Giunto all’università, ogni studente dovrebbe possedere un bagaglio di conoscenze e padronanza della lingua italiana tali da consentirgli l’elaborazione di produzioni scritte di diverso genere, evitando errori grossolani e producendo testi fluido e piacevoli da leggere. Qualche volta, tuttavia, vuoi per personali lacune, vuoi per carenze nello studio della lingua a scuola o nel parlato in famiglia, si finisce col commettere delle inesattezze linguistiche.
Certo, in quanto lingua “viva”, l’italiano è soggetto non soltanto a continui mutamenti, ma anche a sviste più o meno comuni che ciascuno di noi commette. Ma quali sono gli errori più frequenti e da cosa derivano? Lo abbiamo chiesto a Gabriella Alfieri, Professoressa ordinaria di Linguistica al DISUM.
“Più che di errori – sottolinea subito la docente – parlerei di tendenze in atto. Quelle più diffuse riguardano la competenza lessicale, per cui c’è una difficoltà ad adeguare il registro del lessico al contesto, al destinatario, al tipo di testo. Si usano, quindi, parole troppo colloquiali in contesti più complessi o, al contrario, tecnicismi, burocratismi inutili in testi più semplici. In pratica stiamo constatando una tendenza, in crescita negli ultimi anni, per cui a quella che noi chiamiamo “solidarietà semantica” non è adeguatamente rispettata. In altre parole, gli studenti non riescono ad accoppiare verbo e complemento oggetto, aggettivo e sostantivo, avverbio e verbo col significato adeguato, per cui si creano delle distonie e degli errori di significato globale nella frase”.
Prima responsabile di un fenomeno così diffuso è, forse, in primis la scuola, se si considera che ancora oggi, nella maggior parte dei casi, gli insegnanti si dedicano a un insegnamento della lingua da una semplice prospettiva frasale, mentre “il concetto che dovrebbe passare – continua la professoressa – è quello della testualità”.
La scuola, tuttavia, non è di certo l’unico elemento in gioco, né tantomeno può ritenersi esclusiva responsabile di un fenomeno diffusissimo all’interno della popolazione studentesca catanese in ogni indirizzo di studio. Protagonista fondamentale nei processi di trasformazione e, quindi, degli usi approssimativi della lingua è, senza dubbio, la società complessa in cui i giovani si ritrovano immersi, venendo bombardati da una miriade di messaggi eterogenei, che creano disordine e non rendono efficace un’educazione mirata allo studio dell’italiano scritto.
Inoltre, in una società multilingue e multiculturale o, comunque, in un contesto in cui spesso in classe si ritrovano più studenti stranieri o ragazzi italiani provenienti da ambienti culturali deprivati, le agenzie di formazione come la scuola, per l’appunto, e l’università si ritrovano a confrontarsi con una realtà complessa, la cui risoluzione necessita di tempo, nonché di ingenti risorse.
Da non trascurare anche “la scarsa attenzione dei giovani, perché non dobbiamo deresponsabilizzarli del tutto. Ci sono alcuni studenti che considerano queste competenze inutili, mentre il primo messaggio da trasmettere è che la padronanza della madrelingua è tra le otto competenze di base richieste dal Quadro Comune Europeo”.
Ma i social in che misura incidono in tutto questo? “I social come tutte le invenzioni umane – prosegue ancora la professoressa – hanno sia aspetti positivi che negativi. Si tratta certo di risorse enormi per chi è isolato, per chi magari a casa non ha dialogo o risorse utili a connetterlo al mondo esterno. Essi spingono a scrivere anche quelle persone che non avrebbero più scritto una volta concluso il percorso scolastico e inducono quei giovani, che comunicherebbero solo attraverso brevi stringhe negli sms, a produrre testi più articolati. È chiaro che anche in questo caso la scuola, anziché demonizzarli, dovrebbe incorporare lo studio di questi mezzi di comunicazione, come accade qui all’università, educando a usare i social nella maniera più adeguata, facendo capire che persino sul web si può comunicare nella giusta maniera, non insultando, mantenendo un certo equilibrio”.
Per ovviare al problema, tuttavia, occorre ripartire dalle origini. Sono numerosi, infatti, i dibattiti apertisi di recente sulla possibilità e sull’utilità del reinserimento del latino alle scuole medie. Riscoprire la “madre” della lingua italiana potrebbe aiutare gli studenti ad afferrare meglio le dinamiche di formazione delle strutture grammaticali, sintattiche e lessicali dell’italiano.
“Il latino a scuola non è una cosa anacronistica – sottolinea l’Alfieri – al punto che alcune università americane l’hanno inserito in corsi di laurea tecnologici e scientifici. Quindi, se adeguatamente impostato, si tratta sicuramente di uno strumento importantissimo per analizzare il funzionamento della lingua e per insegnare ad argomentare, poiché leggendo i testi si capisce la complessità e l’importanza della tecnica grammaticale e retorica che i latini adoperavano. Nelle scuola medie si potrebbe potenziare come attività extrascolastica e con progetti adeguati, in modo tale che un insegnamento mirato del latino, che sia funzionale allo sviluppo delle capacità logico argomentative, possa agevolare la riflessione sull’italiano”.
Non bisogna dimenticare, infine, la funzione preminente dell’Università, nella formazione prelaurea. “L’università ha un importantissimo ruolo – conclude la docente – specialmente oggi che punta a diventare “università di massa”. L’Università in quanto ente di formazione culturale e professionale dovrebbe assumersi le proprie responsabilità, e, come avveniva nel Medioevo, in cui tutte le Facoltà si abituava educavano gli studenti in tutte le Facoltà a comunicare adeguatamente in funzione della situazione e del destinatario sia in maniera nell’ambito dell’oralità che della scrittura orale sia scritta. Alcuni anni fa l’Università di Catania istituiva con successo corsi e laboratori di italiano scritto professionale (CIS e poi LABIS) destinati a tutti gli studenti, per addestrarli a scrivere in maniera adeguata lettere professionali, curricula e tesi di laurea. Oggi solo il DISUM organizza corsi zero di grammatica italiana per i suoi studenti; ogni Dipartimento invece dovrebbe ripristinare l’insegnamento mirato della lingua, strumento totale e pervasivo che attraversa e condiziona tutta la nostra vita professionale”.