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Durante i primi anni del Novecento, gli italiani presenti in suolo tunisino erano piรน di 100.000. Si trattava di proletari, in gran parte di origine siciliana e in misura minore calabrese e sarda. Questi nuovi migranti avevano raggiunto la Tunisia dopo la seconda metร dellโOttocento, invogliati dai lavori promossi dai nuovi reggenti francesi. La Tunisia per i siciliani rappresentava una terra non troppo lontana dalla loro Isola. Inoltre il paesaggio, il clima, la campagna e la vegetazione erano uguali a quelli a cui erano abituati. Per tutte queste ragioni riuscirono a stabilirsi facilmente in un nuovo territorio e ben tre generazioni di italiani del Sud ย rimasero in Tunisia, riuscendo a migliorare ย progressivamente le proprie sorti, e quindi a riscattarsi dalla miseria e dalla fame.
Dalla Sicilia alla Tunisia
Le fonti storiografiche ricordano che molte furono le maestranze che dalla Sicilia raggiunsero il paese africano: artigiani, agricoltori, commercianti, operai, pescatori (tra questi, corallai e tonnaroti), provenienti perlopiรน dalle province di Trapani, Palermo e Marsala, oltre che da Pantelleria (ma non mancarono siciliani dellโAgrigentino, del Nisseno e del Ragusano).
Diversi i motivi che spingevano i siciliani ad abbandonare la loro terra. Tra i molti vi erano sicuramente quelli personali o familiari: vendette, “fuitine” amorose, fughe per questioni giudiziarie, mancanza di lavoro o di semplici prospettive future, lโinsistente minaccia della criminalitร organizzata e la sottomissione ai signori locali, prodromi di un sistema mafioso incipiente.
La fine dellโidillio per i siciliani
Lโidillio e la stabilitร trovata sembrรฒ durare poco. Infatti, dopo la fine della seconda guerra mondiale, le autoritร francesi cominciarono a โdecapitareโ la collettivitร italiana. Ben presto prese piede lโodioso slogan โle pรฉril italienโ, per indicare la presenza degli immigrati italiani come un rischio, un pericolo per la convivenza pacifica e persino per la stabilitร politica del paese sotto tutela francese.
Dโaltronde, i siciliani erano sempre stati dipinti come criminali incalliti, irascibili, imprevedibili, violenti e molto pericolosi e per questo esortati a lasciare le loro abitazioni. Coloro che non erano disposti a seguire le nuove regole vennero immediatamente licenziati o in casi estremi brutalmente assassinati.
Una nuova lingua: il siculo-tunisino
Inizia nel 1956 il processo di tunisificazione, che vede intere famiglie costrette ad abbandonare le loro case per dirigersi o in Francia o in Italia. Tuttavia, il rientro in Italia non fu dei piรน semplici. LโItalia non rappresentava piรน la loro patria, erano state strappate via dalle loro terre ed ora si trovavano costrette a tornare in un paese che non era piรน il loro e del quale ignoravano anche la lingua. Per tutti loro, lโitaliano rappresentava solo la lingua della mancata alfabetizzazione. Dโaltronde, arrivati in Tunisia, lโunica lingua che conoscevano era il dialetto siciliano, che con il tempo si mescolรฒ prima allโarabo e poi al francese. Una sorta di “code mixing” chiamato โsiculo-tunisinoโ. Ma purtroppo quella nuova lingua, che con il tempo avevano creato, giunti in Italia rappresentava solo un sub-linguaggio di cui vergognarsi.
Ad oggi le uniche tracce del siculo-tunisino sono risalenti alla testata “Simpaticuni”, un settimanale di taglio politico letterario e umoristico pubblicato a Tunisi fra il 1911 e 1933. E gli ultimi parlanti siculo-tunisini sonno tutti over novantenni, e risiedono nella casa di riposo Foyer familial Delarue-Langlois di Rades, a 9 km a sud da Tunisi.
Marinette Pendola, una testimonianza di siculo-tunisino
Marinette Pendola con i suoi scritti continua a raccontare la realtร dei siciliani in Tunisia. Lโautrice nacque a Tunisi nel 1948 da una famiglia di origine siciliana. Purtroppo nel 1962 fu costretta a lasciare la Tunisia. Dai suoi romanzi si possono ricavare intere porzioni della storia linguistica di ben tre generazioni di italiani residenti in Tunisia. Con un occhio piรน critico, si puรฒ osservare perfettamente come il siciliano si mischi con lโarabo e con il francese. Di seguito alcuni esempi riportati dalla stessa autrice e raccolti in “Italiani Di Tunisia”.
Pendola ricorda ad esempio che l’arabismo “musce mesce”, (โalbicoccaโ) aveva sostituito lessemi siciliani come “varcocu” e “pricocu” (da lei ricordati anche nelle varianti “bbarcocu” e “piricรฒculo” [sic]). Segnala anche il caso di arabismi come culla โbroccaโย o di espressioni idiomatiche miste del tipo “fari scemetta” (โfare dispettoโ) o “fari una kifia” (โtogliersi un piacereโ). Ed ecco che il vocabolario siciliano si ampia grazie a nuovi termini arabi come “cuscusera” (particolare tegame per cuocere il cuscus), attestata soprattutto nella provincia di Trapani, a cui si aggiunge “cuschesa” (“keskes”), con lo stesso valore semantico.
Ma questa colorita lingua non รจ solo la mescolanza di siciliano e arabo, ma anche di francese. Il dialetto siciliano si ampia di nuovi modi di dire. Tra i piรน utilizzati: “mancu ‘n Francia”ย (โneanche in Franciaโ), con il quale si traduce molto bene l’ammirazione per qualcosa. O anche “m’assicutano i francisi” (letteralmente: โmi inseguono i francesiโ), con il significato: “ho molta fame”, sottintende il rigore dei francesi nell’inseguire il nemico, un rigore che non lascia nemmeno il tempo di mangiare. O ancora “vegno d’arrivare”, calcata sul gallicismoย je viens d’arriver (โsono appena arrivatoโ), sostituisce nei parlanti piรน giovani il siciliano “ora ora arrivai”.
Ed ecco come in una semplice parola o in un modo di dire dialettale si nascondono le tristi storie degli antenati siciliani. Storie di fame e miseria, storie di uomini costretti a lasciare la Sicilia per far fortuna altrove. Storie di siciliani ridotti in miseria anche in Tunisia, storie di uomini assassinati con lโunica colpa di essere siciliani.
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