Decretata la sentenza del processo per la morte di Valentina Milluzzo, la 32enne che perse la vita all'ospedale Cannizzaro di Catania dopo un aborto: tra gli indagati, tre medici assolti e quattro condannati.
Si torna a parlare del caso di Valentina Milluzzo, la 32enne che perse la vita in seguito ad un aborto all’ospedale Cannizzaro di Catania. La terza sezione del Tribunale penale monocratico di Catania ha esplicitato la sentenza del processo ai sette medici del reparto di ginecologia e ostetricia indagati per l’accaduto. Secondo quanto stabilito dal tribunale, tre medici sono stati assolti e quattro sono stati condannati a sei mesi ciascuno per omicidio colposo, con pena sospesa.
I fatti risalgono al 16 ottobre 2016, quando Valentina Milluzzo perse la vita alla 19/ma settimana di gravidanza dopo gli aborti dei due gemelli che aspettava in seguito a una fecondazione assistita. Del caso si occupò anche il ministero della Salute che inviò degli ispettori all’ospedale Cannizzaro.
Tra gli assolti, il primario Paolo Scollo, il medico del reparto Andrea Benedetto Distefano e l’anestesista Francesco Paolo Cavallaro, per i quali la sentenza riporta la formula “perché il fatto non sussiste”. Sono stati invece condannati a sei mesi di reclusione ciascuno i medici Silvana Campione, Giuseppe Maria Alberto Calvo, Alessandra Coffaro e Vincenzo Filippello, “in servizio nel reparto e in sala parto, avvicendatisi nei turni di guardia” tra il 15 e il 16 ottobre del 2016. Inoltre, la sentenza del Tribunale prevede il pagamento di una provvisionale di 30mila euro a Angela Maria Milluzzo, sorella della vittima, costituita parte civile assistita dall’avvocato Salvatore Catania Milluzzo.
Secondo l’accusa “in concorso e cooperazione tra loro cagionavano con colpa il decesso della gestante” ricoverata per minaccia d’aborto in gravidanza gemellare bicoriale. Ai medici viene contestata dalla Procura “colpa professionale” per “imprudenza, negligenza ed imperizia” soprattutto, “nella mancata attuazione di una terapia antibiotica adeguata” nei giorni precedenti il decesso, nel “mancato tempestivo riconoscimento della sepsi in atto”, nella “mancata raccolta di campioni per esami microbiologici”, nella “mancata tempestiva rimozione della fonte dell’infezione: i feti e le placente” e infine per la “mancata somministrazione di emazie durante l’intervento”. Infine, nel processo non si contestava il fatto che i medici sono obiettori di coscienza.
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