Oggi, 10 febbraio 2017, una pagina della storia italiana viene ricordato uno dei momenti più atroci dell’umanità: il massacro delle Foibe.
Si tratta di una “giornata del ricordo” introdotta solo 12 anni fa, nel 2005, e da allora ha portato alla luce quello che fu un massacro di oltre 20.000 uomini. Brevemente, nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria (fino ad allora territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana) e puntò verso Trieste, per riconquistare i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia. Gli jugoslavi si impadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna.
Le milizie di Tito torturarono, assassinarono e gettarono nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) i nostri connazionali. Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. Ancora più atroci i metodi di uccisione: i condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Veniva aperto il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili. I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori).
I numeri sono chiari: nel periodo tra il 1943 e il 1947 furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.
Un avvenimento che è ancora vivido e che va ricordato, così come meritano un appropriato ricordo anche le vittime.
Fonte: Focus.it