In Italia meno giovani completano gli studi universitari mentre aumentano i NEET. Inoltre, chi ottiene una laurea nel Belpaese inizia a lavorare più tardi rispetto ai coetanei del resto del mondo, e la spesa pubblica italiana per l'istruzione è inferiore rispetto agli altri Paesi: l'analisi del rapporto OCSE sull'istruzione.
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Come ogni anno, è stato pubblicato un nuovo rapporto OCSE sull’istruzione nei paesi aderenti all’omonima organizzazione internazionale e i risultati dell’Italia non sono tra i migliori. Infatti, tra i vari punti investigati nell’analisi, la performance del Belpaese è spesso risultata di livello inferiore rispetto agli standard e alla media dei paesi OCSE. Tra i dati rilevati in merito al livello di istruzione e alla condizione dei giovani in età da scuola o università emerge una tuttavia la più grande preoccupazione: il rischio che l’Italia “rimanga indietro” rispetto al resto del mondo.
Tra i primi risultati evidenziati nella parte dedicata all’Italia del report OCSE, risulta un dato che rimanda già al tanto temuto “ritardo” del Paese rispetto al resto del mondo. Infatti, negli ultimi vent’anni, il livello di istruzione italiano è cresciuto più lentamente a fronte della media OCSE e degli altri Paesi. Basti pensare che tra il 2000 e il 2021, la crescita della media OCSE di giovani tra i 25 e i 34 anni con un livello di istruzione terziaria è stata pari al 21%, mentre l’Italia si è fermata al 18%. Inoltre, tra i 38 paesi totali appartenenti all’OCSE, l’Italia è tra i dodici Paesi dove l’istruzione terziaria è meno diffusa e il titolo di studio di livello più alto nella fascia 25-34 anni è il diploma si scuola secondaria superiore o post-secondaria non terziaria.
In aggiunta, secondo quanto evidenziato dal rapporto OCSE, un’alta percentuale di studenti universitari italiani non riesce a completare in tempo il percorso di studi o non lo completa affatto. Anche per questo dato il Belpaese è quindi lontano dalla media OCSE: infatti, la media dei Paesi OCSE di studenti che riescono ad ottenere una laurea di primo livello entro tre anni è pari al 68%, mentre in Italia si ferma al 53%. Questa situazione persiste nonostante l’effettivo vantaggio conseguente all’ottenimento di un titolo di studio universitario in termini professionali. Tuttavia, a tal proposito è fondamentale aggiungere che anche in materia di stipendi per laureati l’Italia non ha ottenuto ottimi risultati, dato che è stato riscontrato un trend negativo per quanto riguarda il divario salariale tra chi ha un titolo di studi universitario e chi ha un livello inferiore a quello secondario superiore. Infatti, il rapporto OCSE ha evidenziato come oggi i laureati guadagnino il doppio rispetto a chi non ha un titolo di studio secondario superiore, mentre nel 2018 si arrivava persino al 76% in più.
Ad aggravare la situazione di scoraggiamento da parte dei giovani in età universitaria si è aggiunta la pandemia, la quale ha portato ad una crescita dei NEET tra gli italiani. Si tratta di tutti i giovani adulti che non studiano e non lavorano per periodi prolungati, che in Italia sono pari al 34,6% per la fascia 25-29 anni e al 30,1 per quella immediatamente precedente dei 20-24 anni. Per comprendere la gravità del fenomeno e la velocità con la quale esso avanza, basti pensare che questi dati sono riferiti all’anno 2021 e che nel 2020 le percentuali erano rispettivamente pari al 31,7% e al 27,4% per la fascia più giovane.
Nell’analisi dell’OCSE sono anche state evidenziate numerose differenze che si riscontrano sul suolo italiano in materia di istruzione e inserimento professionale dei giovani. Queste ultime possono essere particolarmente interessanti per comprendere quali sono le priorità e in che ambiti può essere utile intervenire per risollevare la condizione del Paese intero. Per esempio, in Italia il titolo di studio di livello terziario più diffuso è quello della laurea magistrale, ottenuto dal 14% della popolazione, seguita dalla laurea triennale con il 5%, mentre la media dell’OCSE vede al primo posto le lauree triennali, possedute dal 19% della popolazione, seguite dai titoli magistrali (14%).
Inoltre, i laureati italiani in ambito sanitario e sociale sono quelli che hanno raggiunto il tasso di occupazione più alto nel 2021, a confronto con quello più basso del Paese relativo ai laureati in ambito artistico (69%). E ancora, in Italia si riscontra un inizio di carriera “in ritardo” per i laureati, dovuto soprattutto al tempo necessario per ottenere il titolo di studio. A tal proposito, in Italia solo l’1% del personale accademico è al di sotto dei 30 anni, mentre la media OCSE è pari all’8%.
In merito alle differenze di genere, in tutti i Paesi OCSE si registra un maggiore tasso di completamento degli studi da parte delle donne rispetto agli uomini. Tuttavia, con l’avanzare dell’età si riscontra un aumento di appartenenti alla categoria NEET tra le donne rispetto alla controparte maschile, sebbene la differenza sia relativamente contenuta. Infatti, in Italia le donne NEET sono il 12,3% a fronte del 12,7% degli uomini nella fascia 15-19 anni, proseguono rispettivamente verso 30,5% e 29,7% per i giovani tra 20 e 24 anni per diventare pari al 39,2% delle donne e al 30,3% della controparte maschile per la fascia 25-29 anni.
Infine, tra i dati maggiormente rilevanti si riscontrano anche delle differenze interne al Paese, relativamente al livello di istruzione nelle singole regioni. Questa tendenza è in realtà riscontrata per la gran parte dei Paesi dell’OCSE, e l’Italia non fa eccezione. Per quanto riguarda il Belpaese, si evidenzia che la Sicilia è la regione con la quota più bassa di laureati tra i 25 e i 64 anni, con una percentuale pari al 15%, relativamente lontana dalla regione italiana con il dato più alto, vale a dire il Lazio con il 26%. Tuttavia, come evidenziato nel rapporto, questo tipo di differenza non riguarda soltanto le minori o maggiori opportunità di istruzione di una regione rispetto ad un’altra, ma sono prevalentemente legate alla situazione economica del territorio indagato e alle tendenze migratorie interne al Paese.
Infine, tra i dati evidenziati che possono risultare più interessanti è presente quello relativo alla spesa pubblica per l’istruzione nei singoli Paesi. Infatti, attraverso questo elemento è possibile comprendere e analizzare i dati presentati precedentemente anche come conseguenze degli investimenti in materia di istruzione. Non a caso, il minore avanzamento del livello di istruzione in Italia rispetto al resto dei Paesi dell’OCSE sottolineato in apertura è seguito da una spesa minore per l’istruzione nel Belpaese rispetto alla media mondiale.
Secondo quanto riportato nel dossier OCSE, la media dei Paesi appartenenti all’organizzazione per quanto riguarda la spesa de PIL per gli istituti di istruzione tra il livello primario e terziario è stata pari al 4,9%, mentre in Italia si è arrivati a spendere il 3,8% del PIL nazionale. Per andare più nello specifico, l’investimento per l’istruzione da primaria a terziaria in Italia è stata pari al 7,4% della spesa pubblica totale, dato decisamente inferiore rispetto al 10,6% riscontrato per la media OCSE. Allo stesso tempo, si sottolinea che l’Italia ha speso più in ricerca e sviluppo per quanto riguarda l’istruzione terziaria rispetto alla media OCSE, con un rapporto pari rispettivamente al 33% e al 29%. Tuttavia, è fondamentale cercare di comprendere il peso delle differenze di spesa per l’istruzione in funzione dello sviluppo sociale ed economico dell’Italia a confronto con il resto dei Paesi appartenenti all’OCSE, in modo tale da ottenere dei miglioramenti per il futuro.
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