
Online l’annuale report di Legambiente “Pendolaria 2025”! Purtroppo dagli daticondotti si evince come il quadro diventi anno dopo anno sempre drammatico: il trasporto pubblico italiano continua a perdere “pezzi”.
D’altronde il Fondo Nazionale Trasporti varrà nel 2026 il 38% in meno rispetto al 2009 se si considera l’inflazione, mentre la legge di Bilancio 2026 toglierà diverse risorse per la costruzione e l’ampliamento della metro C di Roma, alla M4 di Milano e al collegamento Afragola–Napoli. Sempre meno treni regionali, circa 185 treni in mano rispetto al 2023. La causa? Da una parte, le dismissioni dei rotabili più vecchi non compensate da acquisti sufficienti di nuovi convogli. D’altra, il fatidico progetto del Ponte sullo Stretto, che assorbe circa 15 miliardi di euro per circa 3 chilometri.
I numeri del Fondo Nazionale Trasporti sono abbastanza chiari: sempre meno risorse destinata al trasporto pubblico su ferro e gomma! Dopo i tagli del 2010 i fondi non sono mai stati pienamente reintegrati. In altre parole si è passati da 6,2 miliardi di euro nel 2009 a 4,9 miliardi nel 2020, con un lieve recupero a 5,18 miliardi nel 2024. A questo bisogna anche considerare l’aumento dell’inflazione. Il Fondo, così, vale 35% in meno rispetto al 2009 e, senza interventi correttivi, nel 2026 la perdita salirà al 38%.
La situazione diventa critica con la nuova legge di Bilancio 2026, che non rafforza il Fondo e, al contrario, definanzia tre interventi cruciali per le aree urbane a più alta domanda di mobilità. Si parla di 425 milioni di euro sottratti alla metro C di Roma (tratta Piazzale Clodio–Farnesina), lo stop al prolungamento della M4 di Milano fino a Segrate e al collegamento ferroviario Afragola–Napoli.
Negli ultimi anni, la politica infrastrutturale ha continuato a privilegiare grandi opere stradali e autostradali. Tra cui: il Ponte sullo Stretto di Messina, ma anche la Pedemontana Veneta, la Bre.Be.Mi., la Pedemontana Lombarda. Tutto ciò ha drenato importanti risorse alla aree urbane e metropolitane, dove attualmente si concreta una maggiore domanda di mobilità quotidiana.
Secondo gli ultimi dati raccolti, in Italia si costruiscono, in media, solo 2,85 chilometri all’anno di nuove metropolitane e 1,28 chilometri di tranvie. Se si attua un confronto con le altri grandi nazioni, le reti si fermano complessivamente a 271,7 chilometri, contro, ad esempio, i 680 del Regno Unito, i 657 della Germania e i 620 della Spagna. Legambiente attua anche qualche rapido calcolo e il confronto tra gli investimenti in grandi infrastrutture come il Ponte sullo Stretto e quelli necessari per migliorare il trasporto pubblico urbano in Italia è davvero emblematico. Con l’investimento di 5,4 miliardi di euro sarebbe possibile costruire un sistema di mobilità urbana efficiente, accessibile e coerente con gli obiettivi climatici, costruendo, così, 29 nuove linee tranviarie in 11 città italiane, pari a circa 250 chilometri di rete.
Secondo i dati raccolti, la linee peggiori d’Italia, individuate in collaborazione con i comitati pendolari, raccontano un sistema italiano sempre più allo sbaraglio. Il primato, per la peggiore linea ferroviaria, anche quest’anno spetta alla Campania con la ex Circumvesuviana. Si calcolano circa 13 milioni di passeggeri persi in dieci anni. A questo si aggiungono: convogli senza climatizzazione, stazioni impresenziate e un orario ancora “provvisorio”. Male anche per la tratta Salerno–Avellino–Benevento, con la riapertura della stazione di Avellino rimandata a giugno 2027. Male anche per il Lazio, che ha registrato 8.038 corse soppresse nei primi dieci mesi del 2025. Disagi e ritardi anche per la tratta Milano-Mortara- Alessandria, utilizzata ogni giorno da circa 19mila viaggiatori, accumula ritardi per il mancato raddoppio della linea. In classifica anche i Piemonte con la linea Vicenza–Schio nel Nord-Est e delle Ferrovie del Sud Est e la Sassari–Alghero, con quattro coppie di treni soppresse e un servizio quotidiano ancora inadeguato.
Nella classifica delle peggiori linee anche la Sicilia! Come non citare la storica Catania–Caltagirone–Gela, interrotta dal 2011, e la Palermo–Trapani via Milo, chiusa dal 2013. Collegamenti necessari e fondamentali per i siciliani ma fermi ormai da decenni.
Nonostante ciò si muovono alcuni timidi passi. I lavori di ripristino della tratta Caltagirone-Niscemi-Gela, sospesa da ben 13 anni e mezzo in seguito al cedimento del viadotto di Piano Carbone l’8 maggio 2011, sono iniziati nel 2022 e dovranno concludersi entro il 2026. Tuttavia, il progetto in corso prevede solo l’ammodernamento, senza elettrificazione, senza un secondo binario e senza alcun miglioramento della velocità commerciale attuale, 42 km/h, da Catania a Caltagirone. A questo si aggiungono, diverse criticità legate ai treni giornalieri disponibili: solo due al giorno, da Caltagirone (alle 5.55 e alle 16.21) e da Catania (alle 14.08 e alle 19.30), con un tempo medio di percorrenza di un’ora e cinquanta minuti, quando gli autobus di linea percorrono lo stesso tratto nella metà del tempo.
Un altro problema significativo in Sicilia riguarda la mancata integrazione tra i diversi sistemi di trasporto pubblico nella Città Metropolitana di Catania. Nonostante fosse previsto dal primo contratto di servizio 2017-2026, il coordinamento tra Trenitalia, la Ferrovia Circumetnea (FCE), la Metropolitana di Catania e l’AMTS (l’azienda di trasporti municipale) non è stato realizzato. Tutto ciò in contrasto con le altre Città Metropolitane siciliane, come Palermo e Messina, dove, pur non essendo esplicitamente previsto nel contratto di servizio, è stata comunque avviata una forma di integrazione tra i vari mezzi pubblici.
Da tenere in considerazione anche la storia della Cirmuetnea. Nel 15 giugno 2024, per poter proseguire i lavori di conversione in metropolitana, la linea è stata dismessa. Inoltre, ad oggi, a Catania la metropolitana ha frequenze scarsissime: 10 minuti in punta mattutina e 15 il resto della giornata. A peggiorare la situazione l’utilizzo dei treni dimezzati, da 40 metri invece che 80. In altre parole, stesso servizio, già disponibile con il treno della Circumetnea. Il tratto attivo di quest’ultima linea, è ormai ridotto ai minimi storici. Si tratta di un’infrastruttura praticamente nuova, percorsa solo da 5 treni al giorno. Se invece si considera la tratta oltre Randazzo è invece pressoché vuota, con 3 coppie al giorno.
Ciò che manca in Italia e specialmente a Catania, sono mezzi pubblici su ferro. Questo però ha un’inevitabile conseguenza: elevatissimi di tassi di motorizzazione. E tra le città italiane con numeri molto lontani dalla media europea, in prima posizione troviamo la nostra città di Catania: 790 le auto ogni 1.000 abitanti. A seguire 772 auto ogni 1000 abitanti a Perugia, 693 a Torino, 688 a Cagliari e 687 a Reggio Calabria. Dati elevatissimi se si considera che a Madrid il tasso di motorizzazione è di 360 veicoli ogni 1.000 abitanti, a Londra 351, a Berlino di 337 e a Parigi 250.
La situazione può solo peggiorare, se si considera che molte opere sono in ritardo di più di dieci anni. Il raddoppio della tratta Giampilieri-Fiumefreddo è in ritardo di venti anni dopo numerosi rinvii e ritardi burocratici, nonostante siano stati inaugurati i cantieri per la galleria “Nizza-Sciglio” e quelli per il raddoppio della Taormina-Fiumefreddo. Treni inesistenti e troppo lenti, se si calcola che per la velocizzazione della linea Catania-Siracusa, dal costo totale di 137 milioni di euro, mancano ancora 44,8 milioni e il completamento dei lavori è sospeso proprio per l’assenza di finanziamenti. Mentre per la velocizzazione della Siracusa-Ragusa-Gela, dal fabbisogno di 200 milioni di euro, non c’è alcun finanziamento e il tutto è fermo al progetto preliminare del 2007.
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