al 12,3% (3milioni e 134mila disoccupati) . Crisi o non crisi è giusto che qualcosa si muovi anche nel nostro mercato del lavoro, il problema sta nel decidere la direzione da intraprendere. Scordiamoci articolo 18, posto fisso, iper garanzie, lauti stipendi: il tempo delle mele è finito, ma d’altronde la nostra generazione se n’è già accorta; l’importante è che la strada della consapevolezza non lasci spazio a quella della rassegnazione.