Indice
A vincere le prossime elezioni politiche, fissate per il 25 settembre, potrebbe essere il partito del non-voto. Di fatto le votazioni di domenica potrebbero riservare il dato sull’affluenza peggiore di sempre. E se prospettare il tasso di astenuti è importante, fondamentale risulta comprendere anche le ragioni per cui molti non esprimeranno una preferenza. Di astensionismo, parola oramai notissima e tema centrale delle ultime settimane, LiveUnict ha discusso con il Professore Gianni Piazza, docente di Sociologia dei fenomeni politici del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Catania.
Alle radici del non-voto
Quando si tratta di timida partecipazione elettorale, si affronta un tema oggi più che mai attuale. Ma “attuale” non significa “nuovo”.
“Il fenomeno dell’astensionismo è ovviamente antico quanto la partecipazione elettorale – esordisce Gianni Piazza, Professore di Sociologia dei fenomeni politici dell’Università di Catania –; non ci sono mai state elezioni senza astensionismo, neanche nei regimi autoritari e totalitari dove il voto è obbligatorio per il partito unico.
Anche nei regimi democratico-rappresentativi è sempre esistita una quota più o meno rilevante di elettori che non possono o non vogliono andare a votare, come quando nei primi anni del secondo dopoguerra in Italia si sfiorava il 94%”.
Scavare a fondo, sino alle radici di un fenomeno così complesso e sfaccettato, si può e si deve, ma senza dimenticare di considerare le dovute ed imprescindibili differenze: bisogna distinguere, come precisato dal docente, tra coloro che non riescono a recarsi ai seggi a causa di qualche impedimento e quanti decidono di rimanere a casa. E gli ostacoli che si interpongono tra i fuorisede ed il voto ben dimostrano come possa esistere un astensionismo, per così dire, “involontario” ed uno “volontario”. La “scelta di non scegliere”, poi, non riflette un unico sentimento né cela una sola ragione.
“Se guardiamo oltre l’astensionismo da apatia e disinteresse nei confronti della politica, che è numericamente maggioritario negli ultimi decenni – precisa il Prof. Piazza –, l’astensionismo per protesta è progressivamente aumentato“.
Anche risalendo il corso del tempo, si riscontrano forme di astensionismo scelte in maniera compatta per manifestare dissenso. Una forma che sembra ben resistere agli anni.
“Da un punto di vista storico, i gruppi e le varie correnti anarchiche hanno sempre fatto dell’astensionismo un loro tratto identitario – spiega l’intervistato –: Emma Goldman, già alla fine del XIX secolo, sosteneva che ‘Se votare cambiasse qualcosa, l’avrebbero reso illegale’, esprimendo un sentimento che ancora oggi è molto diffuso, e non solo tra gli anarchici.
In Italia, inoltre – continua –, è poi emersa a partire dagli anni Settanta anche un astensionismo politico di matrice autonoma e marxista, che contesta/va la legittimità delle elezioni e della democrazia rappresentativa come strumento non di emancipazione, ma di dominio delle classi superiori su quelle subalterne. In un manifesto di trenta anni fa, ma che ho rivisto circolare in rete, si diceva, invitando all’astensione come segno di protesta e di rivendicazione di una società alternativa: ‘Vogliamo un altro mondo, non un altro governo'”.
Cosa succede nel resto d’Europa?
Le prossime elezioni, oramai alle porte, potrebbero segnare un nuovo record in negativo: il peggior dato sull’affluenza della Storia delle elezioni parlamentari in Italia.
Secondo una media dei sondaggi Demopolis, Tecnè, Emg, Ipsos ed Euromed realizzati tra l’1 e il 9 settembre, gli indecisi e gli astenuti dovrebbero sfiorare il ben 35,8%.
Ma apparivano già tutt’altro che incoraggianti i numeri relativi alla partecipazione alle elezioni politiche del 2018, le ultime: in quell’occasione l’affluenza raggiunse il 72,94% per la Camera e superò appena il 73% per il Senato (73,01%). Parteciparono, dunque, poco più di 7 italiani su 10. Da un’analisi più approfondita, per aree geografiche, emerge anche che proprio nelle Isole si votò meno: sempre per la Camera, l’affluenza si attestò al 63,8%.
In realtà, escludendo le elezioni del 2006 che hanno registrato un dato di poco superiore rispetto a quelle del 2001, soprattutto a partire dal 1979 in Italia la partecipazione elettorale è gradualmente ma costantemente scemata.
Ma gli attuali, scoraggianti, livelli di astensione si registrano soltanto in Italia? Secondo quanto chiarito dal Professor Piazza, non si può guardare all’aumento dei non votanti come ad un fenomeno dal carattere esclusivamente nazionale, italiano.
“Da parecchi anni si registra un trend in netto calo della partecipazione elettorale nelle democrazie occidentali e in quelle europee in particolare, ma con delle differenze – precisa il docente del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania –. Se compariamo l’affluenza alle urne dei principali Paesi europei alle elezioni parlamentari, vediamo come nel 2019 hanno votato il 67,30% degli elettori nel Regno Unito e il 69,88% in Spagna; in Germania nel 2021 si rileva l’affluenza più alta, il 76,8%, mentre la più bassa è quella registrata alle elezioni legislative in Francia nel giugno 2022, il 47,51%.
L’Italia – continua Piazza –, per tradizione ha avuto sempre percentuali tra le più alte di partecipazione elettorale, ma i tempi della Prima Repubblica, in cui si viaggiava attorno e oltre il 90%, sono andati da tempo“.
Come già anticipato, da anni si osserva un trend negativo che le votazioni di domenica prossima probabilmente non faranno altro che confermare. Il 25 settembre si potrebbe consegnare alla Storia l’esito più drammatico, ma prevedibile, di una curva discendente che sembra da tempo inarrestabile. Se nel 1953 l’affluenza superò quota 93%, 69 anni dopo questa dovrebbe risultare inferiore al 70%: non lo esclude il docente, che può, a questo punto, evidenziare la sostanziale differenza tra la nostra e le altre democrazie.
“Possiamo dire – riepiloga il professore – che siamo in linea coi principali Paesi europei (Francia esclusa), ma partendo da percentuali più alte, la discesa è più significativa“.
Astensionismo giovanile: perché?
Una ben diffusa volontà di votare non si nota nemmeno tra i giovani cittadini. Il quadro tracciato per il 25 settembre dal sondaggio Swg, vede più di un under 24 su tre lontano dalle urne. Il dialogo fra esponenti politici e nuove generazione fatica a instaurarsi, e ciò vale anche per la corsa alle elezioni che sembra la più social di sempre. Resta da chiedersi perché gli adulti di domani non votano già oggi: anche in questo caso disparati sono i motivi.
“Innanzitutto – spiega il docente –, molti giovani (non tutti ovviamente) non si sentono rappresentati da nessuna delle principali forze politiche che si candidano alle elezioni, perché parlano poco dei giovani e ai giovani, se non in campagna elettorale. Inoltre vi è la percezione che anche quando si parla di tematiche che li interessano e riguardano, come il lavoro, il reddito, l’ambiente, i diritti civili, questo avvenga in maniera strumentale.
I giovani – prosegue – sono una minoranza dell’elettorato con scarsa propensione alle urne e quindi leader e partiti non vi dedicano molto tempo e spazio, se non inventandosi comunicatori dell’ultima ora su Tik Tok, più per il divertimento dei giovani, i quali dubito si possano fare convincere da queste incursioni da ‘boomer’ o oltre, come nel caso del noto leader ultraottantenne”.
Da menzionare, poi, anche il buco legislativo del voto per i fuorisede. Paradossalmente risulta più semplice per i cittadini italiani residenti (anche temporaneamente) in un’altra Nazione esprimere una preferenza: per questi il sistema legislativo italiano prevede la possibilità di voto per corrispondenza mentre chi ha domicilio in un’altra Regione della Penisola ma ha mantenuto la residenza d’origine è costretto a tornare a casa per “essere” elettore. Le deroghe sono riservate a poche categorie e, per gli altri, le spese per il rientro risultano spesso insostenibili.
In verità sono state presentate proposte di legge sul tema, ma nessuna è giunta all’approvazione, complice anche la caduta del Governo Draghi. E anche i programmi di più partiti promettono ora di cambiare le cose. Ad ogni modo al momento, accompagnata in Europa soltanto da Cipro e Malta, l’Italia non dimostra di riservare pari diritti a tutti i cittadini.
“L’impossibilità di votare in luoghi diversi dalla proprio residenza, come nel caso degli studenti fuorisede − sostiene il Prof. Piazza −, rappresenta non solo un ostacolo materiale (spostarsi per tornare a casa costa), ma viene percepito come un messaggio che il sistema partitico manda ai più giovani: ‘non ci interessa molto farvi votare e quindi non vi mettiamo in condizioni di farlo’“.
Sfiducia, difficoltà oggettive e non solo. L’intervistato aggiunge che “molti giovani non si sentono rappresentati perché non ci sono (o sono molto pochi) giovani tra i candidati e i rappresentanti eletti“.
“L’età media dei parlamentari – precisa ancora il professore – è scesa sotto il 45% nelle ultime legislature, grazie anche all’ingresso di nuove forze politiche, ma è sempre molto difficile trovare deputati sotto i 30 anni“.
Infine, a detta del docente, non va omesso che “ci sono i giovani che non si interessano di politica, gli apatici, e quelli che invece sono attivi ma non vogliono delegare ad altri le loro richieste e istanze”.
Previsioni sul futuro e altre forme di partecipazione
Il susseguirsi di tornate elettorali e sondaggi preparano ad un’affluenza sempre più bassa. Ma è utopico o impossibile pensare ad un’inversione di rotta, dunque ad un futuro in cui il diritto e dovere di voto, che è anche una conquista, sarà ampiamente esercitato?
“Difficile dare una risposta e fare previsioni – ammette il Professore Giovanni Piazza –. In linea teorica è possibile, certo, ma sembra difficile che il trend negativo si arresti e che si possa invertire. Non è solo la confusione e la mancanza di conoscenza, l’offerta politica che tiene poco conto delle esigenze giovanili, a causare la scarsa affluenza, ma anche il senso di inefficacia della partecipazione elettorale, che però non riguarda solo i giovani.
Molti pensano: ‘Cosa vado a votare se poi il mio voto conta poco o nulla, perché le decisioni politiche non dipendono da esso, ma da vincoli extranazionali che non possiamo modificare?'”.
D’altro canto per qualcuno “partecipazione” non rima con “votazione” ed il vero cambiamento si attua fuori dai seggi.
“Alcuni giovani pensano che si possa e si debba partecipare anche, o solo, al di là del momento elettorale – dichiara, infine, il Professore Gianni Piazza – attraverso meccanismi e canali di democrazia partecipativa e diretta, come i ragazzi e le ragazze dei movimenti neo-ambientalisti e le loro principali organizzazioni (Fridays For Future, Extinction Rebellion), dei movimenti transfemministi (Non Una di Meno) ed LGBTQ+, dei movimenti per gli spazi sociali autogestiti.
Insomma – conclude il docente intervistato –, per i giovani più impegnati (non molti per la verità), la politica è sempre meno legata alla partecipazione elettorale e sempre più alla partecipazione diretta (anche non convenzionale) che li vede cercare di prendere direttamente nelle loro mani il destino sempre più incerto“.