Chi conosce i Fast Animals and Slow Kids, band indie rock italiana originaria di Perugia, sa bene che sudore, stage diving e rock ‘n’ roll sono ingredienti fondamentali delle loro performance sul palco. L’ultima volta che si sono esibiti a Catania, il 26 agosto 2021, lo avevano fatto con un live acustico, a causa delle restrizioni Covid che prevedevano ancora distanziamento e mascherine.
Quest’anno, però, i FASK sono tornati con un live vecchio stile. Dopo un club tour ad aprile e maggio, il tour estivo – “È GIÀ DOMANI ORA – TOUR” – è ripartito il 24 giugno da Arezzo. Il 18 luglio 2022 si esibiranno a Catania, al Monastero dei Benedettini, nell’ambito di “Porte Aperte Unict”, rassegna di eventi culturali che l’Università di Catania organizza annualmente per gli studenti e per tutta la città, in collaborazione con i principali operatori culturali etnei.
Li abbiamo raggiunti telefonicamente e fatto due chiacchiere con Alessandro Guercini, chitarrista della band che, assieme ad Aimone Romizi, Jacopo Gigliotti e Alessio Mingoli, ha fondato il gruppo nel 2007.
Riprendiamo da dove c’eravamo lasciati. Durante il vostro ultimo concerto a Catania, avete concluso dicendo “Ci siamo visti per stare meglio, vi chiediamo di aspettarci”. Com’è stato per voi quel tour acustico e com’è tornare ora alla vostra “normalità”?
Il tour acustico è stato molto bello. È stato bello ripensare ai brani, riarrangiarli, cercare di dare loro una veste diversa e cercare di dare importanza ad altri aspetti rispetto a come sarebbe stato per un concerto normale. È stato bello e forse il modo migliore con il quale potevamo affrontare un tour come quello dell’anno scorso, cioè con delle restrizioni. Un concerto dei FASK a volumi normali, ma con la gente seduta e distanziata, sarebbe stato un po’ strano. Forse più per noi che per chi ci ascoltava. È stata una scelta anche un po’ egoistica, perché suonare tutti carichi un pezzo e poi alzare lo sguardo e vedere la gente seduta, mi avrebbe fatto un effetto strano, brutto. Secondo me, è stato un bel tour e un bel modo di provare e di studiare i pezzi. Però, detto questo, tornare alla normalità e fare un concerto dal vivo, in un club con il pubblico carico, che canta dall’inizio alla fine, che balla e salta e se la vive come vuole, è stata una cosa potentissima. Anche perché, per un bel po’ di tempo, è stato qualcosa che pensavamo di aver perso. Magari c’è chi ha mantenuto la fiducia fin da subito e chi, invece, si era scoraggiato. Io facevo parte della seconda categoria, e quindi tornare a farlo e capire che non era finito niente è stato bellissimo.
E le prime date del nuovo tour come sono andate?
In realtà, sono andate tutte benissimo! Riattaccare il cavo alla chitarra, salire sul palco, fare la prima nota e vedere la gente che impazzisce, che canta, che salta è stato di una potenza infinita. È stato come tornare indietro nel tempo, però con la consapevolezza che sei nel presente e che ti sei ripreso qualcosa che pensavi di aver perso.
Tra l’altro, proprio l’anno scorso, avete festeggiato i dieci anni di carriera, anche se suonavate già da prima del 2011, anno in cui è uscito “Cavalli”…
Gli anni precisi, effettivamente, sono un po’ fumosi. Forse le prime prove che abbiamo fatto sono state a fine 2007, ma era una cosa fatta solo per divertirci. L’anno scorso, invece, sono stati dieci anni dal primo album, che effettivamente è stato l’inizio di tutto.
Come sono cambiati, se sono cambiati, i FASK dal primo album all’ultimo? Com’eravate e come siete, da un punto di vista delle dinamiche del gruppo ma, anche e soprattutto, musicale?
Per quanto riguarda il rapporto tra di noi, credo che tutto sia migliorato. Conoscendoci negli anni e avendo passato così tanto tempo insieme, perché sono appunto più di dieci anni di cui sei o sette passati costantemente a contatto, abbiamo imparato a conoscerci, a capire i punti di forza e di debolezza di ciascuno di noi. Ed è bello quando, in un rapporto, si arriva a un tale livello di fiducia. Quindi, secondo me, tra di noi le cose sono solo migliorate ed è una fortuna niente male. Magari capita che con il tempo ci si stufi delle cose o delle persone, ma la solidità che ci caratterizzava già dall’inizio, col tempo, si è andata ancora di più a cementificare. Da un punto di vista musicale, invece, siamo un po’ cambiati sicuramente. Quando inizi a suonare, hai dei punti di riferimento che poi nel corso del tempo cambiano, vuoi provare cose nuove… Non tanto per il gusto di provarle, ma perché senti la necessità di fare qualcosa di diverso. Una necessità che senti quasi in maniera fisiologica: ti sembra di continuare a fare tutto come sempre e, invece, ti dai da solo nuovi stimoli. Questa è una roba che, secondo me, si è sentita e che si sente nel corso dei nostri album.
Secondo te, c’è stato un momento di evoluzione, segnato da un disco in particolare, oppure è stato un cambiamento graduale?
Sicuramente (ed è una cosa che senti suonando, da una prospettiva diversa), credo che ‘Cavalli’, il nostro primo disco, sia un episodio un po’ a parte nella nostra discografia. Poi ci sono ‘Hybris’ e ‘Alaska’ che sono due dischi molto simili tra di loro, che segnano un cambiamento abbastanza importante rispetto al 2011. Dopo di che, ‘Forse non è la felicità’ è forse un disco di transizione, perché si iniziava già a intravedere qualcosa di diverso: penso a un testo come ‘Tenera età’ che è molto pianistico e con una linea vocale abbastanza pop e, al contempo, ad ‘Annabelle’ che è un pezzo figlio dei tempi di ‘Alaska’ (e infatti l’abbiamo scritto quando eravamo in tour per quel disco lì). Quel disco è un concentrato di tante cose e forse è lì che si è iniziato a sentire un po’ il cambiamento. Cambiamento che è arrivato poi, in maniera inequivocabile, con ‘Animali notturni’, che è un disco dove si sente effettivamente la differenza con ‘Alaska’ o ‘Hybris’. E poi ‘È già domani’ è un po’ una continuazione di quello che abbiamo iniziato, nel 2019, con ‘Animali notturni’. Chiaramente, dal di fuori, magari si ha un’opinione e un modo di vedere diverso. Io, dall’interno, se penso al nostro percorso, lo vedo tutto sommato armonico come cambiamento.
Una delle costanti dei vostri live è l’urlo “Siamo i Fast Animals and Slow Kids e veniamo da Perugia”: che rapporto avete con le vostre radici e quanto queste radici sono presenti nella vostra musica?
Sicuramente, Perugia è un po’ la nostra roccaforte. L’idea di finire un tour, di andare in giro per l’Italia e poi tornare qui, che è una città abbastanza piccola rispetto alle grande metropoli dove suoniamo, come Milano e Roma, e anche un po’ meno viva dal punto di vista di vita cittadina, per noi è fondamentale. Abbiamo qui le nostre radici ed è giusto, secondo me, averle mantenute nel corso del tempo. Ci sono stati dei periodi in cui abbiamo pensato che vivendo a Milano, ad esempio, sarebbe stato tutto più facile, però tornare coi piedi per terra, una volta che finisce quella botta di adrenalina che è un concerto e che è, in generale, la vita di un musicista, avere una base ferma, un punto di riferimento così importante come la tua città, è per noi fondamentale. Credo che, in qualche modo, tutto ciò si senta nelle nostre canzoni. È difficile a volte auto analizzarsi così tanto, ma credo che sicuramente l’Umbria, Perugia, con i suoi grandi spazi verdi, con i suoi paesaggi, sia entrata nel nostro modo di comporre musica. Penso, magari, al fatto che utilizziamo tanti accordi in maggiore che suonano parecchio aperti… Forse è perché ci piace andare sui monti e goderci quel paesaggio.