Il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, rappresenta senza dubbio un’occasione per riflettere su un fenomeno che continua a colpire milioni di donne in Italia e nel mondo. Al centro del dibattito internazionale ci sono spesso le sfide legali, culturali e sociali utili per combattere la violenza di genere. In questo articolo ci occuperemo della visione giuridica, spaziando dalle principali leggi a tutela fino agli strumenti normativi necessari in una prospettiva presente e futura.
Il fenomeno della violenza di genere in Italia
Secondo gli ultimi dati ISTAT, in Italia una donna su tre subisce violenza almeno una volta nella vita, un fenomeno che, nonostante l’introduzione di nuove leggi e strumenti di protezione, continua a persistere, aggravato dalle difficoltà che le vittime incontrano nel denunciare e dalla diffusa cultura del victim blaming.
Negli ultimi anni, il legislatore italiano ha introdotto misure innovative, come il Codice Rosso (Legge n. 69/2019), con l’obiettivo di accelerare i tempi di intervento delle autorità. Tuttavia, nonostante l’impegno nel migliorare il quadro normativo, le sfide per il legislatore e i giudici restano ancora molteplici.
Per approfondire il tema, abbiamo intervistato Andrea Gagliardo, avvocato penalista di 31 anni, laureato presso l’Università di Catania e con una formazione arricchita da esperienze internazionali in Repubblica Ceca e Finlandia. Con uno sguardo esperto, l’avvocato Gagliardo, ha risposto alle nostre domande sulle difficoltà del sistema legale e sugli strumenti normativi a disposizione delle vittime.
Le parole dell’avvocato Andrea Gagliardo
1. Avv. Gagliardo, quali sono le principali leggi in Italia che tutelano le donne dalla violenza di genere?
“Il Codice penale costituisce, senza dubbio, un primo presidio di deterrenza e dissuasione a tutela delle vittime. Negli ultimi anni il Legislatore italiano ha infatti inasprito le pene, per alcuni dei delitti rientranti nel circuito dei reati c.d. di genere (ad esempio maltrattamenti e atti persecutori), e concepito nuove fattispecie di reato finalizzate a sanzionare, secondo un autonomo statuto giuridico, alcune condotte tipicamente riconducibili a tale materia. Penso ad esempio al delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583 quinquies c.p.), oggi punito come autonoma fattispecie di reato, in passato rilevante unicamente a titolo di circostanza aggravante.”
2. Quali sono, secondo lei, le principali difficoltà che le vittime incontrano nel denunciare episodi di violenza?
“In genere, chiunque avanzi un’istanza di giustizia, pretende una risposta in tempi ragionevoli da parte degli organi dello Stato. Da questo punto di vista, fin dall’entrata in vigore del c.d. Codice Rosso (legge n. 69/2019), il Legislatore ha cercato di accelerare tale risposta, con l’obbligo per il Pubblico Ministero di sentire la persona offesa entro pochi giorni dall’iscrizione della notizia di reato. Ciò deriva da una convinzione di fondo. La prima difficoltà di chi denuncia ha ad oggetto il timore di non ricevere risposte efficaci in tempi idonei a scongiurare rischi e ripercussioni contro la propria persona. Dall’altra parte, si teme la minimizzazione e la banalizzazione dei fatti e degli episodi di violenza subiti.”
3. E quanto influisce oggigiorno la cultura del “victim blaming” nel percorso giudiziario?
“Io penso che il tema non possa prescindere da una valutazione culturale. Nei processi degli anni ’70, l’Avvocata Tina Lagostena Bassi si batteva per evitare che il tema del processo potesse involgere il ‘rigore morale’ della vittima, spesso invocato come tema difensivo da parte degli imputati. Nel caso di Franca Viola contro Filippo Melodia, si cercò di ricondurre la violenza subita dalla donna nella cornice di una normale fuga d’amore. Ecco, io ritengo che tale portato culturale, con il suo carico intollerabile di misoginia, sia oggi meno presente nelle aule di giustizia, e che ogni attore del processo abbia maturato una diversa sensibilità rispetto al passato. Ciò costituisce il presupposto essenziale per la persona offesa per essere sentita in giudizio senza il rischio di subire una seconda vittimizzazione.”
4. Quali sono quindi gli strumenti di protezione disponibili per le vittime? Sono sufficienti secondo la sua opinione?
“L’applicazione di una misura cautelare personale presuppone una valutazione, da parte di un Giudice, circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ad una precisa ipotesi di reato, unitamente ad un’imprescindibile valutazione in ordine alle esigenze cautelari. Diverso, invece, l’impianto sul quale si fonda l’ammonimento da parte del Questore, teso a prevenire l’insorgenza di un fatto di reato. A tali strumenti normativi, si aggiunge il recente potenziamento delle c.d. misure precautelari, con la possibilità di eseguire un arresto in flagranza differita entro le 48 ore dal fatto, in tutti i casi in cui si configurino le fattispecie di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari e conviventi, e di atti persecutori.
Limitando l’attenzione ai risultati ottenuti tramite l’applicazione degli strumenti preventivi, si registra un timido trend positivo. In particolare, con la nota del 26 giugno 2023, della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia, rispetto all’anno precedente, si registra un incremento del 47% dei provvedimenti di ammonimento ex art. 3 d.lgs. n. 93 del 2013 e un incremento del 13% dei provvedimenti di ammonimento ex art. 8 d.l. n. 11 del 2009. Inoltre, il rapporto ha evidenziato l’efficacia dei protocolli volti a rafforzare gli effetti dell’ammonimento (c.d. Protocolli Zeus), sviluppati nel solco dei modelli elaborati nell’ambito del progetto europeo Enable – Early Network-based Action against abusive behaviours to leverage victim empowerment. Dal luglio 2021, solo il 3,5 % degli ammoniti, destinatari di un percorso trattamentale, è risultato recidivo. Da ciò deriva la necessità, a mio giudizio, di un’estensione di queste buone prassi su tutto il territorio nazionale.”
5. Cosa manca, a suo giudizio, nella normativa attuale per una protezione più efficace delle vittime ?
“La questione non può interessare soltanto i poteri punitivi e preventivi di cui dispone lo Stato. In questi giorni si sta celebrando in Francia uno dei processi penali più incredibili della storia moderna e Gisèle Pelicot, la vittima di questa vicenda, ha dato prova di grande coraggio e dignità. Il processo contro Dominique Pelicot e altri cinquanta imputati, disvela però, a mio giudizio, qualcosa di più profondo che cova nella nostra società, ed è irrimediabilmente legato ad una pretesa di dominio e supremazia dell’uomo nei confronti della donna. Ecco, la battaglia contro la violenza di genere deve allora prevalentemente essere combattuta proprio sul terreno della prevenzione, della cultura del consenso e della salute mentale, per scongiurare che tali fenomeni possano verificarsi.”
Le prospettive future
La lotta contro la violenza di genere non può limitarsi all’inasprimento delle pene, ma richiede quindi un approccio integrato che combini prevenzione, protezione e cultura. Come sottolineato dall’avvocato Andrea Gagliardo, è fondamentale rafforzare le reti di sostegno e lavorare sulla sensibilizzazione sociale per sradicare stereotipi e pregiudizi ancora troppo radicati. Solo attraverso un impegno coordinato tra istituzioni, operatori del diritto e società civile si potrà garantire una tutela concreta ed efficace per le vittime, promuovendo un cambiamento culturale indispensabile per il futuro.