«E’ un libro per Stefania e per tutte le donne», spiega l’autrice. E ancora: «E’ un mondo triste, lasciarsi andare al cinismo è una tentazione facile, ci stavo per cadere anch’io».
Giovedì 29 maggio, la Feltrinelli di Catania, tra i numerosi eventi culturali in calendario presentati per il mese di corrente, ha visti ospite Serena Maiorana ed il suo libro opera prima: “QUELLO CHE RESTA; Storia di Stefania Noce il femminicidio e i diritti delle donne nell’Italia di oggi”, edito da Villaggio Maori edizioni. La sala, normalmente freschissima per via dell’aria condizionata dispensata senza parsimonia, era a dir poco soffocante, tanta la gente a gremirla. In tantissimi accorsi alla commemorazione cartacea della studentessa brutalmente assassinata insieme al nonno ormai un anno e mezzo fa dall’ex fidanzato. Il lavoro della Maiorana, giovanissima scrittrice socialmente impegnata di Milazzo, che dal 2009 si occupa di stereotipi e linguaggi di genere, in questo lasso di tempo è stato instancabile tra interviste ai familiari e agli amici di Stefania, sopralluoghi frequenti nei posti in cui lei ha vissuto, studiato, scritto. Il frutto di questa raccolta di testimonianze, anche scritte (poesie, articoli, frammenti della stessa SEN, pseudonimo di Stefania Noce), è un libricino dall’esiguo numero di pagine, che contrappone la scorrevolezza del linguaggio e la leggerezza nel leggerlo con una tematica tutt’altro che leggera, anzi, di una pesantezza morale schiacciante. La strage delle donne per omicidi di genere che oramai ha un neologismo ben preciso per definirla: FEMMINICIDIO. Se ne sente parlare spessissimo, di questi tempi, e i soliti “complottisti del settimo giorno” gridano all’invenzione giornalistica per fare scoop, audience. Soldi. Ma è realmente così?
Il femminicidio, questo termine che nemmeno il correttore automatico del mio computer pare riconoscere e che sta ad indicare l’uccisione di una donna in quanto e perché donna e non per altre motivazioni, è davvero una mera fanfaluca da due soldi per talk show strappalacrime, come sostenuto da E. Paoloni sul blog “oltre/anotizia” (si veda l’articolo “Invenzione del femminicidio”)? Davvero i giornalisti sono così disperati, talmente a caccia di cattive notizie (come se non ve ne fossero già abbastanza in giro ogni giorno), da metter su finte scene del delitto, trovare attori convincenti che recitino il dolore dei familiari delle vittime, mentire su statistiche di dominio pubblico… o forse si tratta dell’ennesimo atteggiamento sessista (maschilista, a quanto pare, sta diventando una parola tabù), volto a screditare l’ennesima insopportabile trovata delle donne? Dopotutto, hanno già ottenuto il voto e di guidare i camion, che vogliono di più?! Ma il libro di Serena Maiorana mette nero su bianco quanto il fenomeno sia, al di là di ogni ragionevole dubbio, reale e tangibile. Attuale non perché sbucato fuori dal giorno alla notte, ma perché forse, oggi, percepito dalla società italiana con maggiore attenzione. Il femminicidio esisteva ieri come oggi, è un fenomeno ancestrale, sociale, culturale e persino politico, come si è sovente sentito dire, che nasce, si potrebbe pensare, con l’uomo stesso e con la concezione patriarcale del nucleo familiare e della comunità tutta. Perché ora pare se ne parli molto più di prima? Perché forse finalmente l’Italia si sta svegliando dal torpore di secoli e secoli di retaggi mentali di stampo maschilista, in ritardo rispetto alle altre nazioni, tanto per cambiare, e sta prendendo visura di quello che è un autentico bollettino di guerra. Trecentosessanta le donne uccise perché tali in Italia, dal 2008 al 2012, ci informa la Maiorana, da fidanzati, compagni, ex, mariti…
In un percorso che va dai dati statistici alle storie personali delle vittime, dall’analisi dell’uso sessista della lingua italiana al ruolo delle donne nel mondo del lavoro, questo libro è una riflessione che induce ad altre riflessioni, parallele e correlate, che porta il lettore o la lettrice a rimurginarci sopra e a chiedersi se sia o meno il caso di fare qualcosa, attivamente, per evolversi. Il pubblico stesso è stato chiamato in causa ad esprimere opinioni e porre domande, e viene domandato alla giovane scrittrice come mai Loris Gagliano, assassino di Stefania Noce, venga appena menzionato, al che lei risponde:
«Più leggevo la cronaca sul femminicidio e sul caso Noce in particolare, più vedevo troppa attenzione su di lui, ma nelle cose sbagliate, come sul presunto amore che, a legger certi giornali, sarebbe addirittura stato il movente. Questa “informazione” raccontata nell’ottica di storie finite male, raptus di rabbia, passione eccetera, è fuorviante. Falsa. Ricordiamoci che ben il 70% delle vittime avevano già denunciato il proprio carnefice! Solo per questo, dovrebbero dimettersi tutti. E’ un fallimento totale delle istituzioni! Per questo raccomandiamo a tutte le donne vittime di violenza di chiedere aiuto ai Centri Antiviolenza che, anche se non sono affatto sostenuti dallo Stato, svolgono un lavoro eccellente nella prevenzione e nella protezione. Ho speranza, perché se anche gli uomini si stanno finalmente mettendo in gioco in prima persona, dalla parte delle donne, vuol dire che qualcosa si sta smuovendo, contro una società che è causa primaria delle convinzioni alla base dell’omicidio di genere.»
«La prima donna maltrattata è stata Eva. Dal detto cinese “quando torni a casa picchia tua moglie, tu non sai perché, ma lei si” al vaso di tutti i mali aperto da Pandora, è evidente che la storia che ci propinano è stata scritta da soli uomini», osserva Pina Ferraro, assistente sociale e sociologa, nonché consulente di parte della famiglia Noce – Miano.
«Loris Gagliano per me e per il mio libro è soltanto l’assassino di Stefania. Niente di più, niente di meno», termina l’autrice.
L’incontro si è concluso con l’intervento finale di Giovanni Noce, padre di Stefania. L’epilogo, un battibecco cui, certamente, tutti i presenti avrebbero volentieri fatto a meno, in quello che è stato un “omaggio dovuto”, come rispettosamente ribadito dall’autrice, a cui auguriamo buona fortuna nella divulgazione del suo forte messaggio. Che arrivi a riscuotere quante più coscienze possibili!
Foto di Diletta Salafia