Costumi a dir poco medievali erano ancora una consuetudine nell’Italia del XX secolo. Solo il 5 settembre 1981 sono stati aboliti due di quelli che erano considerati “diritti” del maschio italiano, due istituti giuridici che oggi sembrano appartenere a un’epoca remota: il matrimonio riparatore e il delitto d’onore. Due norme figlie di una cultura patriarcale che premiava la violenza, purché incorniciata nel concetto ipocrita di “onore”. Questa data segna un grande passo in avanti per la civilizzazione del nostro paese.
Matrimonio riparatore e delitto d’onore: cos’erano?
Il matrimonio riparatore è una pratica che continuò ad essere utilizzata dall’età medievale fino a quella contemporanea. L’uomo che avesse commesso, nei confronti di una donna nubile e vergine, stupro o violenza carnale, aveva la possibilità di liberarsi da qualsiasi condanna penale e sociale per l’azione commessa e, nello stesso tempo, privare la famiglia della ragazza del “disonore” subito. Attraverso, infatti, la proposta di matrimonio, l’uomo si impegnava letteralmente a riparare il danno. Non avrebbe, inoltre, potuto pretendere alcuna dote dalla donna. Quest’ultima sarebbe stata, dunque, costretta a una non scelta.
Per comprendere a fondo la visione che ai tempi vigeva della donna e della posizione di supremazia che su questa ricopriva la famiglia, è fondamentale sottolineare che il matrimonio riparatore era soprattutto voluto dai familiari della vittima, i quali non ritenevano percorribile altra via per ripristinare l’onore ormai perduto.
La giovane donna, infatti, a causa dell’accaduto, non avrebbe fatto altro che alimentare scomodi pettegolezzi popolari e, soprattutto, non essendo più “illibata”, si sarebbe preclusa la possibilità di trovare un uomo disposto ugualmente a sposarla.
Il delitto d’onore, invece, era stabilito da una legge: l’art. 587 del Codice Penale Rocco, in vigore dal ventennio fascista, recitava:
“Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona, che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.”
Praticamente l’uomo, dopo aver commesso l’omicidio di una donna del proprio nucleo familiare, avrebbe potuto godere di uno sconto di pena in quanto “l’atto d’ira” veniva in parte giustificato dal fatto che l’uomo fosse stato disonorato. La legge, quindi, tutelava tali azioni, il cosiddetto “delitto d’onore“, che fondava la propria ragione di esistere sulla necessità di difendere l’onore.
La storia di Franca Viola; la prima donna a dire “NO”
L’Italia, Paese della Costituzione antifascista e dei diritti umani, ha portato avanti queste norme fino agli anni ’80. Eppure la resistenza culturale era già in corso da tempo. Una giovane siciliana di nome Franca Viola ne fu l’emblema. Oggi Franca Viola ha 77 anni e vive ad Alcamo, dove venne rapita e violentata nel 1965. È considerata la prima donna italiana ad avere rifiutato «il matrimonio riparatore»
È il 1965. In un’Italia contadina e profondamente influenzata da codici d’onore non scritti, Franca Viola, appena diciottenne, viene rapita e violentata dall’ex fidanzato Filippo Melodia, un giovane mafioso di Alcamo, in Sicilia. Dopo otto giorni di segregazione, stupri e violenze, la ragazza viene liberata dalla polizia. Ma il trauma non finisce lì.
Quando venne rapita e stuprata per otto giorni, Franca Viola aveva quasi 18 anni. Era il 26 dicembre 1965, ad Alcamo, in Sicilia, dove Franca Viola era nata e cresciuta insieme alla sua famiglia. Non è mai andata via dal suo paese, lì, mentre le voci in strada e nei bar si dividevano tra cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato, Franca Viola è diventata la prima donna italiana a rifiutare il «matrimonio riparatore».
Il coraggio di una donna
All’età di 15 anni, Franca, con il consenso della famiglia, si era fidanzata con Filippo Melodia, un giovane di paese, benestante e nipote di un mafioso del luogo. La Sicilia era quella di fine anni Sessanta, dei piccoli proprietari e dei mezzadri. Fu quando anche Filippo venne accusato di furto e appartenenza a banda mafiosa che Franca Viola decise di lasciarlo, sostenuta da suo padre. Da quel momento Franca e la sua famiglia furono condannati a continue intimidazioni, minacce armate, distruzione e incendio della propria vigna. Non sembrava possibile a quel ragazzo abituato a decidere (e ottenere) tutto, di trovarsi davanti a una donna che lo rifiutava e un padre che non si lasciava spaventare.
Così, Filippo Melodia organizzò il rapimento di Franca convinto di convincerla a cedere in questo modo e il 26 dicembre 1965 piombò in casa sua, picchiando la madre e portando via insieme a Franca anche il suo fratellino di otto anni. Per poi liberarlo poco dopo. Quella che non venne liberata fu lei, la ragazza che continuava a dire no. Che voleva decidere per se stessa. Nonostante gli stupri, le botte, il digiuno prolungato. Una tortura durata otto giorni.
«Rimasi digiuna per giorni e giorni. Lui mi dileggiava e provocava. Dopo una settimana abusò di me. Ero a letto, in stato di semi-incoscienza» raccontò Franca.















