Venerdì 17. Due parole e i più superstiziosi sentiranno già una goccia di sudore freddo colargli lungo la schiena, mentre in ogni modo penseranno a come evitare l’inevitabile sfortuna associata a questo particolare giorno. Ma perché, tra tutti i giorni dell’anno, il venerdì 17 è tradizionalmente visto come giorno infausto?
Le origini di questa longeva superstizione risalgono addirittura ai tempi degli antichi romani. Infatti, in numeri romani il 17 si scrive XVII, anagramma di “VIXI”, “Ho vissuto”, “Vissi”. Un’espressione che si trovava di frequente sopra i sepolcri dei latini e che non è esattamente beneaugurante per chi è ancora in vita e magari spera di esserlo negli anni a venire.
L’avversione nei confronti di questo numero è legata, inoltre, alla data di inizio del diluvio universale, che nell’Antico Testamento è indicata proprio il 17, mentre i pitagorici avevano una ragione tutta matematica per non amare questo numero, trovandosi tra 16 e 18, rispettivamente la rappresentazione dei quadrilateri 4×4 e 3×6. C’è addirittura un nome per la paura del numero diciassette: sarebbe la eptacaidecafobia. Quanto al venerdì, la sua colpa risiederebbe nell’essere indicato, nella Bibbia, come giorno della morte di Gesù Cristo.
Eppure, il 17 viene considerato un numero sfortunato soltanto in Italia: fuori dai nostri confini, infatti, l’indiziato numero uno quando si parla di sventura è il numero 13.