Il dizionario “Camilleri”: tutti i termini usati dall’autore siciliano dalla A alla Z
"Il Camilleri", dizionario siciliano-italiano contenente i termini utilizzati nei romanzi dell'omonimo autore del Commissario Montalbano è disponibile online.
Da un autore così attivo e fantasioso non poteva non nascere una simile iniziativa. Infatti, Camilleri è noto per avere riempito i suoi libri di termini tipici del dialetto siciliano, spesso confusi con la lingua italiana dando vita ad un linguaggio unico. Da questa particolarità di linguaggio è nato il “Camilleri”, il dizionario siciliano-italiano compilato da Mario Genco e pubblicato sul Giornale di Sicilia nel gennaio 2001.
Ecco quali sono i termini siciliani-italiani dalla A alla Z utilizzati da Camilleri nei suoi romanzi.
“Il Camilleri”: il dizionario siciliano-italiano
A
A mia: a me.
A pampera: a visiera.
A patrasso: eufemismo per “a puttane”, detto di cosa o intrapresa che finisce molto male.
A pedagna: a piedi. Sembra siciliano ma non lo è: Dizionario della lingua italiana Palazzi – Folena, editore Loescher (da qui Diz.): “Latino tardo: pedanea, che riguarda il piede”.
A taci-maci: di nascosto.
A tia: a te.
A tinchitè: in abbondanza, a iosa.
A vacante: a vuoto, senza motivo.
Abbacato: abbassato, placato, scemato. Detto di luce, di vento, di mare, di incendio. Il verbo è abbacari, e significa anche: lenire, mitigare la sofferenza. Nella zona metanifera della provincia di Enna (Gagliano, Castelferrato) significa anche: lavorare con assiduità, dedicarsi con solerzia (Vocabolario Siciliano edito dal Centro studi filologici e linguistici siciliani a cura di Giorgio Piccitto; da qui: Voc. Sic.).
Abbanniare: Bandire per vendere la mercanzia. Fig., significa: diffondere in pubblico notizie riservate, da cui: diffamare, svergognare. Significa anche: urlare, sgolarsi.
Abbascio: giù, dabbasso.
Abbrusciare: bruciare, incendiare. La grafia è: abbruòiari “La lettera ò è una sibilante prepalatale sorda, come nella pronuncia fiorentina di pece, pace, bacio. Anche: abbuòiari, bbruòiari”. (Voc. Sic.)
Abento (Abbentu): esiste nel Diz. come vocabolo di origine dialettale meridionale: significa quiete, riposo, tempo di raccapezzarsi. Stesso significato nel dialetto siciliano.
Aviri u mal’abbentu: modo di dire per avere l’argento vivo addosso; tèneri abbentu: lasciare in pace. Nel Nuovo dizionario scolastico della lingua italiana di Policarpo Petrocchi (edizione 1908) la parola è definita “fuori d’uso”.
Abossìa: a vossìa, ehi voi (espressione di richiamo).
Accanuscenza: conoscenza. Il verbo in siciliano è: canùsciri.
Acchianare: salire, portar su. Acchianari mura lisci: equivale a arrampicarsi sugli specchi, cioè tentare di tutto pur di raggiungere lo scopo.
Acchittato: vestito accuratamente.
Accia: sedano.
Acciuncare: azzoppare, troncare, stroncare.
Accumenzari (Accuminzari): cominciare; terza persona indicativa: accumenza.
Accusì: così.
Accuttufare (Accutufari): ammaccare, pestare, bastonare, malmenare. Ma anche: accoccolarsi, rannicchiarsi nel letto, imbacuccarsi.
Accutufatu: malazzato, pieno d’acciacchi.
Santu accutufatu: chi vive appartato dal consorzio civile. Nel personale glossario di Camilleri – Montalbano: “Altro verbo che gli piaceva. Significava tanto essere preso a legnate quanto allontanarsi dal consorzio civile”.
Addrevo (Addevo): Camilleri lo usa dandogli significato di: scolaro. “Neonato, bambino lattante o comunque assai piccolo. Piccolo di animale prima che venga separato dalla madre. Ragazzo; fig.: bamboccio (Catania)”;(Voc. Sic.).
Addubbare: saziare, rimpinzare. Governare gli animali, farli pascolare finché siano sazi. Riempire. Accomodare, aggiustare alla meglio. Rimediare a un errore, cercare di sistemare una faccenda. Soccorrere. Contentarsi, abbozzare, fare buon viso a cattivo gioco. Sistemare bene i propri affari, specie in maniera illecita.
Addubbata: fornita, equipaggiata.
Addunarsi (Addunarisi): accorgersi.
Adenzia: dari adenzia “prestare attenzione, dare ascolto, curarsi di qualcosa. Dare assistenza, accudire, badare a qualcosa “specie della moglie nei confronti del marito e i figli”. (Voc. Sic.)
Affaticoso: a fatica. Neosiciliano camilleriano.
Affruntarsi (Affruntarisi): vergognarsi.
Affruntato: vergognato.
Aggiarniare: diventare giallo di paura, di rabbia. Impallidire.
Aggilàta: gelata.
Aglino (più spesso Aglini): Helix aperta, chiocciola commestibile.
Agliuttìri (Agghiùttiri): inghiottire. Tollerare senza poter reagire, mandar giù un rospo. Agghiùtiri a sputazza: tacere per paura di fronte a qualcuno frenando l’impulso di rispondere per le rime.
Agniddruzza: agnellini.
Aieri a sira: ieri sera.
Aiola: pesce “bianco” della famiglia degli sparidi, quella del sarago e del dentice, Mormora (Linneo: Lithognathus mormyrus, Pagellus mormyrus).
Aipazzi: gabbiani: “Aipa. Uccello acquatico che ha il becco dentellato, a lesina, quasi cilindrico e alla sommità uncinato. Smergo. Gabbiano comune”. (Dizionario siciliano – italiano di Vincenzo Mortillaro, marchese di Villabena, terza edizione riveduta e corretta del 1876 (da qui: Mort.). Ma il gabbiano è il gabbiano e lo smergo, secondo Mort. una specie di anatra. Spesso, come si vedrà, in siciliano una parola indica uccelli di specie e razze diverse. Camilleri, gli aipazzi li fa gracchiare.Alla ghiotta: “Agghiotta: vivanda marinaresca fatta di pesci, cipolle ed olio cotti insieme.
Fari n’agghiotta: metafora, fare inavvertitamente un’imprudenza. Gliotta è, (Voc. Sic.) parola usata nell’Agrigentino invece che gghiotta.
Fari la gghiotta a unu: far la pelle a uno, spacciarlo.
Alla scurata: all’imbrunire.
Alla sfaccialata: a viso scoperto. Sfaccialatu si dice anche di cavallo che presenta una macchia bianca sulla fronte o longitudinale sulla faccia (Voc. Sic.). Alla spajacarretto.
Astutacannila: posizioni erotiche del Kamasutra siculo.
Spajare: significa togliere un animale dalle stanghe. Astutare significa spegnere; cannila significa candela astuitacannili significa sia spegnitoio e che sacrestano, cioè colui che spegne le candele
Astutaccannili: cicala, falena.
Allazzatu allacciato, legato.
Badda allazzata: insieme di due palle unite con catena che, sparate, producevano distruzione senza scampo, da cui, per estensione, a badda allazzata significa procedere superando qualsiasi ostacolo e allazzatu è “lanciato senza curarsi degli ostacoli”.
Alliffarsi: imbellettarsi, farsi bello.
Alliffari: blandire, adulare, prendere con le buone. Alloccato ( Alluccatu, alluccutu): stordito, intronato, rimbecillito.
Alloppiare (Alluppiari): addormentare profondamente. Etimologicamente, significa oppiare, metter l’oppio in una bevanda. Alloppiarsi vale addormentarsi profondamente.
Allordare (Allurdari): sporcare.
Allurdàrisi i manu: lasciarsi corrompere, prendere parte a affari disonesti.
All’urbina: alla cieca. Ma forse nel testo c’è un refuso: all’urbigna o all’urbisca. (?)
Ammammaluccuto:da mammalucco, voce popolare di mamelucco solo nel senso di sciocco, goffo. Perciò, potrebbe valere: chi rimane sbalordito con faccia da sciocco.
Ammaraggiarsi: avere il mal di mare.
Ammaraggiari: confondere, turbare. Nel Siracusano: fare lo specchietto a qualcuno, abbagliandolo. Nel Messinese: guastarsi del tempo (Voc. Sic.).
Ammatola (Ammatula): invano, inutilmente.
Ammattunato: letteralmente : assodato con ghiaia, smaltato.
Metonimia: termine gastronomico che indica una pietanza stufata in un recipiente di terracotta smaltata (Mort.). Secondo il Voc. Sic.
Ammuttunari: lardellare la carne.
Amminazzare: minacciare.
Amminchiare: avvilirsi, scoraggiarsi. Rincitrullire temporaneamente, non afferrare un concetto, un ragionamento che ad altri sembra semplice (Mort.). Camilleri, in Il gioco della mosca, raccolta di aneddoti, dà questa definizione: “Si dice che una persona amminchia quando si intestardisce su una posizione difficilmente sostenibile a lume di ragione”.
Ammuccare: inghiottire; per metafora, prendere per buona una notizia non necessariamente veritiera. Il Voc. Sic. registra ventisei significati leggermente diversi della parola.
Ammucciare: nascondere.
Ammucciùni: di nascosto.
Ammuttare: spingere. Stimolare: istigare qualcuno contro altri. Forzare, costringere a fare qualcosa. Varare un’imbarcazione. Nel Ragusano: dare sottomano una somma di denaro a qualcuno per corromperlo (Voc. Sic). Subire, sopportare.
Annacare: cullare. Farsi beffe di qualcuno. Prendersela con comodo, perdere tempo gingillandosi. Assumere atteggiamenti mafiosi, vantarsi. In alcune zone del Catanese e dell’Ennese (Voc. Sic.) significa, a ribaltone: affrettarsi. Camilleri, in Il gioco della mosca, dà alcune delle diverse definizioni in uso nella parlata siciliana:”E’ universale convinzione che una donna che si “annaca” tutta nel camminare, pubblicamente proclama la sua scarsa serietà”. Per un uomo il discorso si fa più complesso. “Io domandai un favore al sindaco e lui mi annacò per un anno senza concludere: mi illuse, mi cullò nella speranza, in definitiva, mi prese in giro”.
Appagnarsi (Appagnari): spaventare, far adombrare le bestie. Essere in sospetto, temere. “Insospettirsi, temere. Comunemente si dice di animali. Ombrare”. (Mort.) Per il Diz: “Ombrare…. Figurato arcaico: adombrarsi”. Nel Messinese: cucinare verdure messe crude nel tegame con acqua, a cui si aggiunge poi l’olio (Voc. Sic.).
Appattarsi: mettersi d’accordo.
Appinnicarsi: appisolarsi.
Appinnicunato: appisolato.
Appizzare: appendere, attaccare. Conficcare. Affiggere. Compiere o dire qualcosa all’improvviso Dirigersi con sveltezza e decisione verso un luogo. Cominciare.
Appoiato: appoggiato. Ma anche: di persona, avanzato negli anni; di vino, carico di colore.
Apprigare (Appriari, apprigari): pregare.
Apprisintarsi: presentarsi. Anche: costituirsi.
Apprisintari l’armi: abbandonare una carica, dimettersi (Voc. Sic.).
Arbulo: albero.
L’arca e l’amerca: di origine oscura. Arca è, in senso figurato, un luogo dove si allevano molti animali. Arca (e arga) è anche alga. Camilleri spiega nel suo ultimo La scomparsa di Patò, che si tratta di “espressione popolare che significa ogni cosa”).
Ardosa: piccante.
Armàlo: animale.
Armiggi: arnesi.
Armuar: armadio, dal francese armoire.
Arraggiunata: ragionevole, ben pensata.
Arrassarsi: allontanarsi, mettersi da parte. Ma nella forma riflessiva, il Voc. Sic. registra: stabilirsi, domiciliarsi.
Arravuglio: detto di mani: torcersi. Il verbo arravugghiari, imbrogliare.
Arrè: dietro. In alcuni testi, darrè.
Arrefutarsi: rifiutarsi.
Arregordo: ricordo.
Arricamparsi: tornare, rincasare. Il Voc. Sic. registra questo significato al settimo posto. Prima, dà i significati di: raccattare, fare raccolto, mettere insieme delle cose per rassettarle, radunare e portare nella stalla gli animali.
Arricampàrisi a unu: chiamare a sé qualcuno, di Dio o della morte.
Arricogliersi: rincasare, ma anche ripresentarsi dopo un certo tempo.
Arricriarsi: ricrearsi, trarre piacere da qualcosa. Nella provincia di Enna, come accade a volte a certe espressioni e verbi siciliani, il significato è esattamente capovolto: coprire di improperi
Arridì: terza persona singolare del passato remoto del verbo arrìdiri: ridere.
Arriminare: mescolare.
Arriminarsi: muoversi.
Arrinanzato: arricchito, rifatto.
Arriniscì: riuscì, da arrinésciri.
Arrisaccare: “Muovere e agitare una cosa violentemente” (Mort.); scuotere per compattare ciò che è contenuto in un sacco. Il Voc. Sic. per la provincia di Agrigento registra: scherzoso, di persona che, dopo aver mangiato, si prepara a un nuovo pasto, smaltendo con una passeggiata la pienezza di stomaco.
Arrisbigliare: svegliare.
Arrisorbuto: deciso, risoluto
Arrispunnere: rispondere.
Arriversa: al contrario.
Arrizzelarsi (Arrizzilàrisi): aggricciarsi, risentirsi, aversi a male di qualcosa (Voc. Sic.).
Arrizzillàri: sobbalzare, di carro o di imbarcazione. Arroposo: riposo.
Arrubbatina: furtarello.
Arrunchiare: ammucchiare mettendo di lato. Anche: ritrarre un arto, scorciare una tonaca o una veste troppo lunga, corrugare della fronte, arricciare (il naso), accartocciarsi delle foglie, rannicchiarsi per il freddo, ritirarsi da un’azione, e infine, scherzoso, rincasare (Voc. Sic.).
Arrussicare: arrossire per la vergogna.
Arruttari: eruttare, emettere rutti.
Asciddre: ascelle.
Ascutato: ascoltato.
Assammarare: bagnare abbondantemente, inzuppare. Originariamente, era verbo proprio delle operazioni di bucato.
Assicutare: inseguire.
Assintomare: svenire, ma anche rimanere di stucco. Sintomo può significare anche colpo apoplettico o, più modestamente, svenimento.
Assistimare: sistemare; in senso metaforico, dare il fatto suo a qualcuno o qualcosa.
Assittarsi: sedersi.
Assufficare: soffocare, mandare il cibo per traverso.
Assugliare: aizzare il cane contro qualcuno, assaltare; affollarsi attorno a qualcuno con domande insistenti.
Assuperarsi: superarsi.
Assuperchiare: sopravanzare.
Assuppato: inzuppato, imbevuto.
Astreco: austriaco. Da non confondere, non si sa mai, con astricu, che significa terrazza che costituisce il tetto della casa; ballatoio, pianerottolo alla sommità della scala esterna. In un’isola delle Eolie, per locale e indecifrabile questione di punto di vista, il significato viene capovolto e astricu sta per pavimento.
Accattarsi: acquistare.
Acconsolata: consolata.
Aggrancuto: rattrappito, participio passato del verbo aggrancari, “non poter distendere i membri per ritiramento di nervi”(Mort.).
Ammazzatina: uccisione. In Sicilia si usa la parola quasi sempre al plurale,ammazzatine, con senso frequentativo, come a voler indicare la biasimevole ma incorreggibile propensione di certi tempi, certe contrade e certe persone alla reiterata esecuzione di omicidi.
Arraggiato: irato, infuriato.
Arramazzarsi: a senso, sembra significare girarsi e rigirarsi nel letto. N‚ il Mort. n‚ il Tra. registrano la parola.
Arriccamato: ricamato.
Asciucato: asciugato, consunto, dimagrito.
Asciucarisi a unu: uccidere qualcuno.
Assugliare (Assugghiari): il Tra. rimanda alla voce
Assaiari: incitare un cane o un uomo contro qualcuno, aizzare. Intransitivo passivo: ardirsi, osare.
Assummata: participio passato del verbo assummari, venire a galla e, anche, sommare. In un testo di Camilleri c’è assumata, ma forse la m mancante è da mettere in conto al monoglotta correttore di bozze.
Astutato: spento. Ma anche metafora per ucciso.
Attaccare turilla: attaccare bottone o attaccar briga.
Attagnare: spalmare di vernice vitrea una superficie, rendere stagno un recipiente di legno, fermare un’emorragia, interrompere una perdita d’acqua. In senso riflessivo, esaurirsi di una sorgente, arrestarsi di un’emorragia, normalizzarsi dell’intestino dopo un attacco di diarrea
Attanata: rintanata.
Attisare: tendere, tirare una corda, rizzarsi del membro virile, ringiovanire; irrigidirsi.
Attrassato: arretrato. “Indugiato. 2. Parlandosi di pagamento, vale non eseguito. 3. Dicesi ancora chi rimane molto indietro nelle lettere. 4. Per chi è stato posposto ad altri meno degni nelle promozioni”. (Mort.). Il Voc. Sic. registra anche: antiquato, fuori moda, disordinato, trasandato nel vestire.
Attrivito: temerario. Sfacciato. Ardito (Mort.). Ringalluzzito, vivace e così via, accrescendo il significato fino a: cattivo, Perverso (Voc. Sic.).
Aver gana: avere intenzione e voglia.
avuto (Autro): alto.
Azzalori (Azzalora): frutti dell’azzaruolo o lazzeruolo. Anche la pianta stessa: arboscello delle Rosacee, con fiori bianchi e profumati e frutti piccoli rotondi, rossi o gialli, di sapore acidulo, commestibili
B
Bajardo“Bajardu”: Strumento portatile fatto di tavole per comprimere la vinaccia sotto il torchio”. (Mort.) Che sarebbe definizione di ardua attribuzione a un equino, come Camilleri fa nel romanzo La mossa del cavallo: infatti, ha anche il significato di cavallo eccellente, che il Voc. Sic. registra come voce citata per la prima volte da Giuseppe Vinci nel suo Etymologicum siculum del 1759.
Babbiata: presa in giro, scherno.
Balàte: pietroni, anche basole del selciato.
Bannera: bandiera.
Baschiare: agitarsi, smaniare per la febbre o per difficile digestione, ansimare dopo una lunga corsa.
Battarìa: fracasso.
Biastemio: blasfemo, forse neosiciliano camilleriano; il Voc. Sic. non registra la parola. Quindi, biastemia significherebbe bestemmia.
Billizza: bellezza.
Biunno/a: biondo/a.
Bonarma: la buonanima.
Borgise (Burgisi): “Colui che tiene le altrui possessioni in affitto” (Vocabolario Siciliano – Italiano di Antonino Traina, 1868, da qui Tra.). Ceto della società contadina equivalente al “ceto medio” cittadino.
Botta d’accupa: improvvisa difficoltà di respiro; traslato: repentina sensazione di cupezza, sia fisica che mentale.
Brioscia: piccolo dolce di pasta soffice e leggera. Brioche, dall’antico normanno brier, impastare.
Brìpito: brivido. Significato a orecchio, non registrato dai dizionari consultati.
Bumma: bomba.
Bummulo: orcio di terracotta, che se fatto e cotto secondo l’arte mantiene fresca la temperatura dell’acqua.
Burdello: bordello, anche metaforico.
C
C’inzertò: ha indovinato.
Ca: particella enfatica a inizio di frasi interrogative o esclamative; a volte sta per ma: ca quali: ma quando mai! macché!
Cabaré: vassoio, dal francese cabaret, che però non significa vassoio ma “taverna con spettacoli di varietà”, Dizionario Francese – Italiano di Raoul Bloch, ed. Zanichelli. In francese, vassoio è plateau.
Cabasisi: eufemismo per coglioni.
Cacciare: andare verso qualcosa. Fig. cacciari a una, insidiare l’onestà di una donna (Voc. Sic.).
Cacarsi: oltre all’ovvio significato, sta anche per: prendersi una gran paura, tale da…
Cacòcciola: carciofo.
Cadì: terza persona del passato remoto del verbo càdiri o càriri,cadere: cadde.
Cajorda: sozza, sordida. Figurato: puttanaccia.
Calannario: calendario.
Calati juncu ca passa la china: letteralmente, calati giunco finchè non passa la piena (del fiume). Espressione che si vuole “adottata” dal lessico “tattico” della mafia, a indicarne l’estrema adattabilità a qualsiasi situazione avversa. Passata la piena, il giunco ritorna dritto, così la mafia fra un’operazione di polizia, o una “campagna antimafia”, e la successiva, e così via.
Calatina: secondo il “dizionario” redatto dal The Camilleri’s fan club, significherebbe: companatico. Origine non specificata.
Càlia e simenza: misto di fave, ceci e arachidi tostate e semi di zucca secchi e salati o non salati.
Calorio: Calogero.
Calumare: termine marinaresco che significa allentare, mollare (una cima, un cavo), tirare lentamente da un luogoall’altro una barca. In alcune zone marinare dell’Agrigentino, calumare significa spingere qualcuno sott’acqua; a Agrigento, ha il significato di inghiottire, mangiare con voracità.
Camiare: scaldare il forno; infiammarsi, scaldarsi, ardere di febbre o di passione. E’ anche termine pescatorio e significa spargere sul mare una poltiglia di mollica e pesce marcito per attrarre i pesci; in senso figurato: sedurre, allettare.
Càmmara:camera.
Cammarino di commodo: gabinetto
Camminari a pedi lèggio: camminare in punta di piedi.
Càmmisi: camice; cammìsi significa invece camicie.
Camurria: grossa scocciatura. Eufemismo per storpiamento della parola gonorrea, malattia venerea fastidiosa, e per tale origine veniva considerata una parola da non pronunciare in società. Ma di ciò nessuno si ricorda più e camurria è di uso comune e disinibito.
Campiere (Camperi): Colui che è preposto alla custodia dei campi, guardiano (Mort.). Nell’organizzazione della società contadina mafiosa, il campiere era se il guardiano, ma degli interessi della mafia piuttosto che di quelli del proprietario; non era sempre chiara, tuttavia, l’appartenenza del proprietario. Il prefetto Mori cercò di tirarli dalla parte della Legge ed organizzò per e con loro adunate antimafiose e gli conferì attestati di lealtà civile e decorazioni al valore. Partito Mori
Canala: tegole.
Cangiare: cambiare.
Cannalivari: carnevale.
Cannarozza: esofago.
Cannìlere: candeliere.
Càntaro (Cantaru): vaso da notte. Per metafora, persona stimabile come un vaso da notte…
Cantàro (Cantàru): vecchia misura di peso equivalente a cento rotoli, cioè circa ottanta chilogrammi. Anche: quintale.
Cantoni (Cantuna): conci di tufo.
Canùscire: conoscere.
Capozziare: tuffarsi, precipitare.
Càppisi: capsule, proiettili.
Carcarazzo/a: Gazza. Ma Camilleri sembra adoperarla anche per indicare cornacchie e corvi.
Cardascioso: esageratamente apprensivo, fastidioso, molesto, seccante, impaziente, pruriginoso, che si da briga e mostra zelo eccessivo e inopportuno.
Cardaciusu: Fastidioso, molesto (Mort.)” Da cardacèa, che significa mal di cuore.
Carriche: cariche.
Carta d’intinnirintà: carta d’identità. Non è espressione di dialetto: deriva da storpiamento di parola, come accade spesso nel dialetto con i termini burocratici, medici, scientifici ecc.
Carusi: ragazzini ma anche sarbadanari, salvadanai.
Carzaro: carcere.
Cascione: cassetto.
Cassariarsi: pavoneggiarsi passeggiando per il cassaro, cioè il corso principale del paese che parte dal palazzo dove si gestisce il potere. Cassaro dall’arabo qasr, castello.
Catafriccicare: rafforzativo del verbo friccicari: suscitare intenso desiderio di cosa che piace; premere, stare a cuore, frizzare, prudere. Rifl.: stare sulle spine o, solito capitombolo siculo, prendere gusto (Voc. Sic.).
Cataminare/rsi, Cataminiari/si: smuovere, spingere con sforzo, spostare continuamente, muoversi, agitarsi, dimenarsi camminando, tentennare di cose che non stanno ben ferme, muoversi lentamente o indugiare a bella posta, maneggiare.
Cato: catino, secchio.
Catojo: monolocale al livello stradale, abitazione misera.
Catùnio: noia, molestia.
Cavagne: sinonimo di fascedda, cestino in cui si tiene la ricotta.
Càvucio: calcio.
Càvudo: caldo.
Càvusi: pantaloni.
Cazzarola: casseruola.
Cazzicatùmmolo: capitombolo.
Centilimetro: centimetro.
Che ci accucchia?: che c’entra? L’ex pubblico ministero on. Di Pietro traducerebbe: “Che ci azzecca?”
Chiacchiariare: chiacchierare.
Chiangìri: piangere.
Chiantare: piantare.
Chiapparina: capperi della qualità più fine.
Chiarchiàro: dosso pietroso. Leonardo Sciascia, in Occhio di capra, lo descrive così: “E’ una collina rocciosa, un sistema di anfratti, di crepacci,, di tane. Pauroso rifugio di selvaggina, di uccelli notturni, di serpi… Al chiarcàru, dunque, è come dire agli Inferi, a un luogo di morte in cui tutti ci incontreremo. E senza dubbio vi agisce la memoria delle antiche necropoli scavate nelle colline rocciose”.E Vincenzo Consolo, in Di qua dal Faro, aggiunge: “Non solo la memoria ancestrale, ma vi agisce la conoscenza, l’esperienza: il chiarcàro era spesso il luogo dove si occultavano i cadaveri dei morti ammazzati dalla mafia”. Camilleri, nel Gioco della mosca, ne da questa definizione: “Luogo impervio, desolato di sassi e di saggina, soprannome ideale per uno iettatore”.
Chiazza: piazza.
Chiddru (Chiddu): quello.
Chiesastrica: donna di chiesa.
Chiffare: faccenda, occupazione, daffare.
Chiù: più.
Chiummo (Chiummu): piombo. Detto di persona o di circostanza: noiosa.
Ciàvula: cornacchia grigia; ma anche gazza, ghiandaia marina, taccola, corvo nero; di persona, specialmente donna, che ciarla molto (Voc. Sic.).
Cicarone: accrescitivo di cicara, chicchera, tazzina. Cicarruni significa anche: maschio della capra; uomo grossolano.
Ciciri: ceci. Parola del mito siculo: si tramanda che, costringendoli a pronunciarla, gli insorti dei Vespri Siciliani scoprissero così i francesi, per i quali era parola impronunziabile “alla siciliana”, e ne facessero mattanza.
Cimiàre: pendolare, oscillare, andare da un capo all’altro di un luogo. Fare come la cima di un albero quando c’è vento. Il Voc. Sic. registra solo il significato di: attendere a qualcosa, tramare.
C’inzertò: ha indovinato, ha colto nel segno.
Ciriveddru: cervello.
Ciruso: detto di uovo: bazzotto; detto di uomo: scontroso; detto di terreno: argilloso (Voc. Sic.).
Civare: cibare, imboccare. Ha anche il significato di: adescare.
Cizziòn: eccezione, in neosociliano camilleriano.
Cocou: Il Voc. Sic. registra cocò, nel significato di stupido, credulone.
Coffa: sporta. Avirini cu (con) li (le) coffi: avere abbondanza di qualcosa e anche, non poterne più.
Dari coffa: rispondere con un diniego ad una profferta amorosa. Col palmo e la gnutticatùra: “Gnutticatùra: l’atto del raddoppiare i panni, la carta, e altro. Fig. vale apparenza, sembianza, nascondimento del vero. Copertura”; “Palmo: spazio di quanto si distende la mano dall’estremità del dito grosso a quella del mignolo. Spanna, palmo (Mort.)”. Ripagare col palmo e la gnutticatùra: ripagare con il doppio del favore ricevuto. Nel romanzo La mossa del cavallo, Camilleri spiega l’espressione così: “E’ la misura del panno: un palmo e un pollice ripiegato per buon peso”. Il verbo è gnutticari: in senso figurato, vale: raggirare qualcuno, persuaderlo, tirarlo dalla propria parte.
Comarca: combriccola, compagnia di sodali o congiurati. Niente a che vedere con la parola italiana, che significa marca, provincia di confine, regione; o anche, grado di funzionario bizantino.
Comerdioni: nella lingua italiana esiste la parola comedone, dal francese comedon che è dal latino comedo – onis: mangione. Nel linguaggio medico, rilievo puntiforme di colorito nero, comunemente detto punto nero della pelle, determinato dall’accumulo di sebo all’interno del follicolo pilifero.
Cozzo: occipite. Più in generale, la parte posteriore di qualcosa: cozzu du libru, dorso del libro (Tra.).
Crasticeddru: piccolo crasto, cioè piccolo agnello castrato.
Criata: creata, ma anche cameriera.
Cristiani: uomini.
Crita: creta.
Cu: chi.
Cumanno: comando.
Cummigliare (Cummigghiari): coprire.
Currùta: corsa.
Custureri: sarto.
Custura è: cucitura.
D
Dammùso: il tetto di un tipo di costruzioni siciliane antiche, soprattutto campagnole, costruito in modo da raccogliere l’acqua piovana e convogliarla dentro una cisterna. Per sineddoche, un certo tipo di costruzione. Isola dei dammusi per antonomasia è considerata Pantelleria.
Desi: terza persona singolare del passato remoto del verbo dari, dare.
Didoppo: poi, dopo.
D’incollo: addosso.
Discurruta: conversazione. Anche: colloquio, per stabilire un accordo o appianare una divergenza.
Distrubbàre: disturbare.
Donchi: dunque, in siculo – italiano maccheronico.
Dragunara: tromba marina, ma anche tempesta, bufera in senso figurato.
Dugno: prima persona del presente indicativo del verbo dare, dari.
E
Ebica: epoca.
Elasso: trascorso, uscito di regola, passato, scaduto.
Erbaspada: Specie vegetale non registrata da nessuno dei vocabolari consultati e neppure da Flora Sicula, Dizionario trilingue illustrato, di Filippo Maria Provitina, Edizioni Kefagrafica.
F
Fàcchisi: traslitterazione della pronuncia deformata della parola fax.
Faccia stagnata: faccia di bronzo.
Facenna: faccenda.
Fagliare (Fagghiari): in Siciliano, si modica il significato della parola italiana (rara, più usata è sfagliare), che significa: scartare una carta da gioco. Sfaglio (Voc. Trec.) è sia lo scarto improvviso di un animale sia il balzo di un grosso capo di selvaggina e, quindi, le tracce che, fuggendo, lascia sul terreno.
Fagghiu: mancanza di un seme della carte da gioco. Fagghiari è sia lo scartare l’ultima carta di un seme sia l’essere privo di quel seme. Per estensione, essere fagghiu significa: mancare di qualcosa. Camilleri usa fagliare per mancare.
Fannu tutte accussì: l’opera di Mozart Così fan tutte
Fare come una maria: piangere a dirotto (Voc. Sic.).
Fare il noccentino: fare l’innocentino, lo gnorri.
Fare voci: vociare.
Farfantaria: furfanteria, bugia dopo una marachella.
Farlacca: asse di legno.
Farsi sangue : detto di persone, sentirsi in sintonia vicendevole, provare sentimenti reciproci. Fare sangue (a qualcuno): suscitare ardente e impellente desiderio.
Fastuca: pistacchio, pianta e frutto. Fig.: donna che cerca marito accanitamente (Voc. Sic.).
Favuso: falso.
Fera: delfino. Nella Mossa del cavallo, Camilleri usa l’espressione: “Fare più danno di una fera in una tonnara”, dando l’impressione di identificare la fera con uno squalo, esso se pericoloso dentro una tonnara.
Fèto: puzza.
Fìcato: fegato.
Ficazzana: albero di fico: Nome di una delle varietà dell’albero, o del frutto, del fico. “Ficazzana vera è quella che porta i frutti più grandi di tutte le altre specie, si matura sul fine di giugno, ha la scorza nera e la polpa dolce, sugosa e bianchiccia rosea, con minutissimi granellini.
Fari stari a unu comu na ficazzana: malmenarlo; parlando di cosa: ripiegarla male, gualcire.
Ficazzana cu l’ossu ruci (dolce): è un detto volgare, che si usa per accennare una negativa, poichè questo frutto con osso non esiste, dunque si accenna un impossibile” (Mort.).
Ficcata: coito, “scopata”.
Filàma: fama, reputazione, Camilleri la usa spesso nel significato di: diceria calunniosa, accusa ingiusta.
Finire a schifìo: finir male.
Finuta: finita.
Firetto: furetto.
Firriare: girare, sia in senso transitivo che intransitivo.
Firrigna: ferrigna.
Firticchio: estro, voglia, capriccio.
Fissa: fesso, stupido. Ma anche vulva, organo sessuale esterno della donna.
Fissiarsela: indugiare, perdere tempo.
Fitinzìa: schifezza.
Flabbicato: fabbricato, in “maccheronico”.
Fodetta (Faudetta o fadetta): gonna, sottana, sottoveste.
Fofò: diminutivo di Alfonso.
Fora: fuori. E’ anche, ma quasi obsoleto, il condizionale del verbo essere: sarebbe.
Forasteri: forestiero.
Foravìa (di…): di straforo. Venire di foravia: arrivare da un luogo estraneo, o da una direzione inaspettata, non consueta.
Fratre: fratello.
Friccicari: piacere, allettare. Friccicàrisi: “Baloccarsi, muoversi qua e là ciondolando” (Mort.). Camilleri sembra dare al verso il significato di graffiarsi.
Friscanzana: tempo fresco senza vento; tempo umido.
Frisco frisco: fresco fresco, detto di qualcuno che ostenta disinvoltura.
Friscoliddro: freschetto (detto di tempo).
Frivaro: febbraio.
Frussione: raffreddore.
Fuitìna: fuga. Per antonomasia, fuitìna in Sicilia è la fuga consensuale di due giovani che vogliono sposarsi contro la volontà delle famiglia: basta una notte passata insieme per rendere “obbligatorio” il matrimonio. Pratica non più molto diffusa ma non del tutto scomparsa. Talvolta, solo una messa in scena – perfino con un “rapimento” spettacolare quanto concordato tra le famiglie – per risparmiare le ingenti spese per una festa di matrimonio regolare.
Fumolizzo: esalazione di fumo, vapore acqueo.
Funnuto: profondo.
Furgarone: grosso petardo pirotecnico. Termine settecentesco non più usato dai “pirotecnici” siciliani (secondo Ignazio Buttitta jr, antropologo, che su fuochi e fuochisti pirotecnici siciliani sa, praticamente, tutto). Nell’Agrigentino significa anche: uomo di alta statura (Voc. Sic.).
Furiare: aizzare, far montare in furia bestie o persone, dare in escandescenze, infuriarsi, dare la baia, sgridare, sbandare un gregge (Voc. Sic.).
G
Gaddrina: gallina.
Gammi: gambe.
Garrusiare: comportarsi in modo astuto e ambiguo. Da garruso, che però significa “omosessuale passivo”. Nell’Agrigentino il Voc. Sic. registra il detto popolare: garruso a ccridenza, persona che si intromette inopportunamente nei fatti degli altri. Di metafora in metafora, misteriosamente…
Gastime: imprecazioni, maledizioni, recriminazioni lamentose. Verbo: gastimari; in alcuni testi di Camilleri è lastimare.
Gattigliare: fare il solletico.
Giarno: giallo, impallidito.
Giarre: grandi recipienti di terracotta.
Gilecco: gilè.
Girgentana: agrigentina. Agrigento si chiamava Girgenti fino al periodo prefascista.
Gnuri: cocchiere, vetturino.
Grancio: granchio.
Graste: vasi da fiori.
Grecchia: orecchia.
Grevia: detto di persona, pesante, senza spirito; chi non voglia dare soddisfazione all’interlocutore; di condimento, scipito.
Guàllara: ernia.
Guttera: stillicidio dal tetto.
H
Havìri chi fari: essere occupato.
I
Iddru (Iddu): egli.
Immeci: invece.
Imparpagliato: imbarazzato, chi rimane senza parole
Impiccicata: appiccicata.
Imprenare: ingravidare.
In prìmisi: in primis, innanzi tutto.
Inca: inchiostro.
Incaniato: arrabbiato come un cane. Da incaniarsi.
Incaprettato: uomo ucciso e poi impacchettato, con le gambe ripiegate dietro la schiena e legate a un capo di una cordicella, a volte un filo di ferro, il cui altro capo è rigirato attorno al collo. Sistema preferito dagli assassini mafiosi per lo stivaggio modulare di un cadavere nel portabagagli di un’auto. Secondo alcuni esegeti, l’incaprettamento verrebbe eseguito dal vivo, e la morte avverrebbe a poco a poco, in sincronia con il progressivo afflosciarsi delle gambe ripiegate che causerebbe la tensione della cordicella e perciò lo strangolamento. A volte, l’incaprettato è tale per comodità di trasporto, in vista del successivo incenerimento insieme con il contenitore; altre volte, deve servire come messaggio e monito. Negli anni ’70 – ’80, tale dettagliata spiegazione sarebbe stata superflua, essendo l’incaprettamento pratica frequente e ben descritta dai cronisti di nera. Oggi sembra sistema poco utilizzato, ma non si può mai dire e da quegli anni remoti s’è alfabetizzata e arrivata all’età della ragione almeno una generazione ignara di quegli scellerati rituali…
Incarcare: calcare, premere, spingere con forza; anche metafora dell’atto sessuale.
Incatricchiato: sarebbe il participio passato del verbo italiano incatricchiare, che però non è registrato da nessuno dei vocabolari della lingua italiana consultati ed è citato solo dal Vocabolario Siciliano – Italiano di Antonio Traina, come traduzione del verbo siciliano incatriculari, nel significato di avvolgere, arruffare, avviluppare. Camilleri cita Pirandello, che usò la parola italiana in una sua novella.
Inchìre: riempire.
Incignare: inaugurare, mettere per la prima volta, togliere la verginità. Il verbo è identico, a parte la desinenza siciliana in ari, sia nella lingua italiana che nel dialetto. Vocabolo dotto, deriva dalla parola greca kainòs, nuovo (Voc. Trac.)
Insitarsi nell’agro: essere di cattivo umore, inacidirsi: detto di persona.
Insugnate: sognate. Nulla a che fare con sugna, che è lo strutto.
Insunsuniare: il Voc. Sic. registra il verbo, usato in alcune zone dell’Agrigentino, nzusizzunari: insaccare qualcosa dentro una fodera o dentro un contenitore a orma di budello (salsiccia); montare una persona contro un’altra.
Intifico: identico.
Intollarsi: nel dialetto siciliano esiste l’aggettivo ntollu, stupido, sciocco; ubriaco. Far’u ntollu, fare il nesci. Intollarsi di qualcosa, può stare quindi sia per istupidirsi che per imbottirsi, in senso traslato, per esempio, di pillole.
Intordonuto: stordito, intontito.
Intortati: storti, incurvati.
Intreppete: interprete. Il gruppo di lettere rpr è di ardua pronuncia per qualsiasi siciliano, perciò si aggira l’ostacolo.
Inzertare: indovinare.
Isare: alzare
Itivìnni: andatevene.
Ittàre: gettare.
J
Jènniro: genero.
L
Lagnusìa: pigrizia, svogliatezza.
Laido: brutto, malconcio.
Lanna: latta.
Lastrico: deformazione, per elastico.
Latata: lato ma anche parentela.
Lebbro: lepre.
Lèggio: leggero.
Lento d’incascio: chi abbia diuresi frequenti. Metafora per chi non riesca a tenere un segreto.
Liccasapone: coltello a serramanico.
Liggiùto (il) e lo scrivùto: il saper leggere e scrivere.
Limmita: confini agrari.
Limosìna: elemosina.
Limitu: termine, confine. Pietra o segnale di confine.
Linzòlo: lenzuolo.
Lippo: erbe, muschi o alghe, sulle rive di corsi d’acqua o sugli scogli a fior d’onda.
Livari u (il) pilu (pelo): percuotere duramente qualcuno.
Lòzio (Lùzziu): bonaccione ma lento nei riflessi (Voc. Sic.).
Luffarìa: pigrizia.
M
M’avi a scusare: le chiedo di scusarmi.
Macàri: anche, perfino.
Maceriarsi: arrovellarsi, tormentarsi. In Siciliano esiste anche il verbo maciriari: “Trattar con mano la farina da impastare fregandola sulla madia” (Tra.).
Magàra: strega, fattucchiera. I vocabolari siciliani ottocenteschi danno: maliarda, ammaliatrice e il Tra. riporta questa singolare versione: “I più rozzi montanari così chiamano anche il convoglio della ferrovia”.
Magarìa: magia.
Malacunnùtta: mascalzone e, in generale, uomo di pessimo carattere; fannullone, dedito ai piaceri della carne.
Mallitto: maledetto.
Malostare: miseria; incubo.
Mammalucchigne: le parole usate negli esorcismi, ma anche sbigottite, meravigliate.
Mammana: levatrice.
Mandillo: una delle trappole che maliziosamente Camilleri. dissemina fra le sue parole dal siciliano. Questa è, in realtà, parola dotta, dottissima, con un pedigree che parte dal latino e arriva fino al greco bizantino: come mandilio indica il fazzoletto su cui, secondo una leggenda del 4° o 6° secolo, sarebbe rimasto impresso il volto di Cristo. Come mandillo, indica il fazzoletto che le donne di alcune regioni meridionali portavano in capo, annodato sotto la gola e ricadente sulle spalle, oppure inamidato e disposto come un vero copricapo. Entrambe le definizioni sono copiate dal Voc. Trec. Per quel che vale, il correttore ortografico inserito nel programma del computer segna entrambe le parole con la linea zigrinata rossa, che indica errore ortografico.
Mangiuga: mangiatoria, pappatoria.
Maniàre: maneggiare, toccare con le mani.
Maniàta: gruppo di persone; traccia di selvaggina seguita dai cani.
Mànnara: recinto in cui si rinchiude un gregge.
Manopera: manovra.
Manu cu manu: da una mano all’altra (può usarsi per indicare consegna di oggetti o somme di denaro senza formalità, equivalente dell’espressione latina brevi manu.
Masannò: altrimenti, in caso contrario.
Mascuiliddru: maschietto.
Masculo: maschio.
Matapollo: una qualità di tela di cotone; imbroglio, imbroglione, bugiardo. F…risi u vudeddu a matapollo, torcersi le budella per disappunto o rabbia o dispiacere.
Màzzara: masso di pietra usato come ancora, ma anche per far colare a fondo, e perchè ci rimanga, un assassinato del quale non si voglia lasciare traccia.
Mènnula: mandorla.
Mèusa: milza. Pani ca’ mèusa: panino imbottito con la milza. Secondo Camilleri (Il Cane di terracotta) la mèusa sarebbe: “Interiora d’agnello bollite e cosparse di caciocavallo”, invece la milza è fritta nell’olio ed è di bue. Interiora d’agnello arrotolate e cotte alla brace sono invece le stigghiola. Ma Camilleri non è palermitano.
Midicàno (Miricanu): americano.
Minchia: organo sessuale maschile. Iterazione fin troppo frequente nel parlato dei siciliani: esprime meraviglia, apprezzamento, disprezzo, e qualsivoglia altro stato d’animo.
Minna: mammella.
Minnitta: vendetta, ma anche scempio.
Mischineddru: poverino.
Misirizzi: Altra trappola camilleriana. Chi se l’aspetterebbe? E’ parola italiana, entrata nell’uso fin dal 1629, come autorevolmente registra il Diz.: “Da mi si rizzi, giocattolo consistente in una figura di legno o altro materiale leggero che, appesantito alla base, comunque si getti non può non restare dritta. Figurato: uomo politico che riesce a sopravvivere a ogni cambiamento”. Queste le definizioni della parola che, si confessa, non s’era mai udita o letta prima. E che sia parola rara o dimenticata, lo proverebbe il fatto che, in questi anni di continuo gioco politico ai quattro cantoni, mai sia accaduto di ascoltarla né di leggerla nel suo significato figurato.
Moccaro: moccio.
Mocconelli: piccoli bocconi o piccoli sorsi
Momento di virivirì: vivamaria, momento di estrema confusione.
Mormoriarsi: borbottare.
Morsi: prima persona singolare del passato remoto del verbo murìri, morire.
Moschitta: zanzara.
Motuperio: menzogna, falsità, impostura; frottola; grande quantità di qualsiasi cosa. Camilleri ne deriva, forse, il verbo mutuperiare, a cui in un testo sembrerebbe attribuire il significato di: muovere ritmicamente la testa, o in su e giù. Ma chissà.
Muffoletto: piccolo pane molto morbido, che si confezionava in certe ricorrenze festive.
Munnizzaro: discarica, ma anche “operatore ecologico”, che sarebbe la definizione politicamente corretta per identificare quelli una volta erano chiamati spazzini, netturbini ecc.
Murmuriari: borbottare ma anche: spettegolare, insinuare, fare maldicenza sul conto di qualcuno.
Murritiare: infastidire, ma anche scherzare con le mani o con le parole. Camilleri, nel Gioco della mosca: “Stuzzicare, provocare. Ma se il provocare si tramuta in dileggio si dice scuncicari”. Cincischiare.
Murritiuso: che non sta mai fermo, che tocca tutto. Anche chi soffre di emorroidi.
Muschittera: carta moschicida.
Mutànghero: silenzioso, ma anche chi abbia difficoltà di parola.
Mutriarsi: cambiare umore, dal buono al cattivo. Mutria è parola della lingua italiana: “Grugno, muso”; figurato: atteggiamento del volto che mostra orgoglio o sdegno” (Diz.). Il verbo non esiste.
N
Na picca: un po’.
Na poco: alcuni.
Nànfara: costipazione nasale, raffreddore. “Infreddatura, spezie di malattia nella quale vi è intasamento di naso, o distillazione di moccio liquido. Corizza (coriza)”, (Mort.). In un testo, Camilleri la definisce così: “Quel particolare modo di parlare che viene quando uno ha il naso chiuso e stracangia (vedi) la pronuncia delle consonanti”.
Narrè (variante: darrè): dietro.
Narreri: indietro.
Nasche: narici.
Ncaniato: adirato, fuori dai gangheri, insomma incazzato.
Ncasciata: letteralmente: incassata. E’ anche termine culinario: pasta ‘ncasciata: timballo di pasta al forno.
Neglia: nebbia.
Nenti: niente.
‘Ngiuria (Inciuria): offesa, oltraggio. Ma soprattutto usato in Sicilia per indicare il soprannome, non necessariamente spregiativo o ridicolo, attribuito a un “capostipite”, i cui discendenti se lo trasmettono di generazione in generazione: nei paesi, è più facile essere conosciuti e identificati dalla inciuria piuttosto che dal cognome. Se vi accadesse di cercare qualcuno, tuttavia, usate qualche cautela: può capitare che essere chiamati da un estraneo con la inciuria non sia gradito.
Nglisa: inglese.
Nguliate: appetitose, che sollecitano la gola,
Nibba: no, niente affatto, a vuoto, inutilmente. Il Voc. Sic. lo definisce termine antiquato: lo usò anche il poeta Giovanni Meli. Più correnti, nìbbisi e nisba.
Nicareddru: diminutivo di nico (vedi).
Nico: piccolo.
Nirbuso: nervoso. Il nirbuso: attacco di nervi.
Nìvuro: nero.
Non appattare: non combaciare, non capirsi.
Non lasciare di corto: non farsi sfuggire chi si pedina, a qualunque costo.
Nonsi: contrazione per nossignore.
Notòmia: anatomia.
Nuciddre americane (Nucidde): semi di arachide tostati nel baccello. Nucidda, è la nocciola.
Nuddru (Nuddu): nessuno.
Nunnàto: neonato. Nunnata è il novellame di pesce, in genere di sarda.
Nuovaiorca: New York.
Nzmà: non sia mai, Dio ne scansi.
Nzinga: cenno. Nei primi testi di Camilleri: zinga.
O
Occhi sgriddrati: occhi spalancati.
Oglio (Ogghiu): olio.
Omo di panza: uomo che sa tenere un segreto (nella pancia). Camilleri lo definisce così, nel Gioco della mosca: “Persona pronta ad affrontare temerariamente situazioni rischiose”. Si vuole sia stata una “qualità” mafiosa, per cui l’espressione indica, tout court, un mafioso
Onze: monete del Regno delle Due Sicilie. Un’onza era divisa in dodici tarì. Un tarì nel 1861 era pari a 0,425 lire, equivalenti a circa 2.900 lire attuali.
Opira dei Pupi: Opera dei Pupi, spettacolo di marionette sui temi del ciclo di Carlo Magno e dei suoi Paladini contro i Mori.
Orliare: girare attorno.
Osso pizziddro: malleolo.
P
Pagnottuna: schiaffoni.
Palìco: stecchino; metaforicamente, cosa o persona di poco conto.
Palloneddro di acqua saponata: bolla di sapone
Palumma: colomba.
Pampèra: visiera.
Pampineddra: letteralmente, piccola foglia.
Pàmpini pàmpini: detto degli occhi, occhi a pampinedda: quando gli occhi si socchiudono e le palpebre sbattono (come una fogliolina per la brezza, appunto)per stanchezza o sonno. Pampina significa foglia; pampino, nella lingua italiana, è la foglia della vite.
Papè: babbeo, minchione; termine infantile per indicare le scarpe (Voc. Sic.). Più sbrigativo, Camilleri usa la parola come contrazione di papellu: lunga lettera; rapporto disciplinare, denuncia.
Papòre: piroscafo a vapore.
Pappatacio: pappataci, che in italiano è invariabile, piccolo insetto dei Ditteri, (“che punge e vola senza far rumore” (Diz.).
Parannanza: non è una parola siciliana, ma del dialetto romanesco, dal Voc. Trec.: grembiule da lavoro o da cucina.
Parrino: prete; padrino.
Passiàre: passeggiare.
Passiddrà: passa da là, cioè cambia strada, vattene.
Passuluna: olive nere appassite.
Patangelo: vantaggio che si concede all’avversario in una corsa.
Pattiare: mercanteggiare, convenire.
Pazinziuso: paziente.
Pedi leggio (a): in punta di piedi.
Peju: peggio.
Perciale: brecciame.
Pertuso (Pirtuso): pertugio, buco.
Petrafèrnula: torrone, durissimo, di zucchero tostato e mandorle.
Petrosino: prezzemolo.
Picca: poco.
Piccamora: per adesso.
Picciliddro: bambino.
Picinosamente: picinusu significa: fastidioso, pignolo. Il verbo piciniari: bisbigliare; chiacchierare; fare pettegolezzo; borbottare o mostrare disappunto con insistenza e monotonia; discutere animatamente a voce alta. Sta anche per piovigginare (Voc. Sic.). Pici significa pece.
Picuna: picconi.
Pifanìa: Epifania.
Pigliare il fujuto: prendere la fuga.
Pilacchio: blatta delle cucine, scarabeo stercorario.
Pilaja: spiaggia. Ma nel dialetto siciliano corrente si usano, indifferentemente, praia e plaia. Camilleri scrive sempre pilaja; si incontra plaja solo a partire dal racconto La revisione del volume Gli arancini di Montalbano.
Pilere: pilastro.
Pinnotizzata: ipnotizzata.
Pinnuli: pillole medicinali.
Pircoco: albicocco/a.
Piriazzola: peretta/e.
Pìrita: scoregge.
Pirrettu: grosso limone.
Pirsùna: persona.
Pirriatore: minatore nelle cave di pietra.
Pirtusa: buchi.
Piscariggio: peschereccio.
Piscipàino: pitch-pine, legno di pino americano che, ben stagionato, è di qualità particolarmente adatta all’ebanisteria e alla carpenteria edile e navale.
Pistiàre: pestare, ma anche mangiare (pestare con i denti).
Pistiato e ripistiato: spiegato e rispiegato.
Pitin(i)oso: pitìnia significa eczema, verruca. In senso figurato, sta per: persona fastidiosa, puntigliosa all’eccesso, di carattere agro e sospettoso.
Pititto: appetito.
Pitroglio, pitrolio: petrolio.
Ponno: terza persona plurale dell’indicativo del verbo putiri. Pozzo: idem, prima persona dell’indicativo.
Prena: incinta.
Pribenna: privativa, privilegio, concessione.
Primentìo: Primintiu. Si dice del frutto della terra che si matura di buon’ora” (Mort.). Luce primentìa: alle prime luci (del giorno).
Primisso: permesso.
Prisenza: presenza.
Proì: passato remoto di pròiri , porgere. Camilleri usa anche: pruì.
Pròtico: prodigo. Figliò pròtico: figliol prodigo. Deformazione del linguaggio popolare.
Pruvulazzo: polvere.
Pulìsi: poliziotti, storpiamento in americano-brooklyno della parola Police.
Puliziare: pulire.
Puliziatina: l’atto del lavarsi, ma con moderazione.
Pupi pupi: detto degli occhi; fari pupi pupi: l’annebbiarsi e lo sfocarsi della vista per cui le righe di un libro sembrano oscillare. Insomma, quando “balla la vista”.
Purmonìa: polmonite.
Purrito (Purritu): marcio, fradicio. Dal francese: pourri.
Putìa: bottega.
Q
Quacìna: calce.
Quadane: “Subito calore che invade la persona per paura, confusione, (emozione) o altra causa” (Mort.).
Quadiare (Quariari): riscaldare.
Quartarella: piccola anfora di terracotta
Quartiarsi: cautelarsi, prendere delle precauzioni, non esporsi.
Quasette: calze.
Quatelosi: cauti.
Quatrare: convincere, detto di gente della quale non si riesca a inquadrare la personalità.
Quatrigliè: quadrettato.
R
Racina: uva. Dal francese raisin.
Radica: eufemismo per il membro sessuale maschile.
Raggia: rabbia.
Ralogio: orologio.
Ranto ranto: tutt’attorno. Ranto, da solo, significa: radente a, accanto. “Ranti ranti: rasente, allato, ben accosto. Italiano: a randa a randa, voce derivata dal Provenzale” (Mort.). “Randa: arcaico, margine, estremità: Nella locuzione avverbiale “a randa”, rasente” (Diz.).
Raprire: aprire.
Retr: gabinetto.
Revorbaro: revolver.
Rifardiarsi: tirarsi indietro; prendere le distanze; non tener fede a un impegno. Camilleri usa anche: arrifardiarsi.
Riperticare: rintracciare.
Rispostiare: rispondere in maniera sgarbata o aggressiva, per avere l’ultima parola.
Rivotare: rivoltare, girare.
Rizzetto: sistemazione.
Rrinèsciri: riuscire.
Rumorata: rumore.
Rusciana: rubiconda, sanguigna.
S
Saccarolo: scaricatore.
Sacchetta: tasca.
Saccio: iò saccio, tu sai, iddu sape: prime tre persone dell’indicativo presente del verbo sapiri, sapere.
Sanfasò: alla rinfusa, senza ordine, alla carlona.
Santarma: anima santa.
Santione: bestemmia.
Sarsa: salsa. Fari a sarsa: fingere per simulare o dissimulare qualcosa. Anche: irridere.
Sasizza: salsiccia.
Satare: saltare. Sauta un torzolu e va in culu all’ortolano: salta un torsolo e…
Sàvuto: salto.
Sbalanco (Sbalanzu): dirupo, precipizio, torrura.
Sbariare: distrarre da pensieri gravosi, rasserenare.
Sbarracato: spalancato. Dal verbo sbarrachiari.
Sbergie: nocepesche.
Sberginato: sverginato.
Sbinchiare (Sminchiari): Guastare, disordinare, ma anche storpiare, malmenare duramente.
Sbinturato: sventurato, anche nel senso di senza cervello.
Sbommicare (Sbummicari): dall’antica parola italiana bonicare, vomitare: trapelare, manifestarsi all’improvviso, per esempio, della febbre. Anche: sfogarsi.
Sburrare: eiaculare.
Scaffa: buca stradale, avvallamento del terreno. Anche: scaffale, ripiano.
Scagno: ufficio commerciale, anche scrivania.
Scampare: spiovere.
Scanata: il battere la pasta o l’impastarla con le mani.
Scanato: detto del pane, pane biscottato. Il verbo scanari significa anche: parlare per frasi pungenti e allusive (Voc. Sic.).
Scangio: cambio.
Scantato: impaurito.
Scanto: paura.
Scantuso: pauroso.
Scappacavallo: calesse.
Scappottarsela: sgusciar via, evitare, dribblare un imprevisto, un fastidio.
Scarfaglio: scarafaggio.
Scarmazzo: aria calda e soffocante; nuvole tipiche del vento di scirocco, sparse e rade (Voc. Sic.). Camilleri fa dire al commissario Montalbano che significa “movimento d’acqua”.
Scarpàro: ciabattino.
Scarso: povero.
Scasciare: mancare, ma anche cedere, riferito a un meccanismo.
Scascione: cagione, causa.
Scatasciante: part. pres. di scatasciari, verbo dai molteplici significati: dire ciò che non si sarebbe dovuto; confessare spontaneamente; fare la spia; dare in escandescenze; millantarsi; ridere a crepapelle; piovere a dirotto; togliere collosità alla tela; scuocersi della pasta; dissodare un terreno (Voc. Sic.).
Scatàscio: come il verbo, sostantivo polivalente: denuncia; temporale; flusso d’acqua d’irrigazione; dissodamento del terreno. In un testo, Camilleri sembra attribuirgli il significato di: gran fracasso.
Scattusarìa: dispetto.
Scàvuso: scalzo.
Scecco: asino.
Schetto: celibe.
Schifìo: disgusto. Finire a schifìo: vedi finire.
Schina: schiena.
Schiticchio: pasto in compagnia. “Di quelli che si definiscono: scialare il tempo: oziare con spensieratezza” (Voc. Sic.).
Sciarra: lite.
Sciauro (Ciauru): odore
Sciccaroli: conducenti di asini.
Sciddicuso: scivoloso.
Sciddricare: scivolare.
Scìnnire: scendere.
Scioppo (a volte scioppetto): è una misteriosa parola che, unita a birra, significa: una bottiglia di birra, piccola. e’ espressione usata solo in Sicilia, e non sono neppure sicuro che sia ormai capita da tutti i baristi. Probabilmente deriva da una parola di slang americano, udita e chissà come storpiata dai siciliani ai tempi dell’occupazione americana della Sicilia, o importata con il “brooklyno” degli emigrati di ritorno. In inglese – americano chop significa tante cose, ma la radice riporta sempre al verbo tagliare: può darsi che i soldati americani, chiedessero una chop-beer quando volevano una bottiglia Piccola (tagliata rispetto alla misura standard?). Il Voc. Sic. registra scioppa come parola del linguaggio degli italo -americani tornati al paese: fabbrica di capi d’abbigliamento e anche piccolo negozio senza pretese; lavoro continuativo ben pagato.
Scocciare i fìlleri: scucire i soldi, pagare senza fare tante storie.
Scocco: fiocco.
Scòncica: scherno, provocazione.
Sconcicare: infastidire (vedi: murritiare).
Scopetta: fucile da caccia. Scopettata, fucilata.
Scoppo: serratura a scatto. E’ voce onomatopeica, in quanto scoppu significa anche scatto, rumore, fracasso.
Scorcia: scorza, buccia.
Scrafazzare: schiacciare.
Scrùscio: rumore.
Scugnare il naso: battere violentemente il naso tanto da farlo sanguinare. Scugnare significa cavare, togliere da un incastro; mandar via, cacciare.
Scumazza: schiuma. Fari scumazza: pavoneggiarsi.
Scuratina: imbrunire.
Scursuna (plurale di scursuni): varie specie di serpenti, velenosi e no; cravatta; denaro o tesoro nascosto; uomo furbo e astuto, o scontroso e insocievole (Voc. Sic.).
Sdisonorato: disonorato, ma anche astuto senza troppi scrupoli.
Sdunare: uscire di senno. Camilleri lo usa nel senso di uscire, uscire dalla tana” perchè in un testo aggiunge: “come fa un coniglio quando viene assugliato (vedi assugliare) dal furetto”.
Secundis (in): in secondo luogo.
Seggia: sedia.
Sentirsi la bocca allapposa: impappinarsi.
Serbatici: selvatici.
Sfagliare: indietreggiare.
Sfondapiedi: buca coperta e mimetizzata con frasche per farne una trappola; tranello.
Sgallumata: scolata, detto di bottiglia. Detto di persona: dal corpo o dal portamento sgraziato.
Sgriddati: detto di occhi “Quasi fuori dall’orbita” (Tra.). Sgriddari significa scappare via, sfuggire alla presa, scampare, liberarsi.
Si votava e rivotava: si voltava e si rivoltava.
Sicarro: sigaro.
Sicutare: inseguire.
Si-donna: forma sincopata e enfatica per: signora donna. E’ l’equivalente del cosiddetto titolo d’onore premesso alle nobili e presunte tali. Può prendere intonazioni ironiche. Espressione in uso nell’Agrigentino.
Signo: segno, segnale.
Simàna: settimana.
Sinibbio: questa è una parola toscana, che secondo il Diz. significa vento con neve, neve che il vento polverizza. Forse dal latino volgare subnibulus, oscuro, tenebroso; in uso nell’Italiano dal 1891.
Sìnnaco: sindaco.
Sisiàta: parlarsi con il sé, cioè mettersi d’accordo.
Smàfari: enormità.
Smèuso: “Dicesi di chi ha la pancia vuota. Smilzo; 2. Detto di uomo meschino, e senza moneta. Asciutto; detto di composizione come di versi, e simili, vale languida. Smilzo. (Mort.). Può anche significare scialbo.
Smorcare lo sbromo: modo di dire non facilmente interpretabile. Smorcare (vedi). Sbromo (o bromo), è l’agglomerato di minuscole meduse e di altri celenterati urticanti che si attacca alle reti o ai palancari e irrita le mani di chi maneggia quegli attrezzi. Camilleri spiega l’espressione così: “Voglia di pigliare per il culo l’interlocutore”. Appunto.
Smorcata(?): Participio passato dell’indecifrato verbo smorcare, usato per definire sia la fame sia la febbre: a senso, sembrerebbe indicare l’insorgenza sia dell’una che dell’altra (ma anche esattamente l’opposto).
Smurritiare: frugare; provocare.
Soprassutta: sottosopra.
Soru: sorella.
Spacchio: sperma
Spaccimme: sperma, nel dialetto napoletano.
Sparatina: sparo. L’uso della parole nel dialetto siciliano è analogo a quello descritto per la parola ammazzatina (vedi).
Sparagnare: risparmiare.
Spardare: sprecare. Spardatu ha il significato di malconcio, lacero.
Sparla: pettegolezzo malizioso.
Sparlare: parlar male di qualcuno.
Sparluccicare: brillare.
Sperciare: avere voglia.
Sperto: astuto, abile.
Spiare: chiedere.
Spicato: sviluppato
Spiega: spiegazione
Spinasanta: Astragalus siculus. Nessuna paura, è una pianta leguminosa delle Papillonacee, i suoi semi vengono (venivano?) usati come surrogati del caffè (Flora Sicula).
Spinno: voglia; anche: nostalgia.
Spirtizza: astuzia, ma anche bravata.
Spirtusato: bucherellato.
Spitàli: ospedale.
Splàpita: Parola non registrata da nessuno dei vocabolari consultati. Usata da Camilleri nel Cane di terracotta, come aggettivo sia di “curiosità” sia di “luce” (specificatamente, di un acciarino), sembrerebbe significare scialba, scarsa, moderata.
Sponza: spugna.
Squasciariate: detto, da Camilleri, di voci durante una lotta.
Squieta: inquieta.
Squietare: spazientire, infastidire.
Stacciùto: robusto.
Staminarìa: inclinazione a fare dispetti.
Stascionale: lavoratore stagionale.
Stascione: stagione. La parola usata isolatamente significa, per antonomasia, l’estate.
State: estate.
Sticchio: organo sessuale femminile.
Stigliolo (Stigghiola): budello. Stigghiola sono le budella di capretto arrotolate a uno spiedino e arrostite sulle brace. Recentemente bandite dalle norme igienico-sanitarie europee, facevano, fanno – e faranno? – parte del variegato assortimento di “cibo stradale” palermitano.
Stimpagnare: sfondare, sturare. Per estensione: sgorgare.
Stinnicchiato: disteso.
Stoccare: spezzare.
Stracangiare: stravolgere, cambiare radicalmente.
Stracangiarsi: mutare l’espressione del volto, per una sorpresa non sempre gradita.
Strumentiare: armeggiare, escogitare ma anche mettersi all’opera.
Strumentìo: il darsi da fare; può valere anche: macchinazione.
Struppiare: far male a qualcuno.
Stufficante: noioso.
Stunare: stonare, distrarre.
Sucarsi la vita: gustarsi la vita. Ma sucari la vita: togliere a qualcuno la forza vitale, inaridirlo.
Suffolizio: spiffero d’aria.
Sugnu: prima persona dell’indicativo presente del verbo essere.
Sulfaro: zolfo.
Sullenne: solenne.
Sunnu: terza persona plurale dell’indicativo presente del verbo essere: sono.
Superchiare: avanzare.
Supra a (la) pasta mi(e)nnulicchi: sulla pasta mandorline, come dire: piove sul bagnato.
Supra u seriu: sul serio.
Surdìa: sordità.
Surruschi: baleni; “Quel chiaro, e momentaneo, mostrarsi della luce prodotto dal vapore elettrico, che trapassa da una parte all’altra dell’atmosfera per mettersi in equilibrio. Ci su surruschi, fig. vale vi sono dei guai”. (Mort.)
Susciare: soffiare.
Susìrisi: alzarsi. Sùsiri: alzare.
Susùto: alzato, sollevato.
Svacantare: svuotare.
T
Tabbutu: bara.
Tacimaci: “Si dice del fare checchessia in compagnia ma pagando ciascuno il proprio scotto” secondo il Vocabolario siciliano – italiano di Antonino Traina (1868), che cita il Vocabolario etimologico italiano e latino del filologo palermitano F. A. Pasqualino, barone della Rocchetta (1785), secondo cui la parola sarebbe composta da tascia e mangia “quasi dire si pegni quanto si mangia”.
Tavola sconsata: tavola sparecchiata.
Tempi di conseguenza: i tempi dell’Inquisizione.
Tiatro: teatro, usato nel senso di: messa in scena, anche in senso figurato.
Timbulata: schiaffo.
Timpa: piccolo poggio.
Timpagno: fondo della botte.
Tinnirume: cime della pianta di zucchina lunga.
Tirarsi sparte: farsi da parte, cedere il campo.
Tirribìlio: “Qualità di ciò che è terribile. 2. Figurato. Dicesi per dinotare moltitudine di persone, e grande quantità di cose e simili. 3. Per fracasso, confusione. Scompiglio. (Mort.)”.
Tistiare: crollare il capo.
TR: indicata come sigla della provincia di Trapani, è invece quella di Terni. Potrebbe essere un refuso tipografico.
Tradimentosa: ingannevole, fuorviante.
Tragediatore: chi metta zizzania, anche simulatore e dissimulatore.
Tràsere: entrare (da cui trasùto).
Trazzera: sentiero campestre.
Tredicino: tredicenne.
Trentino, quarantino, cinquantino ecc: che è sui trenta, quaranta, cinquanta ecc. anni d’età.
Trimoliàre: tremolare.
Tripistiàre: pestare e ripestare.
Trispa: cavalletti, trespoli.
Troffa: cespuglio.
Trovatura: scoperta casuale di un tesoro: Secondo la tradizione favolistica siciliana, il tesoro consisteva in genere, di una pentola piena di monete d’oro sepolta sotto un albero o murata dentro una parete.
Trubbato: turbato. Stessa radice di trùbbolo (vedi).
Trùbbolo: torbido, non chiaro. In Inglese e in Francese trouble ha lo stesso significato.
Truniata: rumore del tuono.
Truppicare: inciampare.
Tumazzo: formaggio.
Tuppuliare: bussare alla porta. Anche: tuppiare.
Trusciteddra: fardellino, fagottino. Diminutivo di truscia, rotolo di panni da trasportare.
Tussiculiàta: colpettini di tosse.
Tutt’insèmmula: all’improvviso.
U
ùmito: umido.
Ummira: ombra.
Unni: dove.
Uogner: il musicista Wagner, che fra i siciliani descritti da Camilleri nel Birraio di Preston, non era molto conosciuto.
Urbigna: alla cieca.
V
Vagnare: bagnare.
Vagnaticcio: bagnaticcio.
Varba (Varva): barba.
Vardedda: l’imbottitura posta sotto la sella.
Variare: stare malfermo sulle gambe, barcollare.
Vasalicò (Bbasilicò): basilico.
Vasannò: altrimenti.
Vasata: bacio.
Vascio: basso.
Vastasi: volgari, maleducati.
Vastoniata: bastonata. Da vastuniari.
Vavaluci: lumache. Bava (vava) di luce.
Vesparo: vespaio, focolaio di infezione.
Vestemmia: bestemmia.
Vestia: bestia.
Viddrano: villano.
Vidiri e svidiri: in un battibaleno.
Vidìri: vedere.
Vigilante: presente a se stesso.
Vigliante: sveglio.
Virivirì: parapiglia.
Virrina: trapano; “strumento a forare, che ha la punta a spire” (Tra.), anche con il significato di “persona che fa imbrogli e rigiri”.
Visazza: bisaccia.
Vìviri: bere.
Voscenza: contrazione di Vostra Eccellenza.
Voscienzabinidica: Vostra Eccellenza benedica. Formula di saluto rivolta da un uomo di condizione sociale inferiore a uno di condizione superiore. Il dislivello è, come si capisce, incolmabile.
Vossia: contrazione di Vostra Signoria.
Vrazza: braccia.
Vrigogna: vergogna.
Vucceri: macellaio.
Vurza: borsa.
Z
Zammù: essenza alcolica di anice che in Sicilia si spruzza nel bicchiere d’acqua.
Zara zabara: iterazione che, secondo Camilleri, equivale a mutatis mutandis. Zabàra è il fusto dell’agave e, per estensione, tutta la pianta.
Zaurdo (Zaurru, zagurdu): zotico, incivile.
Ziano: zio di parentela remota.
Zirlìo: trappola, ultima in ordine alfabetico ma forse la prima fra quelle disseminate da Camilleri nei suoi racconti, in ordine di tempo se non di pubblicazione. Zirlìo è infatti parola della lingua italiana, e deriva dal verbo, onomatopeico, zirlare, che indica il verso dei tordi e di altri uccelli. Usata in senso traslato o metaforico, la parola può indicare un’idea o una concatenazione di idee, che rimangono nel sottofondo di un ragionamento e che si acuiscono o scemano a seconda che esso tenda a coincidere con esse. Può essere significativo che il Voc. Trec. citi l’uso della parola in due frasi di autori siciliani. “Oh, stelle splendenti di quella notte zirlata dai grilli!”, di Rosso di San Secondo. ”S’udiva un lontanissimo zirlìo di grilli”, di Luigi Pirandello. Naturalmente, il correttore ortografico compreso nel programma del computer visualizza la solita riga zigrinata rossa, segnale di errore. Nel dialetto siciliano esiste la parola zurrìu, che significa mormorio, ronzio (Vocabolario italiano – siciliano di Salvatore Camilleri, edizioni Greco).
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3 Dicembre 2024
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